Non poteva non vincere, in un mondo perfetto! di Raffaele Siniscalchi

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Si avvicinano le elezioni, e si rinfocolano le polemiche di una parte di farmacisti non titolari che, forti dell’appoggio di una certa politica e dell’attuale segretario del PD, Bersani, vedono nei colleghi titolari la causa della loro mancata realizzazione professionale.
E si che in questi ultimi anni c’è stato un bel da fare per destrutturare il “Sistema Farmacia Italia”, sia da sinistra che da destra, nessuno escluso.
Quindi non mi si venga a dire che i titolari hanno “Santi in Paradiso”, perché così non è, e non saremmo a questo punto. Ma in fondo il tempo è signore e la verità, tardi, ma verrà a galla e finalmente si capirà “cui bono”.
Quel che mi secca è continuamente leggere le solite frasi, magari riportate dai vari siti e forum internet col copia/incolla, tese a validare provvedimenti governativi simbolicamente concertati a Bruxelles o, peggio, a tacciare l’attuale assetto legislativo farmaceutico come “medievale” e, i suoi sostenitori, feduatari, tiranni, casta, privilegiati, ecc.Ricordo di un allenatore sportivo, incontrato casualmente in vacanza e con cui strinsi amicizia, che, nel tracciare il profilo di alcuni suoi allievi, mi narrò questo aneddoto:

“…anni di preparazione, alimentazione controllata, allenamenti quotidiani, un personal trainer sempre presente, uno staff tecnico d’eccezione, praticamente tutto. Non poteva non vincere.

Era lì, a pochi metri dal traguardo ma con ancor meno millesimi di vantaggio sul suo inseguitore e, …. cade.
Inciampa finendo rovinosamente al suolo.
Rialzandosi, vede il suo avversario gioire per la vittoria conquistata.
E cosa fa? Zoppica.
Zoppica vistosamente, il volto contorto nel dolore.
Ma il dolore più forte non era alla caviglia. Altre volte gli era capitato di incappare in una storta. Il dolore maggiore insisteva nella consapevolezza negata di essersi arreso. Di aver coscientemente subito la sconfitta, ricercandola con quella caduta, pur di poterla giustificare.
Poteva quasi udire lo speaker, mentre commentava lo sfortunato evento occorsogli, a mitigare la delusione ma non l’inquietudine della sua anima.
……Quel centometrista non è stato battuto, ha perso da sé. Aveva già perso ai blocchi di partenza”.

Il racconto stigmatizza, senza equivoci, la latente difficoltà di tanti ad ammettere la possibilità di essere sconfitti.

Vi sono individui che hanno tutte le potenzialità per primeggiare, ma non il carattere per riuscirvi. Altri, temendo di perdere, neanche ci provano.

Come esistono i “figli di papà”, normodotati (o subnormali), che acquisiscono posti di potere economico e divorano patrimoni immensi, vi è chi, sebbene in possesso delle capacità per salire sull’ascensore sociale, lo evita per non soffrire e/o sacrificarsi, spesso accampando giustifiche o imputando motivazioni a discolpa del proprio essere pavido.

E la lista potrebbe allungarsi oltre.

Poi c’è la “la gente comune”. I mortali che stimo.

Coloro che fanno il proprio dovere e amano farlo. Quelli che provano soddisfazione nelle proprie oneste azioni, indipendentemente dal mero tornaconto economico, piccolo o grande che sia. E permettetemi, non sta ai benpensanti, ne a me, quantificare se proporzionato o meno al lavoro svolto.

Oggi il liberismo e la concorrenza, professati da una parte politica e dalla finanza, hanno trasformato il vivere quotidiano in un contratto asociale riassunto nella frase: “… se ti conviene è bene, altrimenti rivolgiti altrove”.

Purché ci sia, sempre, un “altrove” raggiungibile!

Riflettendo sull’esistenza di una forma di governo in grado di impedire questo mi domando se, utopicamente, sia possibile creare un mondo senza ingiustizie, discriminazioni, lotte di classe, soprusi.

Qualcuno ne è capace? Conosce la ricetta?
Forse in un mondo di bambini? Un mondo perfetto!

Vanno comunque fatte delle distinzioni! Non tutti i lavoratori sono uguali sotto il profilo retributivo (per mansioni e responsabilità), tuttavia devono avere pari dignità nella gerarchia sociale.
Ma spesso si pone un’altra questione. Si parla di privilegi. Di categorie privilegiate.

Ma cos’è un privilegio? La parola deriva da privus e lex, cioè legge per il singolo; per estensione, legge per una categoria.
Ad esempio è un privilegio la legge Valpreda (1973), che pose un limite alla carcerazione in attesa di giudizio, ma originò da una condizione individuale. Essa, come altre simili, è stata accettata come giusta, ma è, però, un privilegio.
In molti casi, invece, leggi che dichiarano di portare beneficio alla collettività nascondono il privilegio in esse.

Il privilegio, dunque, non nasce con una connotazione negativa. La acquisisce quando vi è contraddizione tra l’intento del legislatore e l’enunciato scritto della legge, che di tale intento dovrebbe dare testimonianza.

E ora che ho chiarito cosa è un privilegio, vorrei che qualcuno spiegasse a tutti noi se in una società liberista (come spesso viene lodata quella americana) il “privilegio” nella limitazione e del controllo all’accesso a certe professioni (lo è la laurea, o l’istituto della pianta organica per le farmacie) sarebbe a tutela del singolo o della collettività.

Dr. Raffaele Siniscalchi

2 COMMENTS

  1. E’ tornato il Dr.Siniscalchi…….

    Fantastico !!! Se voi lo conosceste di persona come me, lo ammirereste molto….Leggete bene come scrive , interpretate le sue sottili ed argute interpretazioni della società e del mondo….

    Bravo Dr Siniscalchi !!! La leggiamo sempre volentieri.

    Dr.ssa Veronica Trocchi

  2. Mi piacerebbe scrivere “… carramba che sorpresa!”
    O magari la più consumata esclamazione “… ma come è piccolo il mondo!”

    Ma temo non sia così.
    Anzi più che un timore è una fortuna, sicuramente per lei.

    Perché vede, le uniche donne di nome Veronica che ho conosciuto “di persona” sono: l’una la moglie di un amico e legata da una parentela con mia moglie, l’altra un ricordo di tanti anni fa, quando casualmente mi trovavo a Genova ospite di un amico, operatore nelle forze dell’ordine.

    Un sabato sera uscimmo per incontrare alcuni suoi colleghi in un locale frequentato da studenti universitari. Il mio amico mi confidò, in un secondo momento, che stava effettuando un sopralluogo sotto copertura per l’antidroga.
    Ebbene, mentre ci intrattenevamo a bere una birra, vicino a noi una biondina visibilmente alticcia si dimenava in maniera scomposta su un tavolo in una danza fuori tempo rispetto alla musica.
    A un tratto cadde dal tavolo, in prossimità del nostro, rovesciando sia quello che c’era sopra sia il contenuto del suo stomaco. A quel punto intervenne la security del locale.

    Dispiaciuti per lei, visibilmente sola o abbandonata da chi forse l’aveva accompagnata, ci offrimmo di chiamarle un taxi.
    Al guidatore la ragazza diede nome e indirizzo di casa, e io le mie credenziali in caso di necessità.

    Altro non saprei, ma voglio sperare che Veronica Trocchi non sia quella poveretta.
    Anzi, ne sono più che sicuro visto che “di persona” non ho mai conosciuto alcuna donna con questo nome, almeno sinora.

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