llustrissimo signor Ministro della Repubblica Italiana,
della quale anche io (seppure microscopicamente) faccio parte, giorni fa ho avuto modo di udire dal vivo il suo intervento a Farmadays in Verona. L’ho ascoltata con molta attenzione e senza pregiudizi, ma con spirito critico, essendo io uno dei farmacisti titolari di farmacia molto interessato al suo stimato pensiero sul nostro piccolo ma interessante mondo. Ho così potuto capire che, come gli altri Ministri che l’hanno preceduta su quello scranno, lei, per la sua formazione culturale e personale, per la sua esperienza di lavoro come accademico e giuri- sta di altissimo livello e per le sue conoscenze specifiche, non ha la più pallida idea di cosa sia la farmacia italiana (specifico italiana perché è assolutamente e fortunatamente differente da quella di altri Paesi). Lei ha giustamente illustrato la situazione economico-finanziaria mondiale, europea e quindi italiana, evidenziando le enormi difficoltà che stanno soffocando le economie, senza entrare nel merito delle cause che hanno portato a questa situazione (non essendo né il luogo né l’argomento pertinenti) ma si è allacciato a esse per far comprendere ai farmacisti (del tutto impreparati su argomenti di tale vasta portata) che lo Stato, grazie alla spending review (derivante dal latino expensum, spesa, e revidere, vedere di nuovo, usate dai Romani quando ancora i Pitti e gli Scoti si tingevano di blu e abitavano nelle caverne) ossia revisione di spesa (nel nostro disusato e disprezzato dialetto italiano) riuscirà a sistemare i conti pubblici e, per questo motivo, anche noi titolari di farmacia dobbiamo contribuire a tale sforzo. Stupidamente, pensavo di contribuire già pagando ogni tipologia di tasse, come tutti o quasi tutti (i farmacisti sono i secondi contribuenti, dopo i notai e prima dei medici, non per proprio piacere ma per impossibilità a evadere), e, invece, scopro che, oltre a versare allo Stato quanto dovuto, oltre a versare alle Regioni una serie di sconti sul monte ricavi relativi al Ssn (obbligati per legge, anno dopo anno, sebbene al di fuori dell’accordo convenzionale esistente), dobbiamo contribuire al risparmio diminuendo la nostra retribuzione e mettendoci una mano sul cuore per essere ancora più generosi. Ma quello che mi ha colpito in modo personale, intimo, è stato il suo disconoscere completamente una professione come la nostra definendo “mercato” il nostro settore, “esercizio commerciale” la nostra attività e “clienti” o, tutt’al più, “utenti”, i pazienti che entrano in farmacia. Riconosco che non è una sua colpa, poiché lei ha studiato Giurisprudenza e non può sentirsi farmacista e conoscere la nostra attività, che è una professione intellettuale (che si espleta attraverso una struttura economica), né i nostri pazienti, che sono persone ammalate o comunque bisognose di aiuto e conforto sanitari, e il nostro settore che, a un economista può sembrare un mercato, ma a un sanitario appare come un sistema pubblico di assistenza alla popolazione previsto dalla Costituzione, decentrato a operatori territoriali privati e convenzionati (farmacisti e medici) secondo regole istituzionali e concessorie ben determinate, a tutela dei cittadini e non dei sanitari.
A questo punto avevo una domanda da porle, molto semplice (pur nella sua complessità) ma, appena finito il suo intervento, è uscito con la scorta di cinque appuntati e un tenente dei carabinieri (forse per proteggerla dai Far, i famigerati farmacisti armati rivoluzionari) e quindi gliela pongo ora. Secondo lei, un farmacista che (dopo aver studiato per venti anni, essersi laureato, aver conseguito l’abilitazione, aver ottenuto l’idoneità, aver vinto o acquistato una farmacia) ogni santo giorno della sua vita:
◆ sta dietro al banco al minimo otto ore, anche i giorni festivi e le notti, durante i turni non pagati;
◆accoglie sempre i suoi pazienti con un sorriso di comprensione (anche se ha problemi economici, personali o familiari);
◆si informa anche del loro stato di salute (sbirciando le ricette per capirne la gravità);
◆se li conosce, chiede anche dei familiari pregandoli di salutarli;
◆ osserva attentamente le ricette dal punto di vista burocratico (non pagato per questo ma soggetto a sanzioni economiche se il medico ha dimenticato qualcosa);
◆controlla se la ricetta è della Regione;
◆ controlla se si leggono i codici capi testa della ricetta;
◆ controlla il codice fiscale tramite la tessera sanitaria;
◆controlla se è presente il nome e cognome (o le sigle in casi particolari);
◆ controlla se ci sono i codici di esenzione (quando i pazienti la hanno),
◆controlla se c’è la nota di indicazione terapeutica (quando occorre);
◆ controlla se sono presenti il timbro corretto, la data e la firma autografa del medico;
◆ controlla se la ricetta non sia scaduta di validità in base alle regole del Ssn;
◆ controlla se la ricetta non sia fotocopiata o palesemente falsa, e che, da questo punto in poi, inizia a considerare la ricetta dal punto di vista professionale controllando che la forma della prescrizione sia corretta;
◆ che i farmaci prescritti siano appropriati,
◆ se vi siano delle interazioni,
◆ se vi siano delle controindicazioni alle patologie, se note;
◆ se le quantità e la posologia siano corrette;
◆ se i farmaci siano concedibili total- mente o in parte o non concedibili;
◆ che, se qualcosa non va bene chiama il medico per assicurarsi della sua volontà;
◆ che chiede al paziente se preferisce i generici che gli costano meno come ticket spiegandogli il meccanismo;
◆ che prende i farmaci prescritti (unico atto riconosciuto proprio del farmacista da parte di un ex ministro finito in galera);
◆ che controlla che siano stati conservati secondo quanto previsto e che la scadenza (sempre sotto controllo all’arrivo e ogni singolo mese) sia adeguata;
◆ che, se non li ha presenti in farmacia, telefona ai vari grossisti per assicurarsi che arrivino al più presto;
◆ che applica correttamente le fustelle e le legge con il terminale ottico memorizzandole per l’invio dei dati alla Sogei (ministero delle Finanze),
◆ che timbra la ricetta con il timbro della farmacia e appone la data di spedizione;
◆ che consegna lo scontrino dopo aver letto la tessera sanitaria ai fini fiscali del paziente,
◆ che riscuote il ticket per conto del Ssn e quindi della Regione e registra (se previ- sto) la ricetta per le autorità competenti.
Tutto questo impegno comporta almeno 10/15 minuti, pertanto, un farmacista non può soddisfare più di sei clienti all’ora, che in otto ore sono 48 clienti al giorno (ma bisogna diminuire questo numero per il tempo necessario a ordinare i prodotti ai grossisti, controllare le ricette e adempiere ad altre incombenze burocratiche, posta, banca, commercialista, consegna delle ricette mensile, Ecm, e altro).
Questo farmacista, dicevo, quanto vale per il Ssn, per lo Stato, per i cittadini? Quanto vale per ogni singola spedizione di farmaco? Due euro? E quindi al massimo 12 euro all’ora? E al giorno 80 euro? E al mese 2.000 euro? Ovviamente al lordo di tasse, contributi previdenziali, iscrizione all’Ordine, al sindacato e quanto altro. Gli restano 1.000 euro al mese? E come paga questo titolare gli eventuali dipendenti (se ha la disgrazia di avere una farmacia che spedisce più di mille ricette al mese) che hanno un contratto nazionale da fame e costano alla farmacia più del titolare stesso? E l’affitto, o il mutuo, e le utenze come le paga? Lei, egregio signor Ministro, non si fa ingannare, pensa che le vendite a pagamento compensino abbondantemente tutti quei costi. Una farmacia rurale però incassa direttamente il 15-20 per cento sul totale, ragionando su quella da mille ricette al mese, da vendite dirette può avere ricavi all’anno di 50.000 euro con un utile di 10.000, ossia 1.000 euro al mese, al lordo di tasse ulteriori e quant’altro. Ce la può fare? No, non ce la può fare. Forse ci vorrebbero almeno dieci euro a ricetta per far quadrare il bi- lancio. Oppure, in alternativa, può fallire o chiudere. In tal modo si distrugge la capillarità creata in oltre cinquant’anni e si risolve il problema di quelle farmacie che non avranno sul posto un centro me- dico, previsto dalla sua nuova riforma, e che pertanto sarebbero destinate a fallire. E le 4.000-5.000 nuove farmacie che apriranno secondo il nuovo quorum, come vivranno? Non importa, le apriranno i farmacisti licenziati dalle farmacie picco- le e rurali e poi falliranno o le chiuderanno. Quello che più importa, invece, è ca- pire dove andranno i pazienti più disagiati, ammalati, anziani, quando terminerà la capillarità del migliore servizio farmaceutico europeo (personalmente direi mondiale). Finiranno in ospedale, aggravando la situazione già incontenibile e, quella sì, costosissima: 1.000-1.200 euro al giorno di degenza contro i 250 euro all’anno della farmaceutica territoriale.
Maurizio Guerra
Punto Effe N*17 del 2012
Bello.
Ho bisogno di un Farmacista “Aiutatemi sto per vomitare”
PS. “Nel 2002 assume la carica di Presidente dell’Ordine e quindi entra nel CDA di Enpaf” Fantastico il “quindi entra nel CDA” come se fosse una cosa normale…
MAURIZIO UNO DI NOI,se ci fossi tu a capo di federfarma non avremmo quorum a 3.300 e parafarmacisti in cerca di distruzione della professione
Egregio Lorenzo vedi come si dimostra che la fascia ”C” andra’ alla GDO? Perche’ io come titolare di parafarmacia sono riuscito ad apprezzare la lettera del Dr. Guerra, mentre tu da titolare ottuso di farmacia ( o dipendente servo..non saprei) sei stato capace di offendere con il tuo ”parafarmacisti”, non solo me ( e questo sarebbe il minimo)ma anche una gran parte della categoria dei farmacisti(laureati ed abilitati farmacisti) che tutti i giorni onestamente lavorano con dignita’ al pari degli altri e che l’articolo non lo hanno neanche letto. Scusami se ti chiamo ottuso, perche’ proprio questa vostra incapacita’ di valutare la realta’ e le persone sara’ la causa anche del mio fallimento in questo percorso intrapreso oltre che del tuo.
Continuo a vomitare, aiutatemi…
Da farmacista collaboratore concordo con quanto hai detto Rosario.
ps. Per l’ottuso non ti scusare era il minimo
PS. Nella mia farmacia il titolare ci ha dato disposizione per quegli utenti che comprono un prodotto non deducibile (integratore,giocattolo, crema viso etc etc) ma che chiedono lo scontrino parlante, di scaricare lo stesso importo ma con farmaci, in modo che lui ottiene due risultati: 1) fidelizza il cliente che si riempe di scontrini da dedurre 2) se uno compra un prodotto con iva 21% ne vende uno con il 10%.
Evviva le Salumerie…