Il 15 settembre leggo, su “Quellichelafarmacia Magazine”, quanto affermato dal Sen. Tommassini a riguardo della distribuzione diretta di farmaci da parte delle ASL.
Penso che l’articolo meriti più attenzione e maggior pubblicità rispetto alle tesi portate avanti da chi (SIFO e SINAFO) è soprattutto preoccupato a tutelare i posti di lavoro e la retribuzione di coloro che in ospedale e nelle strutture pubbliche sono occupati in mansioni finora di pertinenza delle farmacie territoriali e da esse perfettamente espletate secondo legge con piena soddisfazione dei cittadini.
E si, perché in questa diatriba sui risparmi per il SSN, che doverosamente deve essere considerata, il cittadino è relegato a un ruolo marginale, oserei dire secondario.Dovrebbe far riflettere, oltretutto, l’affermazione del Sen. Tommassini in cui sostiene che “le consegne non sempre avvengono da mani professionali, magari addetti tecnici, personale non specializzato”.
Grave e non detta a caso!
E infatti, ben ricordo la puntata del 4 nov. 2007 della trasmissione REPORT, su RAI 3, intitolata “La cosa giusta”, in cui si professava il risparmio dell’ASL 1 di Imperia in Liguria con l’attuazione della distribuzione diretta.
In essa un certo “sig. Renato” (farmacista?!) consegnava a domicilio i farmaci.
E quel che accadeva nell’ASL di Imperia è prassi altrove.
Per chi vuol approfondire l’argomento, rimando ai seguenti link:
http://msfi.forumattivo.com/t600-la-cosa-giusta
Oggi, dopo l’indagine commissionata da Federfarma al CREF (Centro Ricerche Economia e Formazione), dopo aver gridato che il Re è nudo, “i dirigenti farmacisti ospedalieri e territoriali del Ssn ribadiscono la propria totale disponibilità a rendere pubblici i costi reali della distribuzione diretta e a un confronto con le altre realtà organizzative”! (da “farmacista33” del 19/09/2012)
Ma non sarebbe stato opportuno farlo prima?
Prima che il CREF dimostrasse il dispendio di risorse in una distribuzione non capillare e inutile economicamente per l’economia delle ASL; ma certamente proficua per il personale addetto!
Anzi, trattandosi di risorse pubbliche, perché in tutti questi anni non è stato reso obbligatorio un corretto monitoraggio della spesa pubblica farmaceutica ospedaliera parametrandola a livelli qualitativi standard (LEA) ben precisi?
Perché non ribadire prima questa disponibilità, anzi, pretenderla a garanzia dei minor costi della distribuzione diretta e della copertura di spesa?
Perché non si è chiesto a gran voce, e anche qui il sindacato dei farmacisti è stato deficitario, un benchmarck per la valutazione e il miglioramento di un’attività delicata come quella distributiva farmaceutica?
L’eccesso della spesa farmaceutica ospedaliera è sotto gli occhi di tutti i professionisti interessati.
Nulla è stato fatto per ridurla, poco per evidenziarla, tanto per dissimularla.
Tant’è che nella finanziaria di quest’anno il “tetto” oltre il quale si verificherebbe lo splafonamento è stato aumentato a discapito della farmaceutica territoriale.
In pratica non si è inciso sugli sprechi o la mal gestione ma si è aumentato il limite oltre il quale essi si verificano!
Ciò a maggior validazione di quello che da sempre si sa: la coperta sanitaria è corta e non può coprire tutti i costi (e gli sprechi), con buona pace per la Spending Review di Monti e del Decreto Balduzzi!
Ma allora le 17.000 farmacie italiane hanno ben il diritto di far sentire la propria voce e chiedere trasparenza nei conti, visto che lo splafonamento della spesa farmaceutica cade inesorabilmente su di loro e non sugli stipendi (lauti) dei colleghi ospedalieri.
Antonio Castorina e Roberta Di Turi, segretario e vicesegretario nazionale del Sinafo, ritengono che i risultati della ricerca dovrebbero trovare le necessarie conferme in una indagine che coinvolga le diverse realtà italiane, senza entrare nel merito della validità del metodo utilizzato.
E perché?
Perché non validare un metodo di riscontro dei dati entrando nel merito?
Anzi, rilancio, perché non stabilire un disciplinare tecnico al quale le strutture ospedaliere e quelle territoriali debbano fare riferimento per poter erogare i farmaci PHT?
Mi ricollego qui a quanto affermato da Laura Fabrizio, presidente della Società italiana di Farmacia ospedaliera, e riportato da “farmacista33”.
Ella, in un singulto di professionalità dichiara che nell’analisi del CREF ” Viene, inoltre, omessa l’analisi dei costi derivanti dai rischi legati alla distribuzione sul territorio di farmaci ospedalieri che per la loro peculiarità necessitano di un’erogazione in strutture appropriate.
I farmaci, specialmente quelli innovativi e, quindi, più costosi, devono essere gestiti direttamente dalle aziende sanitarie locali o nelle aziende ospedaliere da professionisti appositamente qualificati e specializzati».
Quindi la dr.ssa Laura Fabrizio, oltre che dissentire dall’indagine svolta dal CREF e dubitare della corretta esposizione dei dati poiché “condotta su un campione assolutamente insignificante: una sola Asl rispetto alle oltre 140 esistenti in Italia” vorrebbe che i farmaci PHT venissero erogati in strutture appropriate.
E Viva Dio se tale auspicio venisse accolto!
Ma, le farmacie cosa sono?
Non sono forse strutture appositamente attrezzate per la distribuzione dei farmaci e sottoposte a rigorosi controlli da parte di vari Enti giuridicamente riconosciuti (NAS, NAD, Guardia di Finanza, Ispettorato del Lavoro, Ordine dei Farmacisti, ecc.) e, soprattutto, ASL?
A tal riguardo, chi controlla invece il controllore?
Chi verifica che nelle ASL vengano rispettate le stesse regole richieste alle singole farmacie?
Una considerazione a parte invece merita l’asserzione che i farmaci innovativi e più costosi debbano essere gestiti direttamente dalle ASL.
Qui il discorso si fa un po’ più tecnico.
Cosa determina che un farmaco debba o meno essere erogato in distribuzione diretta?
Forse il fatto che esso, per la peculiarità del principio attivo, essendo ad alto impatto critico terapeutico e quindi poco maneggevole, richiede un’attenzione particolare nella somministrazione e nella vigilanza dell’adesione alla terapia da parte del paziente o il suo costo?
A mio modesto avviso è solo il denaro che vincola le scelte dei dirigenti ASL!
Poco importa loro del rischio che un farmaco critico possa essere somministrato in ambiente extraospedaliero, anche da personale inesperto.
Prova ne sia che eguali molecole vengono erogate, in base al prezzo della confezione, in distribuzione diretta dalle ASL se esso supera una soglia minima atta a garantire un tornaconto economico; viceversa si preferisce lasciare quest’onere alle farmacie territoriali.
Quindi di cosa vogliono discutere i rappresentanti della SIFO e della SINAFO?
Del nulla?
Ritornando alle affermazioni del Sen. Tommasini, non posso che reputarle veritiere, almeno fino a prova contraria.
E, per beneficio di coloro che desiderano sempre testimonianza su ciò che viene dibattuto e scritto, riporto qui sotto quanto pubblicato su “Quellichelafarmacia Magazine”.
“Le Asl di molte regioni spesso fanno delle consegne massicce di farmaci, fino a sei mesi, si rasenta l’abbandono terapeutico, una scelta che si risolve in sprechi e grossi errori di terapia perché le consegne non sempre avvengono da mani professionali, magari addetti tecnici, personale non specializzato”. L’accusa è grave, ma a farla è Antonio Tomassini, presidente della Commissione Igiene e Sanità’ di Palazzo Madama, nonché Senatore Pdl, che aggiunge: “Il dato più’ semplice da vedere e’ che la spesa territoriale del farmaco e’ diminuita ed e’ sotto controllo mentre quella ospedaliera ha splafonato oltre il limite passando da 2 a 5 miliardi”. Tomassini non lascia dubbi e asserisce duramente che spesso nelle strutture pubbliche il servizio è svolto da “mani non professionali”; parole dure che non mancano di sottolineare che l’unico risparmio vero che si ha nella distribuzione diretta dei farmaci è quello che si ottiene nell’acquisto dei f
armaci. Potrebbe essere applicato lo stesso sconto anche alla rete ordinaria di farmacie se queste dovessero sostituire le strutture pubbliche nella dispensazione?
Dr. Raffaele Siniscalchi