La parola allo studente. Michele Orezzi dell’Udu: “Più tasse e meno borse di studio, questa riforma non fa per noi”


Intervista a Michele Orezzi, 26 anni, coordinatore nazionale UDU, Unione degli Universitari
studente di Farmacia all’Università di Pavia

In che modo la riforma influirà sulla vita degli studenti?
«Influisce in particolare sul sistema accademico. Ciò che peserà di più sugli studenti saranno i tagli e il decreto ministeriale 17, “grazie” al quale aumentano le facoltà a numero chiuso».

E i tagli?

«Lo Stato ha previsto un fondo di 256 milioni di euro per finanziare borse di studio, un ottavo rispetto a Francia e Germania. Nel 2013 ci sarà un altro taglio che porterà le risorse a 13 milioni. Se già ora, soprattutto al Sud, riescono a ottenere la borsa solo la metà degli aventi diritto, tra due anni queste non esisteranno più. Ciò significa eliminare il diritto allo studio e non dare possibilità di riscatto sociale a chi non ha mezzi. Ma non sono solo i tagli a ledere il concetto di diritto».

Lo fa anche la Legge Gelmini?

«Certo. Da quest’anno tantissime facoltà a libero accesso sono diventate a numero chiuso. Questo, oltre a impedire l’accesso agli studi superiori a molti, va a intaccare il sistema Paese».

Un esempio?
«La facoltà di Farmacia è diventata a numero programmato. Un controsenso visto che il mercato italiano lamenta carenza di farmacisti».

Il decreto ministeriale 17 impone quindi il numero chiuso?
«In realtà regola il numero totale di studenti rispetto a quello di professori. Il che potrebbe avere senso in un sistema ben finanziato, ma qui porta solo a una drastica riduzione dei corsi perché non ci sono soldi per pagare i docenti».

E cosa ci dici dell’aumento delle tasse?
«Gli atenei stanno aumentando le rette anche superando i limiti concessi dalla legge, infatti col diminuire dei finanziamenti dovrebbero calare anche le tasse, ma accade il contrario. L’Udu si sta impegnando a ricorrere al Tar contro tutte le università che non rispettano».

In che cosa invece, la riforma, influisce sul sistema accademico?

«La Gelmini ha sempre dichiarato l’intento di limitare il potere dei baroni. In realtà l’effetto è opposto. Al Senato accademico rimane solo il potere consuntivo e il consiglio d’amministrazione è costituito per metà da professori di prima fascia, i cosiddetti baroni, e per metà da privati. Insomma, si passa da un’università autogovernata a un sistema in cui il potere è nelle mani di pochi».

Quali saranno le conseguenze primarie?
«I privati avranno il più forte ruolo decisionale, i rettori poteri sempre maggiori».

Ne deriverà anche un calo di qualità del sistema accademico?
«A livello di welfare, per gli studenti certamente. Per quanto riguarda la didattica e la ricerca, quella italiana è una delle migliori università, ma se il finanziamento dei Prin (progetti di ricerca, ndr) continuerà ad avere lo stesso valore di Ronaldo per il Real Madrid non andremo molto lontano».

Cosa fate per combattere questa situazione?

«Purtroppo se tutte le proteste che ci sono state prima dell’approvazione non sono servite, non siamo fiduciosi. È necessario un cambio radicale al Governo, per questo continueremo la nostra protesta contro un sistema che non riconosciamo».

Insomma, non trovi proprio niente di positivo nella riforma?

«No, nulla. Questo perché anche se qualche provvedimento è stato scritto per garantire la qualità degli insegnamenti, un regime assolutamente sottofinanziato trasforma anche queste norme in provvedimenti negativi per gli studenti».


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