I farmaci equivalenti sono in commercio ormai da 11 anni, ma soltanto dal 25 marzo di quest’anno è stato introdotto per legge l’obbligo di informare della loro esistenza i pazienti. Oggi, infatti, il medico che prescrive un farmaco deve indicare se ne esistono in commercio anche di equivalenti. Quando, poi, non è espressamente specificata nella ricetta medica la “non sostituibilità” della medicina prescritta, il farmacista ha l’obbligo di informare il cittadino dell’eventuale esistenza e disponibilità di farmaci equivalenti di prezzo inferiore.
L’opportunità di risparmio per i cittadini e per il Servizio Sanitario Nazionale è legata alla mancanza di coperture brevettuali e ciò comporta un risparmio medio del 55% rispetto ai farmaci cosiddetti di marca che non abbiano perso il brevetto. In Italia il giro d’affari è di circa 800 milioni di euro l’anno. Ma nonostante la richiesta di generici sia in continua crescita negli altri Paesi dell’Unione Europea, in Italia rappresentano solo il 15-16% della quota di mercato. Ma perché continuano a resistere dubbi e disorientamento tra i consumatori e la classe medica, quando si tratta di medicinali la cui qualità, sicurezza ed efficacia è fuori discussione?
A questo e ad altri quesiti che ruotano attorno ai farmaci equivalenti si è cercato di dare una risposta nell’evento formativo “I farmaci generici-equivalenti e in generale a brevetto scaduto tra pregiudizi e resistenze. Appropriatezza d’uso e sostenibilità” organizzato nel contesto del corso di Igiene per studenti della Facoltà di Farmacia dell’Università degli Studi di Milano.
“L’ingresso dei generici nel mercato farmaceutico mondiale è un fenomeno di grande interesse in termini economici e sociali. In Italia ancora molti pregiudizi si oppongono a un loro impiego crescente: dubbi sull’efficacia, su un’effettiva bioequivalenza, sugli eccipienti, persino sulle quantità di principio attivo. Un’informazione scientifica indipendente ha il compito di risolvere questi punti controversi” ha dichiarato il dott. Alberto Donzelli, titolare del corso e direttore Servizio Educazione all’Appropriatezza ed EBM- Asl di Milano.
Oggi nel nostro Paese più della metà dei farmaci in commercio è fuori brevetto e nei prossimi anni lo sarà la quasi totalità delle molecole. Le conseguenze immediate saranno più scelta per i consumatori e abbattimento dei prezzi. La strada, però, è ancora lunga. Se infatti in Germania e in Inghilterra il 50-70% dei farmaci dispensati è generico, in Italia lo è solo il 12%, anche se questa percentuale sta crescendo di anno in anno.
“Il farmaco equivalente in Italia continua a non avere vita facile. Eppure offre le stesse garanzie di qualità, efficacia e sicurezza del prodotto originatore, perché i procedimenti adottati per la sua produzione devono rispettare i principi e le linee guida delle Norme di Buona Fabbricazione al pari dei farmaci cosiddetti di marca. La differenza fondamentale è il prezzo, inferiore fino al 20-60%. Nonostante questi evidenti vantaggi permangono dubbi e perplessità, che il decreto liberalizzazioni non ha contribuito a smorzare” ha precisato il dott. Giorgio Foresti, AD di Teva Italia e presidente di Assogenerici.
Sull’appropriatezza dell’uso dei farmaci a brevetto scaduto si è soffermato il dott. Michele Tringali, referente Programma regionale di Valutazione Tecnologie sanitarie presso Direzione Generale sanità regione Lombardia e responsabile HTA dell’ASL Pavia: “I farmaci equivalenti sono copie dei farmaci originatori che, al contrario di quanto sostenuto da interessi di parte, non presentano differenze rispetto all’originatore, non comportano alcun problema clinico, possono sostituire l’originatore in piena sicurezza per il paziente. Gli studi autorizzativi come l’esperienza clinica internazionale, quando non gravata da pregiudizi, dimostrano che gli equivalenti agiscono in modo identico ai rispettivi originatori in qualsiasi popolazione, compresi donne, bambini e anziani. Ovviamente l’effetto può variare da individuo a individuo, così come può accadere per l’originatore: il medico adatta la terapia alle condizioni individuali per l’originatore come per l’equivalente. Perdura il mito che le condizioni patologiche (ad esempio alterazioni della capacità metabolizzante epatica o renale) possano modificare l’effetto terapeutico degli equivalenti, ma ciò accade in modo identico per i farmaci originatori”.
Però quando si può scegliere tra un generico e un farmaco “di marca”, quasi 3 italiani su 4 optano ancora per quest’ultimo. Nulla a che vedere con gli Stati Uniti, dove la percentuale di preferenza per il generico è del 90% o con la Gran Bretagna e la Germania dove arriva al 70%.
“Le associazioni di tutela dei consumatori sono schierate a favore dei farmaci equivalenti, a difesa della sostenibilità del Sistema Sanitario e del reddito dei cittadini” ha osservato Piero Pacchioli, presidente Movimento Consumatori-Comitato regionale lombardo. “Con i farmaci di marca, oltretutto, i cittadini sono spesso chiamati a pagare di tasca propria la differenza con i prezzi di riferimento stabiliti dallo Stato. Per famiglie a basso reddito e con patologie multiple queste differenze comportano oneri ulteriori e gravosi”
Via Pharmastar
Una cagata pazzesca