Chiuse due farmacie Romane al Tritone e al Tuscolano. «Truffavano le Asl»

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L’accusa: rimborsi per medicine mai vendute. I controlli scattati nel 2005: revocate le licenze.

Truffavano il sistema sanitario nazionale, facendosi rimborsare farmaci mai venduti. Ma dove non è arrivata la giustizia penale – che per la più notadelle due farmacie coinvolte ha dovuto dichiarare la prescrizione – ci ha pensato la burocrazia amministrativa del comune di Roma che ha deciso di revocare la licenza ai farmacisti condannati: a ferragosto hanno chiuso i battenti l’Antica Farmacia del Corso in via del Tritone 16 e la Farmacia Enea di via Tuscolana 350.

Il provvedimento è stato firmato e consegnato il 6 agosto scorso dal Dipartimento promozione dei servizi e della salute. Applica l’articolo 113 di un quasi sconosciuto decreto Regio, datato 1934 e che nella maggior parte dei casi resta chiuso in un cassetto, in cui si specifica la «decadenza dell’autorizzazione all’esercizio di una farmacia, per irregolarità nell’esercizio». Farmacie chiuse, salvo ribaltamenti da parte del Tar.

L’inchiesta «farmaconnection» è scattata nel 2005 quando i carabinieri del Nas hanno scoperto un medico a sfornare ricette in quantità industriali. Per la farmacia di via Tuscolana ne ha firmate 7.718 solo di farmaci di fascia A «ovvero a totale carico del Sistema sanitario nazionale» per un danno al Sistema sanitario nazionale di almeno 972mila euro. Tutte «intestate fittiziamente a inesistenti assistiti e compilate con grafia artatamente illeggibile allo scopo di renderne impossibile l’individuazione anche attraverso i codici regionali», come spiega la sentenza che ha condannato per truffa e falso il medico Claudio Grande e i farmacisti di via Tuscolana Giuseppe e Marco Morreale (per quelli di via del Tritone è scattata la prescrizione). Più complicato il metodo ipotizzato per l’Antica Farmacia del Corso di via del Tritone: per tutti i farmaci veniva chiesto il rimborso, ma in qualche caso i medicinali venivano venduti ad altre farmacie ignare. Stando alla ricostruzione del pm Stefano Rocco Fava, il meccanismo variava: i farmaci di medio costo, dopo la richiesta di rimborso che prevede anche l’invio della «fustella adesiva» tolta dalla scatola dei medicinali, «venivano reimmessi nel circuito commerciale applicandovi fustelle fittizie realizzate dalla stessa Farmacia e venduti a turisti esteri incuranti delle confezioni recanti le fustelle difformi». I farmaci di alto costo «maggiormente esposti a potenziali verifiche» erano «ricettati e riciclati commercializzandoli nel territorio laziale movimentandoli mediante documentazione fiscale fittizia prodotta dalla medesima Farmacia, nonché esportandoli nel mercato estero». Per evitare che ci fossero picchi nelle richieste di rimborsi, la farmacia chiedeva anche prescrizioni autentiche che i medici di base compilavano senza data di rilascio, in modo che il flusso fosse costante.

Essenziale, il ruolo del medico, Claudio Grande che al gip ha spiegato come per ogni ricetta ottenesse una percentuale variabile tra il 4 e il 6 per cento del prezzo di listino. Aveva cominciato con la farmacia di via del Tritone, per poi spostarsi su quella della Tuscolana. E, in quest’ultimo caso, «i pagamenti in suo favore erano sempre avvenuti con denaro contante e il guadagno ricavato dal rapporto con i Morreale ammontava a circa 8.000/9.000 euro mensili».

Il meccanismo si è ripetuto anche per altre farmacie della capitale, per le quali il processo penale è ancora in corso. Ma ora a preoccupare, più delle manette sono i lucchetti.

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