Egregio On. Antonio Di Pietro,
intervengo nella polemica che l’ha coinvolta, dopo le accuse a Lei proferite nella trasmissione su Rai 3 “Report”, poiché ritengo doveroso fare alcune precisazioni. Non entro nel merito della correttezza informativa della giornalista Giannini, autrice del servizio, né ho intenzione di basare quel che leggerà, in questa lettera aperta, su specifiche accuse.
L’immagine più evidente in tutto quel vortice di informazioni sulla sua persona e il partito (l’IDV) che, puntualizzo, Lei rappresenta e non solo presenzia, è stato il suo imbarazzo, il modo reticente e l’approssimazione con cui rispondeva alle domande della giornalista.
Da un ex magistrato mi sarei aspettato ben altro. Più sagacia, meno rossore, più dialettica e risposte pronte, cristalline e univoche. Ma così non è stato.Quindi con chi prendersela se non con la sua incapacità a essere dall’altra parte, quella dell’inquisito. Troppo comodo, ora, gridare al complotto e minacciare querele che hanno il sapore di vendetta nei confronti dei suoi accusatori e minaccia per chi chiede, con forza, chiarimenti. Vede, sig. Di Pietro, non desidero più d’ora in poi anteporre al nome dei parlamentari il titolo di onorevole.
Non lo ritengo degno. I titoli bisogna meritarli. Soprattutto quelli che fanno accenno a qualità morali come onore e dignità. E poi Lei, da ex tutore della legge, dovrebbe sapere meglio di me quanto il sostantivo “onore” sia stato usato e abusato in ambienti malavitosi che di onorevole non hanno nulla. La Mafia, ad esempio, in moltissime opere cinematografiche, libri e saggi veniva identificata come “l’Onorata Società”!
Ebbene, oggi, Lei ritiene di essere stato accomunato a quei malfattori che fino a qualche anno fa faceva ammanettare e citava in tribunale, al pubblico ludibrio, come persone indegne di rappresentare le istituzioni. Oggi Lei accusa il satiro Crozza di essere un burattino, nelle mani di indistinte fazioni (politico/economiche?), scrivendo, sul proprio blog, che “… se persino una persona come te, che a quelle logiche faziose non ha mai obbedito, contribuisce a divulgare, in perfetta buona fede, le bugie che sono state dette in questi giorni, e’ segno che la campagna di disinformazione e calunnia ha raggiunto davvero livelli molto allarmanti”.
Al di là della discutibile affermazione sulla buona fede di Crozza, nel divulgare bugie e non avere comportamenti obbedienti nei confronti di “padroni politici”, dal puro sapore di lecchinaggio mediatico, vorrei ricordarle la regola aurea del disciplinare morale di quei paladini assurti a tale compito per investitura popolare o poiché unti dal signore: riparare le ingiustizie e proteggere gli oppressi.
Lei si è sempre professato tale nei suoi comizi e interventi televisivi, usando il pluralis maiestatis – Noi, Italia Dei Valori … –, quando esprimeva opinioni personali, a volte anche non condivise da altri del suo partito.
Da moderno Don Chisciotte però, a differenza dell’originale personaggio di Cervantes, non ha saputo scegliersi il servitore giusto, il fedele Sancho. Anzi, forse più d’uno! E poi, proprio Lei che rivendica un carente equilibrio espressivo nelle critiche televisive, un’assenza di lottizzazione dell’IDV nei c.d.a. Rai, nelle reti Rai e nei Tg, di fronte a faziosità e menzogne professate verso altri, toglie l’armatura ed esterna comunanza con chi quelle stesse bugie attualmente alimenta e le ritorce contro? In tali circostanze la sua assenza di critica è determinata da opportunità politica o disattenzione?
Io sono un farmacista titolare e ricordo ancora, poiché fu un’accusa ingiusta e ingenerosa, cosa Crozza disse nella trasmissione Ballarò del 13/12/2011 sui farmacisti. Lei in quella puntata era presente e non proferì parola a riguardo!
In essa, approfittando del fatto che il legislatore è estremamente permissivo nei confronti di coloro che fanno satira, gli fu concesso, con sgradevoli battute sui farmacisti titolari, di paragonarci, noi tutti, a dei mafiosi.
Reputai gravissime le dichiarazioni di Crozza.
Una cosa è la satira, un’altra è infamare un’intera categoria. Per chi vive il suo lavoro come un impegno sociale, sentirsi apostrofare mafioso è intollerabile. Crozza disse che “… la mafia è sotto il camice dei farmacisti”.
Io sono un esperto di farmaci, non di mafia. Conosco la mafia solo per quel che apprendo dai media. Mi fu chiesto, nel momento in cui mi iscrissi all’Albo, un certificato del casellario giudiziale in cui si rilevasse l’inesistenza a mio carico di procedimenti penali e fallimentari pendenti. Dovetti produrre, per poter essere titolare e lavorare, una certificazione antimafia.
Mi dica, sig. Di Pietro, il diritto costituzionale al lavoro si esaurisce nel momento in cui la propria fedina penale non è limpida a dispetto di quello di candidarsi e farsi eleggere? Le ricordo che la proposta di legge per un “Parlamento pulito” è ancora chiusa non si sa bene in quali cassetti e di chi!
Provai sconcerto, quindi, nell’apprendere che sotto il camice con appuntato il caduceo si celasse un mafioso!
Se fossi un mafioso, probabilmente, otterrei più rispetto! Dalle istituzioni che oggi, pur avendo sempre obbedito alle leggi e pagato le tasse, mi additano come privilegiato. Dai media che, pur di vendere informazioni, non perdono occasione per screditare la mia professione, sempre in prima linea e più visibile e meno difesa di tante altre. Dai cittadini disinformati che ci indicano come ricchi commercianti, pur godendo, essi, da decenni di un capillare servizio farmaceutico professionale e ininterrotto.
Pertanto il mio disappunto. Per aver constatato quanto l’interesse economico di alcune frange politiche possa consentire, con arbitrio,
di usare un servizio pubblico d’informazione (la RAI) per infangare dei professionisti. Oggi, per la regola del contrappasso, tocca a Lei!
Come si sente?
Sicuramente solo, in cerca d’amore e di comprensione, tra le nebbie di desideri muti.
Cordialmente, Dr. Raffaele Siniscalchi
Titolare di farmacia.
Incensurato e mai iscritto ad alcun partito politico.