In questi giorni, si sente mormorare da più farmacisti, l’esigenza di disdettare la convenzione e passare all’assistenza indiretta, per indurre a più miti consigli il governo e, in buona sostanza, coloro che dovrebbero dare attuazione alla nuova remunerazione. In altre parole, molti di noi vorrebbero utilizzare questo strumento come atto di lotta.
In un primo momento questa idea, affascinante certamente, mi sembrava giusta e quasi quasi, indicatrice dell’unica strada percorribile. Ma, dopo un’attenta riflessione, anche giuridica, mi sono convinto che il passaggio all’assistenza indiretta non solo ci metterebbe in difficoltà economiche (e questo è evidente) o ci esporrebbe a campagne mediatiche tali da indurre il legislatore a modificare le norme vigenti in nostro danno, ma potrebbe portarci direttamente, sic et simpliciter, alla decadenza dalla titolarietà, trasformando le farmacie in negozi di vicinato, così come li conosciamo dall’adozione della legge 248/06.
Infatti non si deve dimenticare che le farmacie sono obbligate fornire il servizio ai cittadini ai sensi dell’articolo 28 della legge 833/78 che le convenziona tutte indistintamente e non già per l’esistenza della convenzione che, invece, risulta essere solo e soltanto lo strumento attuativo della legge che istituisce il moderno SSN nel nostro paese.
Il rischio, più concreto di quanto si immagini, è dunque, la perdita non soltanto della convenzione col SSN, ma della qualifica stessa di farmacia, in quanto rinunciando alla convenzione si rinuncerebbe ad espletare tutto il servizio farmaceutico.
Per questi motivi ritengo che prima di adottare un provvedimento di simile portata, al quale il singolo titolare non è obbligato a conformarsi, si debbano valutare tutti i risvolti, specie quelli potenzialmente pericolosi. Vero è che, se il titolare della farmacia dimostrasse un danno economico dal mantenimento della convenzione, sarebbe legittimato a passare all’indiretta, fin tanto che le condizioni economiche non variassero a suo favore; in questo caso l’onere della prova spetterebbe al farmacista e, viste le novità introdotte dal nuovo documento dell’AIFA, non dovrebbe esser difficile dimostrarlo davanti al giudice.
Un’alternativa è alla disdetta della convenzione è lo sciopero, magari ad oltranza. Al di là delle mie convinzioni personali che mi portano a ritenere quest’ultimo strumento particolarmente odioso nei confronti del cittadino, nonché illegittimo a causa dell’interruzione di pubblico servizio che esso produce, lo sciopero (meglio serrata) non può superare i limiti imposti dalla lettera d) dell’articolo 113 del RD 1265/34 (15 giorni) e configura anche le condizioni previste dalla lettera e) del medesimo articolo (grave danno alla salute pubblica), condizioni che portano alla decadenza della titolarietà della farmacia.
I farmacisti titolari di farmacia vorrebbero aumentare i prezzi sui farmaci a basso costo per aumentare il loro ricavato. Ma se i farmaci a basso costo sono tali è perché sono molecole vecchie con brevetto scaduto e il loro prezzo è allineato a quello degli altri stati europei, anche se in alcuni casi, nel nostro paese, mantengono ancora un prezzo maggiore e quindi dovrebbero essere ritoccati al ribasso.
Un’altro problema stà nel fatto che i titolari non vogliono accettare il MEF, un sistema creato per controllare le ricette spedite, che una volta messo in funzione in tutte le regioni sarebbe l’emostatico delle truffe a carico del SSN con un risparmio notevole.
Un’altro fattore che grava sui costi della farmacia è la mancanza delle liberalizzazioni, proprio così, la mancanza delle liberalizzazioni, in quanto per tenere fronte al numero di clienti si è costretti ad assumere sempre più farmacisti collaboratori che, anche se percepiscono lo stipendio più basso tra i laureati di tutta Italia e degli stessi colleghi europei, incidono pesantemente sui costi ogni qualvolta diminuisce il prezzo del farmaco.
Se facciamo l’esempio di quelle farmacie provviste di dieci casse per lo scontrino, dove i pazienti fanno pure la fila, e che per ognuna di esse ci deve stare un farmacista, possiamo capire che il titolare dovrà comunque sostenere i costi anche se il prezzo scende, in quanto deve gestire una vasta utenza.
Se invece ognuno di questi dieci farmacisti collaboratori avesse la possibilità di aprirsi la propria farmacia, i costi diminuirebbero, e ogni farmacista avrebbe il suo reddito ottenuto dalla ripartizione dell’utenza di quell’unica farmacia con conseguente risparmio per il SSN che potrebbe così diminuire il prezzo del farmaco.
Purtroppo l’Italia è un paese di privilegiati, ma in tempo di crisi ci si accorge che diventano un peso non solo per la società ma anche per lo Stato che glieli ha concessi.
concordo con il collega milani,io sono per lo sciopero ad oltranza.cosi come avrei scioperato quando sono state create le barzellette parafarmacie,che hanno indebitato tanti colleghi
qualcuno mi potrebbe spiegare le “barzellette parafarmacie che hanno indebitato tanti colleghi?” che vorrebbe dire? chi si è indebitato ? chi l’ha aperta?non è chiaro….un piccolo commento sull’articolo precedente: credo che i farmacisti non faranno nessuno sciopero perchè sono consapevoli di essere comunque dei privilegiati, la convenzione con lo Stato è stata la grande fortuna dei titolari italiani e certo lo sarà ancora, perchè sennò la gente dovrebbe continuare ad andare in farmacia?la Convenzione nessuno la strapperà mai, questa si che sarebbe una barzelletta,ma tutti se la tengono ben stretta….poi a parole si può dire di tutto….