Riflessioni del presidente Federfarma Oristano Dott. Pasquale Sechi

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Riflessioni del presidente Federfarma Oristano Dott. Pasquale Sechi

Dopo l’ultima assemblea tenutasi il 4 ottobre c. a., sono sempre più convinto di alcune considerazioni e dubbi che da tempo ho esplicitato in varie occasioni.

Una delle considerazioni, ad esempio, è che in un contesto di assoluta condivisione dei problemi, che deve sempre essere propedeutica alla naturale predisposizione per la ricerca di soluzioni che nascono dalla responsabile partecipazione di tutti, sarebbe sicuramente più costruttivo se i colleghi partecipanti alle assemblee, ai consigli, ai lavori di gruppo, potessero preventivamente disporre di tutta la documentazione necessaria per una analisi approfondita e realistica delle situazioni di cui si vuole discutere.
Presupposti, questi, per un probabile successo, e non solo, dell’assemblea che da passiva, potrebbe costruttivamente diventare attiva e propositiva.

Si accetta questa regola, quando il fine che anima il gruppo è sovrapponibile per tutti i componenti il gruppo stesso.
In un contesto variegato quale è quello della farmacia italiana, trovare tutti i titolari pronti a condividere la stessa strategia può apparire un successo, ma trovarli nella necessità di accettarne i risultati avrebbe del miracoloso.

Questa constatazione, forse, induce il gruppo dirigente a proporre soluzioni già impacchettate e argomentarle come fossero il frutto di attente valutazioni e sofferte riflessioni.

Il voto, in questo contesto, è unanime ma a casa si riporta la propria amara sensazione della inutilità partecipativa.

Essendo poi direttamente artefici delle nostre “fortune”, ci è dato di riflettere sui fatti accaduti e di confrontarli con le nostre conoscenze, le nostre esperienze , le nostre vicissitudini.
E qui cominciamo ad essere assaliti dai dubbi, dai sensi di colpa impregnati dai nostri “ma” e dai nostri “forse”.

Mi riferisco, ovviamente, al documento approvato con voto unanime dall’assemblea nazionale Federfarma del 4 ottobre.

Abbiamo messo in gioco noi stessi ma ritengo che qualche bersaglio non era proprio ben messo a fuoco e il rischio di sbagliare la mira, stavolta potrebbe esserci letale.

E’ stata individuata come fonte delle nostre pene, la parafarmacia e nel confronto con queste puntiamo il nostro avvenire.
Le nostre aperture verso queste realtà, sono incentrate su un concorso per soli titoli di servizio, preceduto da una revisione dei criteri di assegnazione ( quorum e distanza) e da una individuazione di un punteggio esclusivo per loro, sicuri che i titolari di parafarmacie siano disposti alla chiusura delle loro strutture, per accettare la farmacia assegnatagli per concorso.
Ma siamo sicuri davvero che le cose stiano in questi termini?
Qualcuno ha chiesto ai farmacisti proprietari di parafarmacia, se sono disposti a chiudere in cambio di una farmacia, forse rurale, e magari situata sul cucuzzolo della montagna?

Ho voluto porre questa domanda a tanti colleghi parafarmacisti e le risposte ottenute da loro, sono state di questo tenore:

  1. “non sarebbe male”. (10% degli intervistati)
  2. “e poi chi mi obbliga a chiudere la parafarmacia?” ( 40% degli intervistati)
  3. “chiuderanno anche i titolari di farmacia che oggi direttamente o indirettamente sono proprietari anche di parafarmacia?” (30% degli intervistati)
  4. “perché la Federfarma se la prende con noi e non fa nulla contro i titolari , a volte anche facenti parte dei suoi vertici, che possiedono la parafarmacia magari intestata alla moglie o al nipote?” (20% degli intervistati)

Questi ultimi , ovviamente, sono coloro i quali dirigono e concertano le fila delle proteste. Un’ analisi di questi dati devono imporci un’attenta riflessione.
La constatazione che appena il 10% sarebbe disposta ad accettare la proposta, non entusiasma nessuno.
I punti 2, 3 e 4, devono portarci ad una rigorosa riflessione sul potere contrattuale che può essere messo in campo dai protagonisti della eventuale trattativa.
Mi sembra oltremodo evidente che la sola risposta ai tre punti citati, potrebbe essere data da un disegno di legge che determinerebbe e normerebbe i molteplici casi di incompatibilità fra titolari di farmacie e titolari di parafarmacie.
Tale norma, peraltro, non potrebbe, a mio avviso, limitare l’accesso ad eventuali scorciatoie che consentirebbe di fuorviare lo spirito legislativo in quanto nessuna legge può impedire ad un parente di aprire una parafarmacia, dato che sarebbe anticostituzionale perché limitativa della libertà di impresa.
Il quarto punto potrebbe di già essere preso in considerazione dalla Federfarma almeno facendo autocertificare ai propri iscritti, di non possedere parafarmacie fino alla 4^ generazione, pena la cancellazione dall’Associazione.
E’ realistico tutto ciò?
Difficile la risposta.
L’offerta, quindi, potrebbe cadere nel nulla e noi (anch’ io sono titolare) ci troveremmo a fare offerte e confrontarci con l’interlocutore che potrebbe essere quello sbagliato.
Se l’interlocutore fosse il titolare di parafarmacia, in assenza di altri provvedimenti legislativi a supporto dell’offerta fatta, allora è l’interlocutore sbagliato;
Se il percorso esistenziale del titolare di parafarmacia, si differenzia dal percorso del titolare di farmacia, forse è lecito pensare che l’interlocutore della farmacia non è la parafarmacia

Si, l’interlocutore è sbagliato, cari amici.

Io ritengo che il nostro interlocutore non sia il farmacista che opera in una parafarmacia, ma sia invece il farmacista collaboratore ed è su quest’ultimo che noi dobbiamo concentrare le nostre attenzioni.

Che fare allora?

Anziché mettere al primo punto del documento votato, che riguarda l’adeguamento e la revisione dei quorum, sono convinto che sarebbe stato più importante inserire il rinnovo della convenzione.

Partirei da quella famosa premessa che ci fu tanto cara e che oggi diventa essenziale dove è scritto: “La farmacia è il presidio sanitario che fa parte integrante del Servizio Sanitario Nazionale”.
Questa proposizione, finalmente, individuerebbe la farmacia nella sua veste di struttura sanitaria e non di semplice “negozio commerciale”, come è stato definito anche da autorevoli personaggi del mondo politico.
A questa prima richiesta, si potrebbe abbinare il concetto di nuova retribuzione dopo, ovviamente, averne condiviso il percorso con tutti gli attori della distribuzione del farmaco.
Tale rivoluzione, sgancerebbe la farmacia dalla definizione prioritaria di impresa commerciale e, non ultima, ci darebbe la possibilità di approntare un nuovo contratto di lavoro per i collaboratori di farmacia. In questo nuovo contesto, non più legato al contratto del commercio, potremmo riflettere sulla necessità di riconoscere un onorario professionale, facilmente commisurabile con l’effettivo apporto professionale, del collaboratore firmatario del contratto.
La crescita professionale e l’adeguato compenso qualificante, farebbe del collaboratore il primo alleato della farmacia.
Ma al farmacista collaboratore, oltre al percorso di promozione e crescita sia professionale che economica, bisogna dare una ulteriore speranza di evoluzione: la titolarietà.
Dobbiamo essere assolutamente convinti che così come la Farmacia debba essere considerata “parte integrante del Servizio Sanitario Nazionale, anche il collaboratore di Farmacia debba essere considerato “parte integrante ed essenziale” della farmacia stessa.
Il ripristino della collaborazione basata sulla condivisione progettuale e d’indirizzo della farmacia devono vedere come protagonisti essenziali e insostituibili i titolari con tutti i collaboratori. Il concetto di équipe solidale ci salverà. Solo questo.
Il concorso straordinario per soli titoli, deve assolutamente coinvolgere i Farmacisti Collaboratori di Farmacia “inventandoci” anche un differente criterio di assegnazione dei titoli di servizio.
Potrebbe essere interessante, per esempio, affiancare al titolo di servizio basato sull’anzianità e rilasciato dagli ordini professionali, anche un “titolo di carriera professionale“, rilasciato dal titolare datore di lavoro, dove siano elencati e documentati i percorsi formativi del collaboratore, e la “carriera” professionale in seno alla farmacia.

IL QUORUM

Rivedere il quorum in un contesto di trasformazione della farmacia, non è cosa semplice ma è necessaria. Bisogna però partire da un presupposto essenziale che qualifichi la farmacia stessa.
Oggi viviamo in un tale stato di confusione che ci viene addirittura difficile definire quale sia la farmacia rurale, malgrado vi siano leggi che bene la definiscono e la garantiscono.
Partiamo quindi dall’affrontare le nostre debolezze lasciando in disparte i nostri personali interessi.
Parliamo dunque di quorum.
Pensate sia sufficiente gridare al mondo che potremmo aprire 2.000 o 3.000 farmacie? Credo che al politico interessi poco se ad Oristano (tanto per non disturbare altri) vi siano 8 o 12 farmacie, ma forse il suo parametro è rivolto verso i grossi centri ( Roma, Milano, Napoli, ecc. ecc.).
Il quorum, quindi, deve essere modulato sulle esigenze della popolazione, in modo che si aprano farmacie là dove veramente servono.

E’ in preparazione e di prossima pubblicazione uno studio, aggiornato alle reali situazioni del 2011, che evidenzia il rapporto tra popolazione e farmacie per ogni singolo Comune Italiano.

L’ereditarietà

L’accusa è ormai chiara anche se, guardandomi intorno, vedo che in tutte le professioni il concetto di ereditarietà esiste anche se spesso non è palese.
Lancio un’idea che a lungo termine potrebbe essere interessante:
Le nuove assegnazioni di farmacie saranno effettuate con nuove regole. Licenza “ad personam”, non trasferibile , né vendibile e che a fine percorso professionale o di cessazione per qualsiasi causa, sia rimessa allo Stato per una nuova assegnazione.
Il titolare che lascerà, avrà una liquidazione calcolata con parametri certi e una pensione adeguata.
Sarebbero comunque fatte salve le farmacie di vecchio diritto, che conserverebbero anche la possibilità della ereditarietà finchè vi sarà un parente farmacista in linea diretta.

L’ultima perplessità riguarda la vendita dei farmaci cosiddetti da banco fuori dalla farmacia e senza il farmacista.
Mi domando: il tabaccaio del mio paesello potrà anche lui vendere tutti i farmaci da banco?
Sarebbe questo un bel regalo anche per le piccole farmacie rurali.

Dott. Pasquale Sechi,
Presidente Federfarma Oristano

 

Via – Movimento spontaneo Farmacisti Italiani

1 COMMENT

  1. Farmacia/ Parafarmacia…soldi soldi soldi tanti soldi…..almeno il Dott.Sechi parla della figura del farmacista. Allora i farmacisti delle farmacie non vogliono le parafarmacie perchè il farmaco è “na cosa seria” ma i farmacisti delle farmacie pur di non sentire parlare di parafarmacia farebbero vendere i farmaci in confezioni “starter” ma senza farmacista. Fazio che fa parte di un governo che vuole liberalizzare non vuole che esistano le parafarmacie e rassicura le farmacie. Poi si sentono proposte di sanatorie, poi no, poi baratti con farmacie rurali, poi no. Ma le parafarmacie non vogliono diventare farmacie. Poi ci sono i sondaggi. Lei che ha una parafarmacia, se chiude Le offriamo una farmacia rurale. L’accendiamo? E il farmacista rurale giustamente non ci sta. Poi la gente non capisce cosa sia una parafarmacia dove c’è un farmacista che dispensa farmaci senza obbligo di ricetta ma non altro. O forse anche altro perchè di continuo un prodotto diventa vendibile in parafarmacia e poi ritorna in farmacia.
    Poi croce verde, anzi no croce rossa….ma anche niente croce. Ma l’Europa che dice? …AIUTOOOOOOOOOOOOOOOOO

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