È tempo che il sindacato cambi faccia e che modifichi anche il suo sistema di rappresentatività. L’ultima revisione dello Statuto si è dimostrata insufficiente.
Presidente Annarosa Racca, le scrivo senza averne titolo, in quanto sono un titolare di farmacia non iscritto alla Federazione nazionale
dei titolari di farmacia italiani. In realtà, nessun titolare è iscritto a Federfarma; infatti essi possono iscriversi solamente all’Associazione della Provincia nella quale hanno sede le loro farmacie.
E possono votare solamente in quella Provincia. Infatti:
Art. 1 – È costituita la Federazione nazionale unitaria dei titolari di farmacia italiani – Federfarma. Essa riunisce e rappresenta
le Associazioni Provinciali tra i Titolari di Farmacia e le Unioni Regionali tra le stesse costituite, ad essa aderenti.
Art. 5 – L’adesione alla Federfarma, da parte delle Associazioni provinciali e delle Unioni regionali, avviene su domanda del Consiglio delle organizzazioni medesime…
Art. 8 – Con l’adesione delle Associazioni, i soci di ciascuna di esse sono rappresentati anche dalla Federazione Nazionale.
Art. 10 – L’Assemblea Nazionale è composta di due rappresentanti per ciascuna Associazione aderente e di uno per ciascuna
Unione…eccetera. Le Associazioni e le Unioni regionali sono le uniche iscritte a Federfarma; al contrario, i titolari sono rappresentati ma non iscritti e quindi non possono votare. Pertanto, posso scriverle come titolare libero pensatore, nell’attesa di potermi iscrivere
direttamente.
CAUSE DELLA SCONFITTTA
La sconfitta della farmacia italiana (quindi anche della mia) deriva esclusivamente dalla incapacità del sindacato unico a rappresentare
e divulgare l’istituzione farmacia, il ruolo professionale dei titolari, i loro interessi e le loro istanze, almeno negli ultimi dieci anni. E tale incapacità discende solamente dal sistema rappresentativo, non democratico ed elitario, che lei ha cercato di riformare con l’ultima revisione dello Statuto ma senza riuscirvi, a causa dell’interesse dei delegati dell’Assemblea che hanno voluto mantenere il controllo feudale dei propri iscritti. Tutto questo non ha permesso ricambi veloci con colleghi molto più giovani e preparati e forse anche più agguerriti poiché, con il passare degli anni, si perdono anche gli stimoli oltre alle idee, tranne pochissime eccezioni. Come
lei sa, perché alcuni di loro da tempo cercano di farle le scarpe, ci sono rappresentanti provinciali e regionali che vivono a spese di Federfarma da venti e anche da trent’anni, qualcuno perfino da più tempo.
Un parallelo e uno specchio della politica e del suo sistema. Pazienza, se questo portasse a risultati sempre migliorativi; anno
dopo anno, invece, dalla padella alla brace e dalla brace al carbone e poi alla polvere. Ora vengo al punto: per quale insano motivo, dirigenti dei massimi livelli, loro collaboratori, loro elettori e sostenitori, dopo l’ultima tragica sconfitta che annulla il concetto di farmacia (avendo trasferito fuori di essa i farmaci e anche la prescrizione medica che, da oltre 700 anni, sono prerogativa solamente di questa istituzione, concetto ribadito anche dal regime concessorio da parte dello Stato e delle Regioni), non hanno la vergogna, no, diciamo solo il pudore, non voglio dire di fare harakiri, come l’ammiraglio giapponese Onishi all’annuncio della resa alla fine
della seconda guerra mondiale (anche se personalmente la ritengo una nobile tradizione da rispettare in certi casi), ma almeno di dimettersi tutti in blocco. E non solo il Consiglio nazionale, ma anche quelli regionali e provinciali che, sia pure indirettamente, hanno generato con il loro voto questa dirigenza e questi risultati, avallando ogni scelta del Consiglio nazionale? Le dimissioni sono un atto dovuto quando si sbaglia o si viene sconfitti (lo fanno anche gli allenatori di calcio).
So già che i supporter, la curva nord e sud, diranno che è sbagliato restare senza vertice nel momento del disastro, anzi bisogna supportarlo di più. Ma quando mai? E Cesare allora? E il 25 luglio del ’43? E, molto modestamente, Berlusconi Silvio? Bene ha fatto il presidente Alfredo Orlandi a proporre le dimissioni sue e del Consiglio del Sunifar e male ha fatto a non renderle irrevocabili per dare modo ai farmacisti rurali di dibattere liberamente e di scegliere nuove persone. Ma Federfarma no, non si dimette, duri e puri mantengono la posizione fino all’affondamento della nave, altro che Schettino.
UN AUSPICIO
Il mio auspicio, come ben sa, sarebbe una autorevole e grave conferenza stampa, davanti a televisioni e giornali, magari a Milano
e anche a Roma, durante la quale lei, presidente elenca in modo pignolo ma puntuale tutti i numeri veri della nostra realtà, non fermandosi solo agli abitanti, al numero delle farmacie, di quelle urbane grandi e piccole, di quelle rurali sussidiate e non. Ma andando fino in fondo, anche scontentando i baroni (che ci hanno messo nella melma), con i numeri dei ricavi delle farmacie e degli utili, prima e dopo le tasse, che si raggiungono alla fine dei giochi, per la dispensazione in regime di Ssn, in regime privato, in Dpc, gli utili da servizi (resi per lo più gratuitamente), senza paura di scandalizzare se esiste una farmacia che ha grandi potenzialità a fronte di migliaia che faticano a tirar fuori lo stipendio per il titolare. E poi il numero di turni all’anno, le ore lavorate durante la normale apertura
ma sommate alle ore lavorate in ufficio per adempimenti burocratici, in magazzino per fare quello che dovrebbe fare un non laureato che non possiamo permetterci. E poi le ore di aggiornamento (non solo Ecm ma anche volontario), al fine di far scoprire al mondo che siamo pagati molto al di sotto di una badante (detto con il massimo rispetto per chi fa un lavoro così duro e spesso avvilente). Numeri seri, documentati, onesti, che scoprono anche situazioni milionarie, ma, a fronte di migliaia di situazioni radenti la povertà, cui nessuno crede, né i politici, né i media, né la popolazione. Una conferenza stampa nella quale si dichiari che i veleni sparsi contro i
farmacisti, seppure con motivi reali ma legati a numeri irrisori rispetto ai 17.000 onesti, sono strumentali e che li respingiamo come categoria, perché fanno parte del marcio che esiste in ogni società e in ogni settore e in ogni categoria (come si vede tutti i giorni) e li condanniamo prendendo le distanze come parte lesa contro questi delinquenti non più colleghi. Una conferenza stampa che spieghi anche la mancanza di una Convenzione con lo Stato da almeno dodici anni e, comunque, lo stravolgimento unilaterale delle regole, fissate nell’ultima del 1998, elencandole una a una per dimostrare la nostra buona fede e la malafede del sistema pubblico, amministrativo e politico. E, alla fine, l’annuncio dell’azzeramento di tutte le cariche: nazionali, regionali e provinciali, per dar modo a un Comitato di base di rifondare il sindacato dalle sue ceneri, con regole diverse, con rappresentanze nuove e assolutamente distaccate da quelle passate, con motivazioni e idee innovative che ricostruiscano mattone su mattone la farmacia che è stata rasa al suolo da interessi esterni alla categoria: grande finanza, grande speculazione, grandi multinazionali, ma anche dalla connivenza
per incapacità a rinnovarsi e a innovare la farmacia italiana lungo gli anni che avevano annunciato il cambiamento degli Stati e del welfare e che nessuno ha voluto prevedere, discutere e riorganizzare. Ora più che mai, essendo stato approvato il decreto in via definitiva (sia pure con il voto di fiducia che ha impedito ogni intervento correttivo) e avendo, l’avvocatura del Ministero risposto ai quesiti posti dalle Regioni, così da definire due punti, tra gli altri, disastrosi: «La modifica è, inequivocabilmente, diretta ad eliminare la “pianta organica” delle farmacie e le procedure alla stessa correlate… È da ritenere che l’apertura di una nuova farmacia debba ancora rispettare la distanza minima di 200 metri dalle farmacie già aperte.. Il vincolo normativo trova applicazione anche nei riguardi del titolare individuale di farmacia, che, se ultra sessantacinquenne, potrà mantenere la titolarità ma dovrà affidare la responsabilità dell’esercizio a un direttore avente i requisiti di età…. dovrà riguardare tutte le farmacie che si trovano in una situazione irregolare, ivi comprese le farmacie rurali sussidiate a titolarità individuale, in quanto il legislatore non ha previsto eccezioni… Nel caso di non ottemperanza del farmacista alla intimazione dell’autorità, potrà darsi immediato avvio al procedimento
disciplinare da parte dell’ordine professionale, ferma restando la possibilità dell’autorità locale competente di disporre provvedimenti che incidono sull’apertura della farmacia…». Parole che affermano in modo chiaro e durissimo che le regole sono cambiate e le farmacie sono negozi normali che saranno aperti nei punti decisi dal sindaco (magari in cerca di voti o peggio) rispettando solamente
la distanza dei 200 metri; e, anche, che i titolari di farmacia ultra sessantacinquenni sono rimbambiti (mentre tutti i politici e i dirigenti pubblici sono esenti da tale patologia, anzi, migliorano con gli anni, vedi il presidente), e possono anche smettere di lavorare,
tanto hanno una pensione autonoma che non grava sulle casse dello Stato.
Sarebbe il caso che nella conferenza stampa lei (perdendo l’aplomb che le è proprio e finalmente incavolandosi come una Camusso) urlasse a questi professori quale è il livello della nostra pensione e che i titolari rurali sussidiati (ma anche molti urbani) lavorano da soli per mancanza di risorse economiche e, pertanto, non possono assumere un direttore ma solo svendere il loro sacrificio di 30-40 anni di lavoro. Abbandoni, la prego, l’idea antipopolare e non professionale della serrata e ci convochi tutti e 16.000 (iscritti e non) a Roma in occasione della conferenza stampa: quattro legioni, una davanti al Quirinale, un’altra davanti a palazzo Chigi, una terza davanti a Montecitorio e una quarta davanti a palazzo Madama, tutti in camice e caduceo, a urlare per tutto un giorno la nostra rabbia per la distruzione di una professione a favore dei mercanti che per definizione sono disinteressati alla salute dei cittadini e al welfare, e la nostre delusione per uno Stato della grande finanza e non dei cittadini. Presidente, rivoltiamoci dunque contro l’ingiustizia e l’oppressore, e poi tutti a casa e facce giovani. Senza offesa, senza rancore, ma con determinata convinzione. Sarebbe il caso che nella conferenza stampa lei urlasse a questi professori quale è il livello della nostra pensione e che i titolari rurali sussidiati (ma anche molti urbani) lavorano da soli per mancanza di risorse economiche e non possono assumere un direttore ma solo svendere il sacrificio di 30-40 anni di lavoro.
Dott. Maurizio Guerra
Tutto ciò è il risultato della incapacità a rinnovarsi e a innovare la farmacia italiana lungo gli anni che sin dal 2000 avevano annunciato il cambiamento degli Stati e del welfare e che nessuno ha voluto prevedere, discutere e riorganizzare.
Tutto ciò è il risultato di aver consentito ai dirigenti nazionali di FOFI e Federfarma di mantenere per un ventennio le postazioni occupate, tirando a campare, pensando solo al proprio
posizionamento evitando con cura che “qualsiasi portatore” di novità potesse infettarli o distoglierli dalla cura dei propri interessi e dalle loro “vacanze romane”.!
Ed i pochi nuovi arrivati sono peggiori dei primi!!!