Analizziamo con occhio critico il sorpasso epocale annunciato dal portale specializzato Statista.
“la Stampa è morta” Quante volte ce lo siamo sentiti dire nel corso degli ultimi anni?Vuoi per una continua sfiducia nell’operato dell’editoria, vuoi per una progressiva diversificazione nella fruizione dei mezzi di informazione (in principio fu la televisione, oggi la rete nella parte del mattatore), è ormai radicata nella pubblica opinione l’idea che sfogliare il giornale sarà, in un lasso di tempo assai breve, un ricordo destinato ai nostalgici alla “come eravamo”.
Volendo però discuterne in termini più pratici, teorizzare la fine dell’industria della carta stampata vuole dire in buona sostanza ragionare in termini di investimenti: si pubblica vivendo di notizie ma cibandosi di inserzionisti. Barbaro a dirsi specie se si ha una idea alta del giornalismo e del ruolo più alto che esso svolge nelle società moderne, ma, prafrasando Humphrey Bogart “è l’economia bellezza”.
In questo senso allora potrebbero essere considerate come il vero inizio della fine le conclusioni che ha diffuso Statista questa settimana comparando gli introiti derivati dalla vendita pubblicitaria nell’editoria americana dal 2004 ad oggi con quelli incassati da Google in termini di digital advertising.
L’istogramma che vi presentiamo nella prossima immagine, lascia poco spazio all’immaginazione e segna un vero e proprio passaggio epocale :
Si è passati, nel giro di 8 anni, dai circa 70 miliardi di dollari di investimenti nei giornali (quotidiani e magazine) del 2004 ai 19 miliardi del 2012, una regressione che è tanto più grave se posta in relazione con l’incremento esponenziale dei ricavi di Google nello stesso periodo (unica eccezione il 2012, ma di questo parleremo a breve).
Non si può certo non notare come questo rappresenti la prova empirica di quella che da più parti viene definita l’evoluzione darwiniana della pubblicità, evoluzione nella quale il Web è la specie destinata a dominare la scena nel futuro prossimo e che porterà all’estinzione della carta stampata.
Ci permettiamo però di muovere alcune piccole obiezioni di merito rispetto allo scenario descritto sin qui.
Lungi da noi obiettare sulla validità delle analisi effettuate da Statista, i dati sono dati e non è nostra intenzione confutarli. Ciò nonostante ci sembra che in questa nuda esposizione degli investimenti siano state fatte alcune forzature in termini di analisi del contesto storico-economico che sarebbe il caso non trascurare.
Innanzitutto comparare i ricavi su scala mondiale di Google con quelli dell’editoria dei soli Stati Uniti ha un sapore “provinciale“ : nonostante il mercato americano abbia il primato per mole e qualità di investimenti e sia quello nel quale vi siano senza dubbio gli editori puri che scarseggiano in altre realtà, comprese quelle occidentali (il sistema italiano con aiuti di stato e fondi ad hoc ne è un caso lampante).
A questa prima piccola obiezione si deve poi aggiungere che nel periodo preso in esame, Stati Uniti prima e resto del mondo poi hanno conosciuto la più grave crisi finanziaria dal 1929. E per quanto le regole non scritte del marketing suggeriscano sempre di investire in pubblicità in tempi di recessione, è noto ai più che la realtà dei fatti consta di tagli considerevoli che le aziende operano proprio in quel settore per non sacrificarne altri.
A tal proposito, si può notare come anche nel campo del digital advertising Google sia incappata in una flessione consistente dei ricavi tra il 2011 ed il 2012, pur segnando il tanto declamato sorpasso sull’editoria. L’istogramma quindi espostoci potrebbe mostrare una ricerca di “risparmio” in un momento storico delicato nel quale, questo si, le imprese hanno indicato come essenziale la digitalizzazione della proposta pubblicitaria e marginale quello delle inserzioni tradizionali a mezzo stampa.
Al di là di questa mia riflessione un dato è certo: il digitale si è affermato come vettore pubblicitario per eccellenza, se questo suo sviluppo consentirà poi la sopravvivenza delle pubblicazioni a mezzo stampa o ne segnerà la progressiva estinzione, non ci resta che attendere.