Professor Novellino, lei, Docente della Facoltà di Farmacia all’Università Federico II di Napoli, e Preside della stessa dal 2000 al 2006, rappresenta sicuramente un punto di vista ricco, dettagliato, puntuale e prestigioso sulla condizione del ramo farmaceutico italiano. E’ inevitabile cominciare questa intervista, essendo oggi la vigilia dell’ufficializzazione da parte del governo Monti del tanto tribolato decreto liberalizzazioni, domandole di esprimersi in merito.
Sul decreto liberalizzazioni, anche in questo momento, a meno di 24 ore dalla sua ufficializzazione, circolano ancora molte voci contrastanti. A mio giudizio questo decreto, porterà la farmacia indietro di circa cinquant’anni. Le condizioni già disperate delle farmacie che negli ultimi tre anni hanno visto diminuire del venti per cento i fatturati, anche a causa della generizzazione, inoltre nel 2012, secondo il piano presentato dal Ministro della Sanità, assisteremo ad una riduzione della farmaceutica territoriale dal 13,1 al 12 per cento con conseguente incremento della farmaceutica ospedaliera. E’ in questo contesto che viene alla luce il decreto, non bisogna dimenticarlo; con l’aumento del numero delle farmacie, che non avverrà probabilmente nel 2012 ma sicuramente nel 2013, e la liberalizzazione della fascia C, si crea un cocktail micidiale che determinerà un impoverimento delle farmacie tale che non sarà possibile da parte delle attività garantire il servizio di pregio che siamo abituati a riscontrare.
Crede che questa situazione potrà creare ulteriori disequilibri e tensioni anche all’interno delle farmacie, tra titolari e collaboratori?
Ovviamente. Ci sarà un riassestamento del personale: il titolare coinvolgerà nell’attività i parenti più stretti muniti di laurea e si aprirà una crisi di impiego per i collaboratori di farmacia.
E le nuove farmacie che apriranno? In che scenario si troveranno?
Le nuove farmacie per aprire avranno bisogno di un capitale davvero cospicuo, ed una volta aperta l’attività dovranno ammortizzare i debiti in un mercato non trainante ed anzi in perdita. Non credo sia la condizione migliore per iniziare un’attività.
Il sistema delle farmacie, al di là delle polemiche di parte, ha sempre garantito un buon servizio al cittadino, sarà ancora così?
Sono certo di no. Il sistema che fino ad oggi abbiamo conosciuto ha garantito un livello di funzionamento al di là delle più rosee aspettative. Al sud in particolare, le farmacie hanno colmato le mancanze del sistema sanitario nazionale. Con il nuovo decreto tutto questo verrà compromesso. Era necessario ottimizzare il servizio farmaceutico, migliorarlo, renderlo una macchina più efficiente, invece con questo decreto, che dovrebbe essere finalizzato a creare più posti di lavoro, oltre a crearne meno si va anche ad intaccare la stessa struttura portante del sistema farmaceutico italiano. Un disastro.
Si è diffusa nell’opinione pubblica l’immagine di un farmacista privilegiato, appartenente ad una casta dai poteri immensi, nemica della libertà di mercato. E’ così?
Se dei privilegi ci sono stati, ci sono stati fino al duemilatre circa, ma da quel momento l’apertura alle logiche di mercato è stata continua ed inarrestabile. Per quanto riguarda la casta, direi che è un mito legato al numero chiuso delle farmacie, ma si può davvero aprire completamente questo settore senza rinunciare a delle garanzie per il cittadino? Io credo di no. Quella della casta è una nomea che i farmacisti si sono portati avanti per anni, sbagliando nel gestire la propria immagine. Seppure i loro privilegi sono andati scomparendo negli anni, a livello mediatico non è arrivato questo cambiamento, ed a tutt’oggi si continua a pensare ai farmacisti come ad una casta.
La situazione oggi, sia a livello mediatico che a livello politico, è molto tesa. Ci sono delle responsabilità ben identificabili?
Gran parte della colpa di questa situazione è di FederFarma e di Fofi, gli organi rappresentativi del settore, che in tutti questi anni sono stati di una miopia inconcepibile. Hanno applicato politiche di sopravvivenza, guardando alla quotidianità, senza alcuna lungimiranza. Chi vuole dirigere un intero settore non può permettersi errori madornali di questo tipo, la lungimiranza deve essere la prima caratteristica di un dirigente.
Come avrebbero potuto impedire questa situazione Fofi e Federfarma?
Intanto dovevano essere loro, con largo anticipo, a proporre ai governi soluzioni, iniziative e riforme. E’ ovvio che un nuovo governo aspira a dare all’opinione pubblica segnali di cambiamento, ma spesso i ministri non hanno competenze specifiche nel settore; ed ecco che Fofi e Federfarma dovevano approfittare dell’occasione per presentare riforme e soluzioni. La legge Tommasini, proposta al Senato, serviva, nei fatti, soltanto a prendere tempo, poiché nessuno si è preoccupato di seguire l’iter seriamente. Mancanza di idee e di programmazione, pessima comunicazione ai cittadini, mancanza di volontà di cambiare il sistema migliorandolo dall’interno, ed in ultimo un certo spirito di rassegnazione agli eventi: questi sono i veri errori che ci hanno portato a questa condizione critica.
Non è troppo severo con Fofi e Federfarma?
Non credo. Gli errori commessi potrebbero essere fatali. Non era difficile capire che negli ultimi dieci anni il mondo del farmaco stava cambiando: bisognava proporre una legge di riordino che tenesse conto dei cambiamenti contingenti nel mercato del farmaco, e di segnali come quello delle facoltà di farmacia che si stavano riempiendo di un numero eccessivo di studenti rispetto alla reale esigenza lavorativa. Era prevedibile che prima o poi questi laureati avrebbero bussato alla porta dei governi per trovare spazio lavorativo. In questi dieci anni si poteva allargare la pianta organica con un piano ragionato, gradualmente; esistevano le condizioni economiche per sostenere un allargamento del numero delle farmacie anche del 25 per cento. Queste condizioni oggi non ci sono più.
Cosa può dirci invece dell’università: Quali sono i numeri, il presente ed il futuro di una facoltà che fa riferimento ad un mercato del lavoro che è in continua evoluzione?
E’ impossibile affrontare questo argomento limitandosi alla facoltà dove esercito, bisogna fare un esempio più generale. In Campania dieci anni fa esistevano due facoltà di farmacia, una a Napoli ed una a Salerno, con un certa capacità ricettiva di studenti. In dieci anni il numero di studenti iscrivibili è aumentato e le facoltà di farmacia da due sono diventate tre. Il territorio della Campania comprende circa 1800 farmacie, quindi teoricamente avrebbe un turn-over fisiologico massimo di 200 posti all’anno. Questa si che è una riforma che bisognerebbe introdurre: a 70 anni si dovrebbe cedere il posto di titolare di farmacia; si mantiene la proprietà ma si cede la direzione. In Campania, in questi anni avremmo dovuto mantenere il numero degli iscritti non superiore alle cinquecento unità, considerando che solo la metà si laureano. Questa era la realtà dei fatti; quello che il mondo della farmacia richiede. Gli iscritti effettivi in Campania però sono circa 1200, ed è quindi chiaro che una situazione simile è destinata a collassare.
Cosa può fare una singola facoltà per evitare il collasso?
La nostra facoltà, lo scorso anno ha ridotto il numero degli iscrivibili da 400 a 250, ma l’operazione non è stata recepita da Salerno e da Caserta; quindi chi non è stato accettato a Napoli si è iscritto a Salerno o a Caserta. Una singola facoltà può fare davvero poco: senza una politica seria a livello nazionale si possono ottenere solo travasi di studenti da regione a regione.
Una persona esterna all’ambiente farmaceutico noterebbe rapidamente come in questo mondo, dalla gestione delle Università alle problematiche delle farmacie, dalle esigenze del SSN ai rapporti con i medici, dai sindacati alle aziende, manchi il dialogo. Sembra che si ragioni per compartimenti stagni. E’ così?
E’ drammaticamente così. Non si riesce nemmeno a spiegare la realtà dei fatti ai cittadini, con una perdita enorme a livello di immagine. E’ tutto un mondo che andava normato molto tempo fa, gradualmente, non con un decreto così estremo ed ingiusto.
Se magicamente abolissimo questo decreto, rimarrebbero però dei problemi, gravissimi problemi, non crede?
Certamente. Il grosso del decreto è incentrato sull’aumento del numero delle farmacie, ma non bisogna fermarsi lì, dovremmo avere uno sguardo più ampio.
Ci spieghi, la prego.
La farmacia, come la conosciamo, si sta esaurendo, sta diventando qualcosa di “generico”. Questo è un dato di fatto. La popolazione italiana vive sempre di più, ed ha un numero sempre crescente di cittadini in una quarta età che sviluppa una dipendenza di tipo farmaco-terapeutico per svariate patologie. La maggior parte di queste patologie sono dovute alla senescenza, al normale svolgersi della vita in tarda età e di queste patologie conosciamo il decorso. A mio avviso, tenuto conto di tutto questo, bisognerebbe integrare la farmacia all’interno del Sistema Sanitario Nazionale, ed insieme al medico di medicina generale, che anch’esso sta affrontando una crisi d’identità non da poco, ed all’ospedale, creare una rete in grado di controllare tutti i pazienti affetti da patalogie di questo tipo. Lo specialista dell’ospedale esegue la diagnosi, prepara un piano terapeutico, e invece di vincolare il paziente in ospedale o affidarlo ad un centro specializzato, si potrebbe assegnare il paziente al medico generale che si prenderà in carico il controllo sul piano terapeutico. In sostanza: trasformare il medico di medicina generale in quello che è il medico di corsia dell’ospedale. Al tempo stesso, la farmacia dovrebbe fornire su tutto il territorio tutti quei servizi che attualmente l’ospedale fornisce al medico di corsia: farmaci, le corrette analisi fisioanalitiche, rifornire gli eventuali presidi… tutto questo legato da un costante e puntuale aggiornamento delle cartelle del paziente tra specialisti, farmacisti e medici, attraverso internet e le nuove tecnologie. Questo porterebbe un grosso risparmio a livello di de-ospedalizzazione, per tutto il SSN, il cittadino potrebbe chiudere la degenza nella propria abitazione con grossi vantaggi anche dal punto di vista psicologico ed una migliore qualità e controllo della terapia.
Una vera rivoluzione.
Si, ma per fare questo dobbiamo cominciare a pensare alla farmacia non più come un semplice fornitore di farmaci, ma come una parte del Sistema Sanitario Nazionale. Medici, farmacie e ospedale devono far parte di una stessa squadra: il cittadino in cura dal medico generale che dovrà rifare un controllo per la sua patologia, andrà in farmacia a prenotare la visita specialistica in ospedale. Il farmacista deve entrare nell’area sanitaria, e dovrà anche svolgere i compiti di divulgazione dei corretti stili di vita, ed essere il primo gradino tra il cittadino e il Sistema Sanitario. A questo punto onde evitare un numero esorbitante di laureati in farmacia, dovremmo essere da subito pronti a limitare gli accessi alle facoltà di Farmacia in base alle richieste del SSN. Programmare senza creare surplus. Mi sembra una logica molto semplice.
Quindi, anche questo governo, non ha capito per nulla i veri problemi del sistema che vuol riformare?
Per ora ha dimostrato di aver utilizzato un’ottica commerciale: chi mi fa risparmiare nella vendita di una scatoletta di pastiglie? Ecco: questo è un aspetto che esiste, ma non può essere quello determinante per una seria riforma. Il Governo ovviamente vede soltanto la parte finale dei problemi di questo settore, ed era compito della Fofi e di Federfarma illustrare questi meccanismi e strutturare una progettualità affiancando il Governo nella stesura dei necessari strumenti.
Sentiamo spesso parlare di fascia C, ma a molti non è chiaro cosa sia in concreto; professore ci spiega che cosa è la fascia C?
Nel 1993 dopo la bufera di tangentopoli, con la questione Poggiolini che tanto sconcertò tutto il paese, si pensò di riclassificare i farmaci. Si creò una fascia A, che comprendeva i farmaci salva vita: farmaci che curavano patologie irrinunciabili e che erano a totale carico del SSN; una fascia B , che comprendeva farmaci di minore necessità terapeutica, a cui fu apposto un ticket del 50 per cento; ed infine fu creata una fascia C, con farmaci di minore rilevanza terapeutica e che potevano essere totalmente a carico del cittadino, a meno che non esistessero condizioni particolari. In breve la fascia B andò scomparendo, in parte in A ed in parte in C; infatti ad oggi abbiamo solo fascia A e fascia C. I farmaci della fascia A hanno un prezzo controllato dal sistema sanitario in accordo con le case farmaceutiche, onde mantenere prezzi favorevoli al SSN. Per i farmaci della fascia C, invece, fu consentito alle aziende di proporre in maggiore libertà i prezzi dei farmaci.
C’è stata una speculazione sui prezzi?
I farmaci di fascia C hanno subito un incremento dei prezzi abnorme, su questo non v’è dubbio. Le faccio un esempio: una pomata di largo utilizzo prima di andare in fascia C costava 2400 Lire, cira 1 euro e 50 centesimi; oggi che è compresa nei farmaci di fascia C il suo costo si aggira attorno ai 14 euro. Il farmaco è lo stesso, il brevetto, nell’esempio a cui alludo, è scaduto, la confezione è rimasta la stessa, il prezzo si è decuplicato.
Un aspetto molto popolare della riforma Monti è che si pensa che liberalizzando la fascia C, i prezzi scenderanno. E’ così?
I prezzi non sono alti per colpa dei farmacisti. Al farmacista rimangono pochi spiccioli di quella cifra esosa a cui sono stati portati i farmaci di fascia C. Il problema è che bisognerebbe ri-amministrare i prezzi dei farmaci di fascia C, riportando un po’ di razionalità in un mercato che ha preso una strada un po’ folle. Questa operazione la può fare solo lo Stato, come lo fa per il servizio sanitario nazionale. Si sta scaricando tutta la colpa dell’aumento dei prezzi ai farmacisti, ma loro non possono contrattare i costi dei farmaci. Hanno vincoli precisi, stabiliti da leggi molto chiare. Devono sottomettersi alle case farmaceutiche, non hanno grande libertà di contrattazione con i fornitori. Sul prezzo che paga il consumatore finale il margine di guadagno del farmacista è poca cosa.
Ma questi problemi non arrivano mai ai cittadini? Ancora errori di comunicazione?
I farmacisti non sanno parlare, non si sanno far capire. Questo è il loro grande problema di fondo.
Le riforme dell’Istruzione, nel nostro paese, si sono succedute con una certa regolarità: Berlinguer, Zecchino, Moratti, ed infine Gelmini. Il nuovo Ministro Profumo si è insediato promettendo che la riforma Gelmini non verrà toccata. Cosa ne pensa?
Io mi auguro che il neo Ministro mantenga la parola data e non tocchi la riforma Gelmini, perchè alla base di quella riforma c’era l’intento di riportare l’Università a quella che era prima degli anni settanta. Tutto ciò che l’Università sta scontando è legato a quel periodo, a quella mentalità, diciamo sessantottina che ha creato un grosso danno al nostro paese. Gli esami di gruppo, l’abbassamento degli standard… ed oggi stiamo scontando fortemente quel periodo poiché quella generazione oggi è arrivata ai posti dirigenziali. La Gelmini riporta un certo rigore, un po’ di chiarezza, una vera razionalizzazione anche nella gestione del personale universitario. Con l’attivazione della meritocrazia, nel giro di quindici anni, dovremmo tornare ad avere un’Università di eccellenza.
Professore, lei crede davvero che la ricerca arriverà a formulare farmaci su misura? Farmaci che combattano le malattie e non le sintomatologie?
Lei pensi che dalla metà del novecento abbiamo aumentato la nostra vita media, rispetto agli inizi del novecento, di ben trent’anni. Oggi non possiamo nemmeno pensare a farmaci che combattano le malattie, ma quando riusciremo a decifrare tutto il genoma approfonditamente, quando riusciremo a capire la vera funzione delle proteine in una cella, e la loro meccanica… quando riusciremo a fare tutto questo inizierà la seconda era della medicina. Non prima del 2020. Ma ci arriveremo.
Esiste una ricerca farmaceutica italiana?
La ricerca costa. Per avere risultati ragguardevoli bisogna arrivare a farmaci che riescano a ripagare le ingenti somme spese per la ricerca. Quindi ad oggi, la ricerca farmaceutica deve essere di livello mondiale, perché mercati più piccoli non permetterebbero un rientro economico adeguato. Parlare di una ricerca farmaceutica italiana ha poco senso, perchè non è molto sviluppata dal punto di vista industriale, esattamente come non lo è in Francia o in Inghilterra. Nel campo farmaceutico esistono sei sette grandi aziende, che sono le uniche in grado di sostenere le spese per una ricerca di livello mondiale. La ricerca farmaceutica italiana fa anche troppo, nella fetta di mercato che le compete. Probabilmente, quello farmaceutico, è un settore che sta pagando la globalizzazione molto più di altri settori.
Cosa ne pensa dell’e-commerce?
L’e-commerce è la negazione di tutto quello che abbiamo detto. Io lo vedo come la negazione del senso della parola “farmaco”.
Sempre più spesso leggiamo notizie preoccupanti sull’abuso di farmaci, pensa che ci stiamo avvicinando agli Usa in questo errore?
In Italia i farmaci sono sempre stati presi sul serio, e anche oggi è così. Gli Usa, sono nati come contenitore di speranze di fasce di popolazione europea in seria difficoltà. I coloni americani cercavano nel nuovo continente di rimediare a tutte le privazioni subite in Europa, è qui che nasce la concezione americana del “tutto Big”, tutto è grande, non ci si accontenta, grandi spazi, grandi auto, grandi consumi… Una certa tolleranza generale, anche per le abitudini potenzialmente pericolose è stata d’obbligo in un paese formato da tante razze, tante tradizioni diverse. Qui non siamo in Usa, e le nostre regole devono essere più precise. Dagli Usa purtroppo importiamo soltanto quelle degenerazioni proprie alla loro cultura, al loro ambiente, mai le importanti iinclinazioni democratiche e meritocratiche.
Vorrei porle un’ultima domanda, professore, sul suo futuro. Che farà da grande?
Intanto tenterò di arrivare a 120 anni in ottima salute.
Questo glielo auguriamo dal profondo del cuore. E dal punto di vista lavorativo?
Attualmente ricopro la carica di rappresentante al consiglio universitario nazionale che è un organo consultivo del ministro e rimarrò in carica ancora quattro anni. Sicuramente continuerò l’attività di docente e poi vedrò come riposizionarmi all’interno di un mercato del lavoro in continua evoluzione.
RINGRAZIAMO IL CORRIERE DELL’IRPINIA PER AVER RIPORTATO L’INTERVISTA
3 risposte a “Intervista ad Prof. Dott. Ettore Novellino”
Ottimo! ringrazio Felice Guerriero per aver postato l’intervista. Il prof. Novellino ha fatto una analisi assolutamente condivisibile del mondo della farmacia e ci dice, tra le righe, quali sono le vere colpe dello sfascio a cui oggi assistiamo. In effetti buona parte degli attuali dirigenti, in qualsiasi campo, sono i figli del sessantotto che, se da un lato hanno determinato un nuovo modo di affrontare anche la politica e l’economia, ha anche partorito la massificazione e un appiattimento della cultura che si è adagiata nella superficialità delle proposizioni e quindi delle programmazioni e delle conseguenti scelte operative. Nessuno può tirarsi fuori dallo squallido risultato di cui oggi tutti siamo responsabili. I governi sono sempre l’espressione ed il summa della cultura degli amministrati. Bisognerebbe azzerare tutto e ricominciare. Ma vorrei chiedere al professore Novellino quanti dei nostri dirigenti, oggi, avrebbero il buon senso ed il buon gusto di dirci ” abbiamo sbagliato” ,” ci facciamo da parte”. Per disegnare le nuove basi sarebbe necessario che tutti gli attori diventassero propositivi senza curarsi del loro ” particulare” : lavorare per un ‘idea nuova” che sia condivisa da tutti. Le Università non possono e non devono programmare da sole ma dovrebbero operare in un contesto di condivisione di esperienze diverse che riconducano tutte ad uno stesso obiettivo finale. Le sberle appena prese ci aiuteranno a cercare anche i nostri errori senza ritenere che siano sempre gli altri a sbagliare? Non sarebbe una cattiva idea iniziare ad incontrasi e ragionare su nuovi progetti.
Dr. Sechi lei e’ un sognatore, anche si mi piace leggerla. Ma legge i comunicati stampa del Sindacato di cui fa parte? Gridano alla vittoria perche’ il Ministro Balduzzi forse dara’ un po di tempo per sistemare la direzione dei sessantacinquenni. Il Professore Novellino e mi sembra anche il dottore Mascheroni che seguo sempre con interesse aveva ammonito di stare all’ erta e pure lei lo aveva scritto, ma a Roma dormono. In toscana si dice chiudi lo stabiello solo quando ti accorgi che e’ scappato il porcello, e qui invece continuano a lasciarlo aperto. Azzerate la vostra dirigenza, mandate in pensione chi non ci ha protetto intanto il Presidente della Fofi va a fare il sindaco a Monza e buona notte ai sognatori.
Ringrazio Giovanna per avermi svegliato dal sogno. Ma il mio sogno non l’ho ancora espresso evidentemente. I numeri che si danno nei sogni vengono spesso giocati alle varie lotterie ma quelli che ho dato io non fanno vincere nessuno. I nostri rappresentanti a Roma non dormono e non sognano: hanno le idee molto chiare. Purtroppo le loro idee sono differenti da quelle che abbiamo noi, poveri mortali, che viviamo e ancora crediamo nella farmacia. Pensi che sono talmente sereni che all’ultima assemblea hanno detto ” adesso rimbocchiamoci le maniche e pensiamo alla convenzione e alla nuova remunerazione. Che Dio ci aiuti. Mandarli a casa? ci abbiamo provato ma, come ho detto, e lei perciò mi definisce sognatore, l’assemblea rappresenta la base culturale dei vertici, con poche eccezioni. E la cosidetta base non esiste: sbraita ma se li chiami a raccolta hanno sempre altro da fare. Ma sono un sognatore: insisto. Qualcosa dovrà pur accadere.