«Non ci sono più margini per altri provvedimenti restrittivi. Nuovi tagli sarebbero insostenibili e metterebbero a rischio i nostri investimenti e l’intero settore. Anche sull’occupazione finora abbiamo “tenuto”, ma siamo al limite estremo». Le aziende farmaceutiche a capitale italiano scendono in campo contro la manovra che sembra destinata a colpire anche il farmaco made in Italy.
È quasi un appello-manifesto quello che lanciano insieme, a nome di tutto il gruppo delle industrie italiane, Lucia Aleotti (vicepresidente della Menarini e vice presidente di Farmindustria), Alberto Chiesi (presidente Chiesi) e Giovanni Recordati (presidente Recordati). Una presa di posizione che nasce anche dalla rivendicazione dei numeri che possono vantare: 400 milioni di investimenti in produzione nel 2011, il 33% dell’intero comparto; un’occupazione che viaggia oltre i 20mila addetti (su 65mila totali), quasi il 25% in R&S. E poi la forza che stanno dimostrando nella internazionalizzazione. La Chiesi (1.500 dipendenti in Italia e 2.500 oltre confine) nel 2011 ha realizzato all’estero il 72% dell’intero fatturato di 1,015 miliardi; per Recordati (1.100 dipendenti in Italia, 2.100 fuori) su 762 milioni di fatturato il 71% e stato all’estero; Menarini (13mila dipendenti, il 73% fuori Italia) ha realizzato all’estero il 66,3% dell’intero fatturato di oltre 3 miliardi del 2011.
Numeri da primato che però adesso devono confrontarsi con i nuovi tagli in arrivo, dopo gli 11 miliardi già attuati negli ultimi cinque anni e una riduzione di 10mila posti di lavoro. Nell’operazione di rilancio dell’economia il farmaceutico rivendica ora un ruolo di primo piano.«Caratteristiche e trend del mercato anche per le industrie farmaceutiche a capitale italiano potrebbero invertirsi o ridursi se continuassero i provvedimenti e le misure che hanno colpito il comparto in questi cinque anni – mette in guardia Alberto Chiesi –. Quei tagli hanno determinato una tassazione aggiuntiva di notevolissima dimensione, che ha azzoppato le possibilità di crescita di un comparto che nel suo insieme oggi fattura 25 miliardi». Aggiunge Giovanni Recordati: «È evidente come l’industria farmaceutica possa costituire un significativo driver per la crescita. Sarebbe contraddittorio darsi l’obiettivo di favorire lo sviluppo e intanto caricare in maniera sproporzionata il contenimento della spesa sanitaria su uno dei pochi settori che obiettivamente possono determinare crescita e sviluppo».
Insomma: guardia alta e la promessa di essere sempre più parte attiva per la ripresa. Spiega Lucia Aleotti: «Non si può tagliare all’infinito e colpire sempre e solo noi. In funzione del rilancio dell’economia, è venuto il momento di uscire dall’equivoco che vede la sanità come fattore improduttivo a carico del bilancio pubblico. Serve una politica industriale di sviluppo della filiera della salute e in particolare della farmaceutica. Le imprese del farmaco a capitale italiane sono pronte a fare sempre di più la loro parte per la ripresa del Paese».