Federico II, si cambia: cinque Scuole al posto delle facoltà


Licenziato dal ministero dell’Istruzione il nuovo Statuto. Il rettore Marrelli: Ogni struttura sarà sottoposta a valutazione. Il pro-rettore Manfredi: Saremo ancora più vicini al territorio.

La Federico II ha cambiato volto. Mancano solo alcune limature burocratiche ma si può già dire che l’ateneo laico più antico del mondo è entrato in una sua nuova stagione. Cambiano le strutture didattiche, si trasformano gli organi di ricerca e muta pure l’intera catena di comando. Salvo alcune piccole osservazioni meramente formali, il Ministero dell’Istruzione ha “licenziato” il nuovo statuto federiciano approvato all’unanimità lo scorso ottobre dal Senato accademico.

È dunque ufficiale: non ci saranno più le facoltà, che saranno inglobate in nuovi macro-dipartimenti; al di sopra dei dipartimenti ci saranno le Scuole, che faranno da interfaccia tra i dipartimenti e il Senato accademico, che a sua volta da organo direttivo diverrà sostanzialmente un organo consultivo. Il potere decisionale infatti, e questo è stato uno dei punti più problematici della riforma, si concentrerà nelle mani di un Consiglio di amministrazione che tra le tante prerogative avrà la possibilità di occuparsi delle “chiamate” dei professori e dei ricercatori, di gestire la programmazione finanziaria, l’approvazione dei bilanci, di attivare o sopprimere corsi di studio.Ma, secondo Massimo Marrelli, il punto forte del nuovo statuto è il principio di valutazione terza. “Ogni atto, ogni struttura dell’ateneo sarà sottoposto a valutazione”, sottolinea il rettore. Il nuovo ordinamento entrerà effettivamente in vigore con la pubblicazione della gazzetta ufficiale, cosa che molto probabilmente avverrà entro maggio. Bisognerà inoltre aspettare i tempi di avvicendamento tra vecchie e nuove strutture, in pratica la nuova università andrà a regime verso la fine del 2012.

“Siamo di fronte a una importantisisma sfida – osserva Gaetano Manfredi, direttore del Dipartimento di Ingegneria Strutturale e prorettore di ateneo – non solo perché stiamo parlando della riorganizzazione di una struttura che svolge un ruolo nevralgico sul territorio, ma anche perché ci troviamo in una congiuntura molto delicata, in cui si tratta di ripensare lo stesso ruolo dell’accademia all’interno dei processi sociali ed economici”. Per vincerla, fa capire Manfredi, bisognerà fare di necessità virtù. Un esempio? “L’abolizione delle facoltà e l’assorbimento delle cattedre all’interno dei Dipartimenti servirà ad avvicinare forze finora distanti, a realizzare sinergie e, cosa da non sottovalutare, a responsabilizzare maggiormente le strutture”.

I tasselli fondamentali dell’ateneo saranno dunque i macrodipartimenti, che si occuperanno sia della ricerca scientifica che dell’organizzazione della didattica, e che saranno formati da un numero minimo di 50 tra professori e ricercatori. A differenza dei dipartimenti, rappresenteranno una novità assoluta le Scuole, organi di coordinamento costituite da più dipartimenti affini scientificamente e culturalmente. Le Scuole si occuperanno della gestione degli spazi comuni e della promozione della ricerca interdisciplinare, nonché di coordinare le attività didattiche comuni tra i dipartimenti. In tutto saranno quattro: la Scuola delle Scienze umane e sociali (con Lettere, Giurisprudenza, Sociologia, Scienze Politiche, Economia), la Scuola delle Scienze e delle Tecnologie per la vita (con Veterinaria, Farmacia e Agraria), la Scuola di Medicina e chirurgia (con Medicina), la Scuola Politecnica e delle Scienze di base (Ingegneria, Matematica, Fisica, Chimica e Geologia). Ancora incerto il destino di Biotecnologie e di Biologia. “Si tratta di materie trasversali – spiega ancora Manfredi – la prima per nascita, la seconda per come si è oggi evoluta; per questo ci siamo dati ancora un periodo di approfondimento con i reponsabili di ateneo e poi decideremo”. Tutto fa comunque supporre che entreranno entrambe a far parte della Scuola delle Scienze e delle Tecnologie per la vita.
L’aspetto più controverso del nuovo corso, come s’è detto, è quello relativo alla figura del nuovo Consiglio di amministrazione. La Riforma Gelmini ha infatti previsto l’ingresso all’interno dell’organo amministrativo-finanziario di ateneo anche di tre esterni, di nomina del rettore. La legge parla di “tre personalità eminenti per aver operato o per operare nel sistema della ricerca pubblica o privata o nel mondo della cultura”. Non possono essere professori dell’ateneo, ma neppure di altre università in qualche modo collegate con la Federico II. E, soprattutto, non devono ricoprire o aver ricoperto, negli ultimi tre anni, cariche politico-elettive. Alcuni osservatori hanno sottolineato il pericolo di un aperdità di autonomia. “Polemiche pretestuose – rispondono all’unisono Marrelli e Manfredi – perché si tratta pur sempre diu 3 mebri su 11, non potranno mai essere condizionanti”. “Ma, al di là di questo, – conclude il rettore – l’apporto di compewtenze esterne su certi specifici ambiti non potrà che farci bene”.
E a proposito di Marrelli, il nuovo statuto cambia le carte in tavola anche per il rettore. Chi siede sulla poltrona più importante dell’università non potrà, più avere incarichi di natura politica e sindacale, rimarrà in carica 6 anni ed il suo mandato non sarà più rinnovabile.


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