Liberalizzazioni orari e turni farmacie. Ecco perché sarà impossibile applicarle subito

0
519

Le norme per l’apertura delle farmacie in orari e turni diversi da quelli obbligatori, previste dal decreto sulle liberalizzazioni, potrebbero trovare diverse difficoltà applicative. Esistono infatti problemi con norme regionali, costituzionali e comunitarie

13 MAR – La disposizione di cui alla prima parte del comma 8 dell’art. 11 del D.L. n. 1/’12: “I turni e gli orari di farmacia stabiliti dalle autorità competenti in base alla vigente normativa non impediscono l’apertura della farmacia in orari diversi da quelli obbligatori”, non può essere immediatamente applicata.
Al riguardo deve rilevarsi che detta prescrizione attiene alla materia della legislazione concorrente (farmacie) e che, dunque, nel rispetto del riparto di competenza Stato/Regioni, costituisce norma di principio.
Che trattasi, peraltro, di mera norma di principio e non anche di dettaglio è dato ricavare dalla circostanza secondo cui essa, nello stabilire che la vigente normativa in base ai turni ed agli orari delle farmacie non impedisce l’apertura della farmacia in orari diversi da quelli obbligatori, nulla statuisce in merito all’indicazione di criteri per l’individuazione di detti orari diversi, né riguardo alle condizioni che possano rendere possibile tenere aperta una farmacia oltre il normale orario di lavoro. In buona sostanza, al momento, l’eventuale immediata applicazione della norma lascerebbe l’apertura “liberalizzata” della farmacia alla voglia ed alla disponibilità dei singoli farmacisti.Ciò pone, allora un duplice ordine di ostacoli all’immediata applicabilità della norma statale: sotto un primo profilo essa potrà esplicare efficacia soltanto in presenza della (futura) normativa di dettaglio regionale; sotto un secondo (e più pregnante profilo) essa comunque non può esplicare efficacia giacchè si palesa allo stato in contrasto con la disciplina comunitaria e, quindi, va disapplicata.
Per quanto attiene alla non immediata applicabilità della norma del decreto legge fino all’approvazione della normativa regionale di dettaglio, valga quanto segue.

In primo luogo deve premettersi che, in mera linea teorica, la questione dell’immediata applicabilità della norma di principio statale è tutt’altro che pacifica: se è vero che la norma di dettaglio regionale preesistente cede di fronte alla norma di principio statale sopravvenuta, è anche vero che quando la norma di principio sopravvenuta non ha carattere prescrittivo cogente (e quindi necessita ex se di una legislazione di dettaglio – come nel caso di specie), deve concludersi per la non immediata applicabilità della norma di principio statale sopravvenuta fino alla promulgazione della (successiva) norma di dettaglio regionale.
Ciò risulta ancora più chiaro ove si consideri che un’applicazione della prescrizione del decreto legge, al momento, consentirebbe l’apertura “libera” delle farmacie da parte dei farmacisti, ma questo si porrebbe in contrasto con i principi costituzionali che concorrono a disciplinare il “sistema farmacia”.
Di recente, la piena conformità a Costituzione della normativa che limita in maniera disciplinata l’apertura delle farmacie e, quindi, non consente l’apertura “libera” delle stesse, è stata affrontata in maniera precisa dal TAR Campania Napoli che, con la sentenza n. 483 del 31 gennaio 2012, ha così statuito: “L’infondatezza dell’illegittimità costituzionale si palesa anche per due ulteriori considerazioni: oltre alle osservazioni appena rassegnate, perché è inoltre evidente che la legislazione che disciplina il servizio farmaceutico non può essere valutata alla stregua di una comune legge che disciplini il libero commercio. E difatti, come già ritenuto da questo Tribunale con la sentenza n. 6161/2009 essa nella disciplina di detto servizio pubblico deve tenere in attenta considerazione le esigenze e l’interesse dell’utente, quale destinatario finale del servizio farmaceutico”, e questo consente “una regolamentazione dello stesso che ne assicuri una ottimale fruizione” finalizzata a “contemperare in maniera bilanciata la libertà di iniziativa economica privata (art. 41 Cost.), necessariamente implicante un regime di apertura al libero mercato in cui il servizio in parola deve muoversi con altri valori costituzionalmente rilevanti, anch’essi altrettanto meritevoli di tutela, quali l’eguaglianza (art. 3 Cost.), la solidarietà sociale (art. 2 Cost.), la tutela della salute (art. 32 Cost.) ed il buon andamento dell’amministrazione (art. 97 Cost.).
Infine, a definitivamente confutare il supposto contrasto della normativa attualmente vigente con la Costituzione italiana, è evidente che sono tuttora attuali le precisazioni che il giudice delle leggi volle articolare in tema di orari contingentati di prestazione del servizio de quo, con la sentenza del 4 febbraio 2003 con cui respinse analoga questione sollevata dal TAR Lombardia “le finalità concrete che la legge vuol raggiungere con il contingentamento delle farmacie (assicurare ai cittadini la continuità territoriale e temporale del servizio ed agli esercenti un determinato bacino d’utenza) vanno nello stesso senso di quelle che si vogliono conseguire con la limitazione dei turni e degli orari, in quanto, come è stato più volte osservato, l’accentuazione di una forma di concorrenza tra le farmacie basata sul prolungamento degli orari di chiusura potrebbe contribuire alla scomparsa degli esercizi minori e così alterare quella che viene comunemente chiamata la rete capillare delle farmacie. Esiste in altri termini, nella non irragionevole valutazione del legislatore, un nesso tra il contingentamento delle farmacie e la limitazione degli orari delle stesse, concorrendo entrambi gli strumenti alla migliore realizzazione del servizio pubblico considerato nel suo complesso.(Così Corte costituzionale 4 febbraio 2003 n.27)”.

Una normativa statale che, consenta, allora, l’apertura “libera” delle farmacie si porrebbe in contrasto con le norme costituzionali ed avrebbe l’effetto di destrutturare il “sistema farmacia” in Italia.
Poiché, invece, deve procedersi ad interpretare le norme in maniera costituzionalmente orientata, deve concludersi che il legislatore abbia voluto stabilire che le Regioni devono procedere a disciplinare nuovamente il “sistema farmacia” prevedendo, a determinate condizioni, l’apertura delle farmacie anche in orari diversi da quelli obbligatori.
Sotto un secondo profilo, poi, deve rilevarsi che militano ulteriori tesi a favore della necessità di attendere la necessaria nuova legislazione di dettaglio regionale.
La formulazione della prima parte del comma 8, relativa ai turni ed agli orari, infatti, fa riferimento alla “vigente normativa” (che è anche e soprattutto quella regionale di dettaglio), mentre, se vi fosse stata automatica cedevolezza della normativa di dettaglio regionale a seguito della promulgazione del decreto legge statale, avrebbe dovuto riferirsi alla “previgente normativa”.
L’unica interpretazione logica che può darsi a tale formulazione è, dunque, che la normativa di dettaglio regionale in materia di turni ed orari rimane efficace fino al sopravvenire di una nuova normativa di dettaglio che disciplini i tempi di apertura ulteriori tenendo conto del principio generale statale sopravvenuto secondo cui occorre garantire alle farmacie un tempo ulteriore di apertura rispetto a quanto prescritto dalla (tuttora) vigente legislazione di dettaglio.
Una diversa interpretazione del comma 8 secondo cui, viceversa, la normativa statale (D.L. “cresci Italia”), nello stabilire la vigenza della normativa di dettaglio sui turni ed orari, prescriva nel contempo la non obbligatorietà della normativa medesima sugli orari e la turnazione (che, per logica, obbliga all’apertura alcune farmacie giacchè le altre sono obbligatoriamente chiuse), sarebbe contraddittoria e, dunque, passibile di valutazione di irragionevolezza (e ciò non è consentito in un’ottica di interpretazione costituzionalmente orientata).
Nel caso in cui si ritenga immediatamente applicabile la normativa statale del D.L. “cresci Italia” e, quindi, si ritenga la prescindibilità della normativa di dettaglio regionale, dovrebbe allora procedersi a disapplicare la normativa statale giacchè contrastante con i principi dettati dalla normativa comunitaria.

Infatti la disciplina degli orari di apertura al pubblico delle farmacie deve essere, nel rispetto delle disposizioni comunitarie, obbligatoriamente dettagliata e non può assolutamente essere lasciata alla voglia ed alla disponibilità dei titolari delle farmacie, come ha efficacemente stabilito proprio il TAR Puglia Bari nella recente sentenza n. 450 del 22 marzo 2011, con cui ha respinto (con condanna alle spese) il ricorso di una farmacista che intendeva tenere aperto il proprio esercizio oltre gli orari stabiliti dalla legge: “Nella situazione oggetto di causa è ravvisabile l’esigenza dei titolari di farmacie di espletare liberamente il servizio nell’esercizio di una attività economica … Tali esigenze si scontrano, tuttavia, con la necessità di salvaguardare i diritti dei lavoratori, dipendenti delle farmacie, che potrebbero essere messi a rischio ove si concedesse di svolgere il servizio notturno secondo la voglia e la disponibilità dei titolari delle farmacie. La salvaguardia dei diritti dei lavoratori dipendenti è chiaramente enunciato quale finalità perseguita dalla direttiva 93/104/CE del Consiglio, del 23 novembre 1993, c.d. direttiva sugli orari di lavoro: essa stabilisce, in particolare (art. 6 comma 1 n. 2) che la durata media del lavoro settimanale non deve essere superiore a 48 ore settimanali compreso il lavoro straordinario. Dall’esame degli articoli contenuti nella sezione II della direttiva in esame, dedicata al lavoro notturno, emerge inoltre che il legislatore comunitario considera tale modalità di espletamento del lavoro come foriera di maggiori rischi per i lavoratori, tanto da richiedere l’adozione di particolari misure di protezione, adattate alla natura del lavoro. La legge regionale pugliese n. 19/’98, ancorchè anteriore all’approvazione della legge nazionale con la quale la menzionata direttiva ha avuto trasposizione in Italia (L. n. 422/’00), ha il pregio di essere assolutamente conforme ai principi dettati dalla direttiva 93/104/CE ed il fatto che tale legge abbia applicazione limitata alla Regione Puglia non giustifica affatto una sua interpretazione e/o applicazione non conforme con la citata direttiva poiché l’interesse comunitario, che le norme europee perseguono e che gli Stati membri devono salvaguardare con la propria legislazione, deve essere valutato anche in via potenziale”.
Se la legge regionale pugliese n. 19/’98, che limita l’apertura delle farmacie secondo una disciplina “non liberalizzante” è, dunque “assolutamente conforme ai principi” della normativa comunitaria, deve a contrario prendersi atto che il D.L. “cresci Italia”, liberalizzando gli orari di apertura delle farmacie, si porrebbe in contrasto con la detta normativa comunitaria.
Ne discende che, poichè in contrasto con la legislazione comunitaria, deve comunque disapplicarsi il comma 8 dell’art. 11 del D.L. “cresci Italia” giacchè esso consente l’apertura al pubblico delle farmacie in assenza di precisi “paletti normativi” di dettaglio a garanzia dei diritti dei lavoratori subordinati.

La disapplicazione della norma dello Stato in contrasto con i principi della normativa comunitaria è obbligo di tutti i pubblici amministratori che, pertanto, devono ritenerla tamquam non esset.
Alla luce delle sentenze richiamate è agevole concludere che il “sistema farmacia” ha una sua ratio se è connotato da un complesso di norme che ne disciplinano il funzionamento in maniera ordinata e precisa. In presenza di una disciplina che determina disomogeneità e deregulation, il sistema perde parte delle sue peculiarità e si trasforma in un qualcosa di diverso.
Starà ai farmacisti, primi attori in questo scenario, scegliere se è preferibile “l’uovo oggi” ovvero “la gallina domani”.

Tommaso di Gioia
Avvocato in Bari
Presidente del Centro Studi di Diritto Amministrativo e Comunitario

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here