La farmacia ha bisogno di rifondarsi. Deve andare a occupare nuovi spazi per contrastare la perdita di utile sul farmaco che deriva da manovre e genericazioni. Deve giocare la carta dei servizi ma soprattutto deve incunearsi nel processo di “deospedalizzazione” della Sanità che da anni sposta progressivamente cure e pazienti sul territorio. E deve cambiare modello di remunerazione, per svincolare gli utili dal prezzo della confezione e agganciarli invece alle prestazioni professionali del farmacista.
Si può riassumere in questi termini il progetto di “rifondazione” che Federfarma Piemonte ha presentato sabato in un summit per addetti ai lavori, una sorta di anteprima per saggiare commenti e reazioni in vista del lancio ufficiale. Il quadro da cui muove il progetto è noto: a causa di manovre e genericazioni, negli ultimi dieci anni le farmacie hanno perso in media circa 77mila euro di marginalità. Il primo margine sulla ricetta è sceso ormai a 4,65 euro per le urbane e tutto fa pensare che la discesa sia destinata a proseguire. «Quello che facevamo fino a ieri» ha detto senza mezzi termini Marco Cossolo, segretario di Federfarma Piemonte «non serve più». «Non si cambia» ha rincarato Luciano Platter, presidente di Federfarma Torino «se non c’è cambiamento di mentalità». Le farmacie, in sostanza, devono imparare a fare qualcos’altro ed ecco allora la proposta piemontese della “farmacia di comunità”: una farmacia che fa servizi ma soprattutto che si propone al Servizio sanitario come partner in grado di risolvere i suoi problemi di assistenza sul territorio. «La parola d’ordine oggi è deospedalizzare» ha ricordato il presidente di Federfarma Piemonte, Massimo Mana «noi dobbiamo inserirci in questo processo e andare a prendere le risorse del livello ospedaliero». Le opportunità per farlo sono quelle che derivano dalle esigenze di Asl e Regioni nella gestione dell’assistenza sul territorio: servizi domiciliari, compliance, screening e presa in carico. «I diabetici incidono per il 7% della spesa Ssn» ha detto ancora Mana «e il 5% di loro non sa di esserlo. Riuscire a “scovarli” e assicurarne la presa in carico da parte dello specialista garantisce risparmi consistenti al Ssn; chi meglio delle farmacie può essere decisivo?».
Per reggersi sulle proprie gambe, tuttavia, la farmacia di comunità ha bisogno di un nuovo modello di remunerazione: non quello misto “alla tedesca” (fisso più margine) ma uno più articolato, che retribuisca il titolare per le prestazioni professionali, come in Svizzera o Francia. Nel programma piemontese c’è un modello di proposta con percentuali e proiezioni, che prevede compensi per l’identificazione dei pazienti a rischio, per l’apertura di una scheda paziente informatizzata, per il monitoraggio della compliance e così via. «Su questa proposta andrà trovato un sano e franco confronto con le Regioni» ha concluso Mana «ma sono convinto che riusciremo a convincerle dimostrando dati alla mano i risparmi che possono ricavare da una farmacia non più imperniata solo sulla chimica ma anche sulla clinica».
Prima bisognerà fare in modo che la proposta di Federfarma Piemonte diventi la proposta di tutto il sindacato.
Via Farmacista33