Quesito – Una revisione straordinaria che può essere contastrata

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Il Consiglio comunale ha deliberato l’istituzione di una terza farmacia, circoscrivendo una sede farmaceutica praticamente corrispondente a un terzo dell’intero territorio e ritagliando le due sedi preesistenti. Questa terza sede però, proprio come le altre due, parte in pratica dalla piazza del Municipio con il rischio che la farmacia possa essere aperta anch’essa più o meno nel centro storico, nonostante la delibera abbia indicato come bisognosa di una farmacia un’area periferica caratterizzata, ancor più nei prossimi sei mesi, da un notevole incremento di insediamenti abitativi.

Per la verità, parecchi dei provvedimenti comunali di “revisione straordinaria” portati alla nostra attenzione mostrano, anche sorprendentemente, serietà d’intenti, buona competenza e opzioni abbastanza conformi all’art. 11 del dl. liberalizzazioni e quindi,
tutto sommato, appaiono ben poco censurabili. Anche la partecipazione di Asl e Ordini si rivela spesso adeguata e comunque più
apprezzabile di quel che probabilmente era lecito pensare. Il tema è però molto complesso e variegato e merita di essere esaminato con i giusti approfondimenti nelle sue diverse criticità, sia sul piano dei principi generali come dello stretto merito delle scelte volta a volta adottate; quel che ci ripromettiamo di fare in una prossima circostanza. Abbiamo tuttavia voluto rispondere sin d’ora almeno a questo quesito (avendo sotto gli occhi la delibera comunale) perché, oltre ad un problema di merito quasi
paradigmatico, ne pone un altro rilevante invece sul piano delle competenze.
Quanto a quest’ultimo, infatti, ci pare che l’adozione dei provvedimenti rimessi ai
comuni dall’art. 11 spetti alla Giunta e non al Consiglio, trattandosi di materia
rientrante nelle attribuzioni residuali dell’organo di governo ai sensi dell’art. 48 TU.
Enti locali, e non potendosi qui delineare autentici atti di pianificazione e/o
programmazione tali da riservarne la competenza al Consiglio ex art. 42 stesso TU.

Nel Suo caso, quindi, la delibera consiliare parrebbe illegittima.
Sulla questione, invece, della collocazione sul territorio della terza farmacia, pur
ribadendo la difficoltà in sé di penetrare nel merito di un provvedimento che è
discrezionale anche se non meramente discrezionale (come abbiamo ricordato in altra
occasione), sembra illogica e manifestamente contraddittoria – ancor più rispetto
all’obiettivo espresso di voler provvedere ad assicurare o rafforzare l’assistenza
farmaceutica in una zona periferica del capoluogo – la configurazione di una sede che
permetta nel concreto, al suo assegnatario all’esito del concorso straordinario, di
ubicare l’esercizio in una zona persino centrale e dunque, fermo il rispetto della
distanza legale, anche a ridosso delle due farmacie attualmente funzionanti.
Invero, come ormai ben sappiamo, la riforma del settore contenuta nell’art. 11
persegue – come del tutto primarie – le finalità di garantire “una più capillare presenza
sul territorio” delle farmacie e quella di “assicurarne un’equa distribuzione sul territorio,
tenendo altresì conto, ecc.”, e perciò – ancor più ineludibilmente di quanto sia stato sino
ad ora – una nuova sede farmaceutica deve essere disegnata e innestata
territorialmente con stretto riguardo al pur virtuale bacino d’utenza cui si intende
destinare la farmacia, e quindi includere e contenere una porzione di territorio sotto
quest’aspetto sufficientemente omogenea, talché insomma, qualunque sia il locale
prescelto al suo interno per l’attivazione dell’esercizio, l’assistenza farmaceutica a
quell’utenza, residente e/o passante, sia presuntivamente (una presunzione
naturalmente non assoluta) erogata allo stesso modo.
Certo, un problema del genere non si porrebbe nel caso in cui fosse approvato quel
recente ddl. governativo, ma non si porrebbe neppure oggi ove avesse ragione il
parere ministeriale del 21/3/2012 sulla sufficienza – ai fini dell’ubicazione delle
“nuove farmacie” – dell’indicazione della via/piazza e adiacenze, e quindi sul venir
meno della necessità di una “sede farmaceutica” per ogni esercizio; ma anche nella
sopravvivenza della “sede” la sua configurazione non può non tener conto, come si è
visto, della “zona” (nel significato “ministeriale”) in cui la farmacia possa/debba
essere aperta.
Operando invece (come nella vicenda descritta nel quesito) diversamente, e sia pure
magari con la riserva del Comune di poter ipoteticamente impedire al titolare della
sede di attivare l’esercizio in una zona (centrale) e indurlo a scegliere un’ubicazione
diversa (periferica), il provvedimento può esporsi a censure anche per eccesso di
potere sotto i profili accennati.
Piuttosto, sorprende il parere espresso sia dall’Asl che dall’Ordine, che si allineano
infatti quasi meccanicamente all’idea comunale, senza tentare una benché minima
“dialettica” e in ogni caso senza sprecare parole; non è questo, infatti, quel che vuole
l’art. 11.

Gustavo Bacigalupo

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