Negli ultimi mesi i farmacisti italiani hanno aumentato di oltre l’11% le operazioni di sostituzione del farmaco di marca con l’equivalente meno costoso. Ma oltre la metà di chi si presenta al bancone chiede il medicinale ‘griffato’. E quanto ai medici, 2 su 3 non hanno intenzione di modificare il proprio atteggiamento prescrittivo. Non vogliono cioè rinunciare alla possibilità di indicare in ricetta anche il nome marchio del farmaco, opzione del resto prevista dall’emendamento al decreto Sviluppo che modifica quanto contenuto nella spending review sulla prescrizione dei farmaci per principio attivo, approvato ieri in Commissione Industria del Senato.
A sondare le posizioni di medici, farmacisti e pazienti nei confronti dei generici è un’indagine presentata oggi a Milano. “Questa ricerca indipendente – spiega Lucio Corsaro, General Manager di Medi-Pragma che ha realizzato l’indagine – nasce con l’obiettivo di rilevare la ricaduta pratica delle nuove norme sui farmaci equivalenti contenute nella spending review. A 4 mesi dall’approvazione definitiva della legge, abbiamo realizzato complessivamente 1.600 interviste in profondità e misurato il trend rispetto al periodo precedente l’approvazione della legge”.Il primo dato che emerge è che la maggioranza assoluta di medici (83%) e farmacisti (61,3%) mostra scetticismo verso il reale impatto, in termini di riduzione della spesa farmaceutica, della norma sul principio attivo. Inoltre, i 2 terzi dei medici non intendono modificare il proprio atteggiamento prescrittivo verso gli equivalenti, e l’82% ritiene che la norma rappresenti una limitazione della propria libertà prescrittiva.D’altro canto, negli ultimi mesi i farmacisti hanno aumentato la propensione a effettuare il cambio dal medicinale di marca all’equivalente (+11,3%), ma più della la metà dei pazienti in farmacia chiede il prodotto col marchio. Per quanto riguarda invece la popolazione generale, aumenta la conoscenza della norma, ma diminuisce il consenso: 8 italiani su 10 conoscono le novità introdotte dalla spending review – risulta ancora dall’indagine – ma dopo un’iniziale adesione, sono sempre di meno quelli che le approvano.
A detta del 55% dei medici di medicina generale, le case produttrici di farmaci equivalenti non sono tutte ugualmente attrezzate per offrire adeguate garanzie di efficacia e sicurezza. Solo il 5% ritiene che non vi siano differenze tra prodotti di marca e generici. Anche tra i farmacisti (51%) aumenta la convinzione che esistano differenze, in particolare per medicinali di alcune aree terapeutiche, mentre oltre un over 65 su 3 (35%) dichiara che i farmaci equivalenti hanno una qualità inferiore. In generale gli ultra 65enni, che da soli consumano il 63% della spesa farmaceutica italiana, manifestano disagio e resistenza al generico. La preferenza dei pazienti anziani per i farmaci di marca riguarda sia le terapie in atto, sia l’ipotesi di iniziare una terapia ex-novo.
Il 46% preferisce continuare a utilizzare i farmaci a cui è abituato, e il 52% preferisce il prodotto di marca quando avvia una nuova terapia. “Un farmaco può definirsi ‘bioequivalente’ rispetto all’originator quando contiene lo stesso tipo e la stessa quantità di principio attivo – sottolinea Francesco Scaglione, direttore della Scuola di specializzazione di farmacologia clinica dell’università degli Studi di Milano e membro del Gruppo di studio sui medicinali equivalenti della Società italiana di farmacologia – Non è invece necessario che ci siano gli stessi eccipienti. La composizione farmaceutica delle formulazioni generiche può quindi essere diversa da quella dei rispettivi prodotti di marca e comportare, ad esempio, un diverso assorbimento del farmaco. Queste differenze rispetto al prodotto originale potrebbero portare a problemi che possono compromettere la sostituibilità”. “Quando si considerano trattamenti già in corso in pazienti cronici e ben stabilizzati – aggiunge Scaglione – sarebbe consigliabile non modificare il trattamento.
La possibilità da parte del farmacista, prevista dalla legge, di sostituire un medicinale equivalente con un altro è una pratica introdotta al fine di agevolare l’utilizzo dei medicinali generici, ma una conseguenza di questa possibilità è che il paziente in trattamento cronico possa ricevere generici di ditte produttrici diverse nel corso del trattamento. Tale pratica può recare sconcerto e confusione nel paziente (soprattutto se anziano), portando ad errori nell’assunzione della terapia e/o mettendo a rischio la continuità del trattamento”.
probabilmente per ignoranza o scarsa intelligenza io non riesco a seguire questo ragionamento. “differenze rispetto al prodotto originale potrebbero portare a problemi che possono compromettere la sostituibilità”. Ma stiamo parlando di farmaci che vengono paragonati in base alle loro curve ematiche post-assorbimento. La bioequivalenza viene basata sull’AUC. Come si può pensare che un eccipiente diverso possa compromettere l’assorbimento? Forse può generare allergie o intolleranze rispetto ad un farmaco branded ma la bioequivalenza è assicurata!
Hai proprio ragione, non sei adeguatamente informato in merito. I diversi eccipienti possono modificare di molto l’assorbimento di un farmaco.
Informati meglio quindi, se vuoi un consiglio, prima di scrivere cose di cui non sei a conoscenza.
ma tu potresti leggere meglio quello che ho scritto. io so che l’assorbimento può essere influenzato dagli eccipienti. ma il confronto tra i farmaci generici/branded così come quello branded/branded viene fatto sulla bioequivalenza, valutata come area sotto la curva della concentrazione ematica, che come saprai è un passo successivo all’assorbimento. quindi quello che volevo esprimere è: Come si può pensare che un eccipiente diverso possa compromettere l’assorbimento se quel farmaco con quegli stessi eccipienti viene valutato dopo che l’assorbimento è già avvenuto.