Il Tar di Milano, con sent. n. 2306 del 13/09/2012, ha deciso il ricorso di un titolare di farmacia contro un’ordinanza dell’Asl che gli aveva irrogato una sanzione pecuniaria a seguito del rinvenimento in farmacia di cinque ricette di specialità medicinali prive della data di spedizione, assumendo la violazione dell’art. 37 del Regolamento farmaceutico del 1938.
I giudici lombardi, ritenuta la loro competenza (l’Asl aveva eccepito in giudizio quella del giudice ordinario), ha respinto il ricorso con tre ordini di considerazioni di cui vale la pena dar conto.
In primo luogo, la decisione – richiamandosi anche a una pronuncia della Suprema Corte (sent. 9056/2001) – precisa che, pur essendo previsto l’obbligo degli organi addetti alla vigilanza di verbalizzare le dichiarazioni rese dal trasgressore, nessuna disposizione richiede la presenza di quest’ultimo durante lo svolgimento delle operazioni di accertamento dell’infrazione imponendo soltanto la raccolta delle sue eventuali dichiarazioni ove sia presente e sempreché egli intenda renderle; e, quanto alla garanzia del contraddittorio, è assicurata dalle disposizioni specifiche della l. 689/81, che, ferma la tempestiva formale contestazione da parte dell’amministrazione procedente, gli permette di produrre memorie e documenti e anche di essere ascoltato prima dell’adozione di qualunque provvedimento sanzionatorio. Il secondo aspetto messo in rilievo dalla sentenza (sul quale peraltro non constano precedenti di giurisdizioni superiori) riguarda il ruolo del titolare di farmacia in una fattispecie come questa, che il Tar ritiene però responsabileprincipale e non in solido (con l’eventuale diverso autore materiale) della violazione, perché – ai sensi del primo comma dell’art. 122 del TU.San. 1934 – è sotto la sua responsabilità diretta che viene effettuata la vendita al pubblico dei medicinali (cui evidentemente, secondo il Tar, atteneva la fattispecie), e quindi nel caso qui deciso gli accertatori non erano tenuti a ricercare e/o identificare un qualsiasi altro trasgressore.
Da ultimo, siamo alle considerazioni più strettamente inerenti al fatto contestato e che possono suscitare un più ampio dibattito.
Ha in particolare sostenuto il ricorrente – e non certo per mero tuziorismo, perché la deduzione non è affatto campata in aria ed è stata anzi ben articolata dalla sua accorta difesa – che, pur non rinvenendosi nell’art. 37 del Reg. 1938 alcuna distinzione con le ricette che prescrivono specialità medicinali, l’obbligo di annotare la data di spedizione (oltre al prezzo praticato) pare doversi ragionevolmente circoscrivere alle ricette di preparazioni magistrali.
A quel tempo una disposizione del genere poteva invero preoccuparsi soltanto di galenici essendo sostanzialmente agli albori la specialità medicinale, senza contare che la ratio della previsione di un obbligo di annotazione sulla ricetta della data di spedizione – e del prezzo del farmaco – sembrava (come dunque sembrerebbe ancor oggi, dato che la norma è tuttora in vigore) più che altro quella di assicurare il controllo della scadenza del medicinale, che invece la specialità medicinale, al pari del prezzo, deve recare per altra disposizione di legge sulla sua stessa confezione.
Queste tesi, suffragate anche da qualche autorevole precedente giurisprudenziale (in particolare, Cons. Stato 5574 /2009), non sono state tuttavia fatte proprie dal Tar lombardo che, dopo averle sbrigativamente confutate, ha finito per appiattirsi su altre decisioni di segno opposto (vengono citate: Consiglio di Stato 5054/2011 e lo stesso Tar n. 810/2008), rilevando: a) che anche nel 1938 i farmaci di preparazione industriale erano conosciuti; b) che il d.lgs. 539/92, pur avendo introdotto una disciplina riservata alle ricette di specialità medicinali, non detta norme incompatibili con l’art. 37, che dunque è in ogni caso ancor oggi pienamente vigente; c) che, infine, l’apposizione della data sulla ricetta non può ritenersi funzionale all’individuazione della scadenza del farmaco, perché essa si effettua quando la ricetta viene utilizzata e non quando il farmaco è preparato.
Come si vede, su questo punto la giurisprudenza – anche quella del Consiglio di Stato – è perfettamente divisa al suo interno e non possiamo pertanto sapere come la penserà l’Adunanza plenaria, se sarà chiamata un giorno ad occuparsene, ma non sarebbe un male rimettere un po’ d’ordine anche nel Reg. 1938 con interventi mirati a chiarirne espressamente qua e là la sfera di operatività.
Per quanto ci riguarda, siamo d’accordo con il Tar sui due primi ordini di considerazioni, anche quindi sulla responsabilità personale ascritta al titolare di farmacia nella vicenda, che ci pare infatti sussumibile sia nell’art. 122 TU., come ha rilevato la sentenza, ma anche nell’art. 119; non era del resto qui in discussione uno degli atti tipici della professione di farmacista (per ciò stesso ascrivibili soltanto al loro autore), come, su tutti, la spedizione di una ricetta, ma una condotta (se si vuole, omissiva) – la detenzione in farmacia di ricette prive della data di spedizione – attinente per un verso alla “vendita al pubblico di medicinali” e coinvolgente per l’altro la responsabilità (del titolare) del“regolare esercizio della farmacia”. Un profilo, in definitiva, di responsabilità non oggettiva, ma diretta.
Qualche dubbio è lecito invece sulle affermazioni del Tar con specifico riguardo all’art. 37, dato che l’interpretazione della norma e l’individuazione della relativa sfera di applicazione devono certo tener conto anche di un adeguato suo previo inquadramento di ordine storico-sistematico; d’altra parte, se pure è vero che il Regolamento farmaceutico del 1938, e prima ancora lo stesso TU. del 1934, sono stati concepiti ponendo mente a una farmacia come dispensatrice, in primo luogo, di medicinali predisposti al suo interno e/o a sua cura, è anche incontrovertibile che di specialità medicinali si parla espressamente anche in quei testi, e quindi – se pure grandiosamente formalista – le conclusioni del Tar possono avere un qualche fondamento.
Fatto sta che su questo aspetto centrale la partita resta naturalmente aperta, anche se – men che meno di questi tempi – può spiegarsi la conservazione nell’esercizio di ricette prive della data di spedizione, perché non bisogna neppure dimenticare che le sanzioni pecuniarie possono rivelarsi oggi molto robuste, come quella (euro 9.294,00 più euro 96 di spese procedimentali) irrogata a quel titolare di farmacia.
Gustavo Bacicalupo
Studio Sediva
Una risposta a “Il Tar Lombardia sul rinvenimento in farmacia di ricette senza data”
Stabilito che il collega ha commesso questo orrendo crimine, perché Federfarma e/o la Fofi non si preoccupano di far modificare una legge ormai assurda che può rovinare un titolare?