Negli anni immediatamente successivi all’unità d’Italia non esisteva una normativa che regolamentasse uniformemente in tutto il territorio nazionale l’esercizio della farmacia. La legge Crispi (22 dicembre 1888, n. 5849) rappresentò il primo passo in materia.
All’epoca il farmacista che assumeva la qualifica di “Speziale” era colui che preparava, con il medico, i medicamenti necessari per la cura della malattia. Questa prevedeva la centralizzazione delle funzioni di vigilanza e d’autorizzazione in materia, riaffermazione del principio del libero esercizio della farmacia. La farmacia si configurava come un bene patrimoniale privato e, come tale, liberamente trasferibile a chiunque, anche non farmacisti; poteva essere aperta senza vincoli e limitazioni territoriali, con il solo obbligo della direzione responsabile di un farmacista, non necessariamente titolare o proprietario della medesima. Successivamente la Riforma Giolitti (1913) rappresentò il processo di riordinamento legislativo: parte nel 1913 e si conclude nel 1934 con l’approvazione del Testo Unico delle Leggi Sanitarie (TULS). Nella riforma Giolitti si afferma il principio che: l’assistenza farmaceutica alla popolazione, e quindi l’esercizio della farmacia, è un’attività primaria dello Stato, esercitata direttamente dallo stesso attraverso gli Enti locali (comuni), oppure delegata a privati per l’esercizio, in regime di concessione governativa. Trattandosi di concessione governativa “ad personam”, la farmacia non poteva essere acquistata, venduta, trasferita per successione o a qualsiasi altro titolo.
La titolarità poteva essere conseguita esclusivamente per concorso pubblico, espletato sulla base dei soli titoli di carriera e di servizio dei partecipanti. La concessione, che poteva essere revocata in qualsiasi momento nelle ipotesi previste dalla legge, durava quanto la vita del titolare. Con tali premesse, il titolare di farmacia pur rimanendo un privato, era legato da un rapporto di subordinazione speciale alla pubblica Amministrazione sanitaria che, nel preminente interesse pubblico, avocava la facoltà di imporre obblighi, adempimenti, e limitazioni all’esercizio. L’apertura delle farmacie non era più discrezionale, ma avveniva sulla base della pianta organica.
Ed è da un Regio Decreto che comincia la nostra storia e la limitazione dell’accesso alla libera professione di farmacista.
Diversamente da ciò che è accaduto in Germania nel 1958, quando grazie ad una sentenza della Corte Costituzionale Federale si dichiarò nulla la pianta organica.
Nel luglio del 1956 un farmacista della Baviera fece domanda per la concessione dell’apertura di una farmacia in Traunreut. La domanda è stata respinta in virtù dell’articolo 3, paragrafo 1, della legge bavarese delle farmacie (Pianta organica), nella versione allora in vigore, la quale prevedeva che (1) Per una farmacia l’approvazione della nuova apertura sarà concessa solo se: a) l’istituzione della farmacia può garantire l’approvvigionamento di persone con farmaci di interesse pubblico e b) per essere accettata, il presupposto è la base economica sia protetta e che da ciò non scaturisca un danno alla base economica della farmacia adiacente, e che non influirà sul corretto funzionamento delle farmacie adiacenti, che non sono più garantite.
Nella motivazione della notifica del rifiuto, il governo della Baviera sosteneva che, l’istituzione di una nuova farmacia non era di interesse pubblico, poiché i circa 6.000 abitanti della circoscrizione disponevano già di una farmacia e questa farmacia esistente era sufficiente per fornire la popolazione con i farmaci necessari. Inoltre, la presenza della nuova farmacia non era necessaria a causa del fatto che le basi richieste per l’istituzione di una nuova farmacia, per garantire le loro prestazioni, richiedevano un numero di circa 7.000 abitanti. Inoltre, si temeva che la libera concorrenza avrebbe potuto danneggiare economicamente le farmacie preesistenti.
Contro tale decisione il farmacista si è opposto con un ricorso presso la Corte Costituzionale Federale.
La Corte Costituzionale Federale dichiarò l’art. 3 comma 1 della legge Bavarese delle farmacie (Pianta Organica) nullo dato che violava l’art.12, paragrafo 1 della Costituzione Tedesca che garantisce la libertà di professione. La Corte ritenne che la Libertà di scelta Professionale ovvero la libertà di scegliere una professione e di praticarla sono elementi formativi di un unico diritto, ovvero il diritto di esercitare qualsiasi attività finalizzata alla sopravvivenza della persona.
Il Concetto di lavoro viene quindi interpretato nel senso più ampio, includendo non solo le occupazioni tradizionali e tipiche, ma anche quelle atipiche che la persona adotta liberamente. La decisione della Corte Costituzionale che ha liberalizzato le aperture delle farmacie in Germania, l’11 giugno 1958 ha dichiarato “Il legislatore non è libero, quando si tratta di regolamentare una professione, in quanto questo limita la libertà di scelta di questa professione”. Come diretta conseguenza di questa sentenza “Niederlassungsfreiheit Act” si afferma che i farmacisti tedeschi possono liberamente stabilirsi secondo la propria volontà.
Dunque in Germania, l’abolizione della pianta organica è scaturita dal ricorso di un singolo farmacista che voleva esercitare liberamente la sua professione.
Con mezzo secolo di ritardo noi stiamo percorrendo la stessa strada e mi auguro che la Corte Costituzionale Italiana, che a breve si pronuncerà in merito al nostro ricorso, possa arrivare alle medesime conclusioni della sua omologa tedesca.
Ovvero che un professionista laureato e abilitato debba esercitare liberamente la sua professione, senza limiti e restrizioni.
Dr.ssa Antonella Puleo
Gentile dottoressa, la sua voce è arrivata chiara e forte,spero che sentano coloro i quali continuano a fare orecchie da mercante e ciaciano di paesi liberisti sapendone poco o niente.La Germania è un paese che sta peggio di noi o cosa?riflettete gente….
Carissima Maria, la mia lettera scaturisce dalle sollecitazioni di un collega che esercita la professione di Farmacista in Germania e che mi ragguaglia costantemente sulla sua condizione e sulla situazione tedesca. In Germania non esiste la pianta organica e il mercato si autoregolamenta da se. Qui è difficile pensare che le cose possano cambiare poichè i privilegi son duri a morire. E’ inutile che i titolari piangano miseria. Ho lavorato in diverse farmacie e di miseria ne ho vista poca. Ma questo poco importa. La cosa più importante è che io sono uguale agli altri e la legge è uguale per tutti. Se partiamo da questo principio siamo a posto. Grazie per il suo contributo. Antonella Puleo (dicono Dr.ssa).
In germania c’è un onorario di 8 euro circa a ricetta..Qui invece lo Stato fa orecchie da mercante per la nuova remuneraZione..Se dobbiamo invocare equità con i tedeschi sarebbe assurdo andare a vedere solo lanparte che porti acqua al proprio mulino…
Raramente ho letto tanta inconsistenza così ben confezionata. A parte il piccolo dettaglio che Italia e Germania hanno costituzioni diverse quindi un parere della c.costituzionale tedesca pesa per noi come il fuorigioco a tennis, la questione e’ sul tavolo della ns c.costituzionale e, per buona misura, della c.di giustizia europea, quindi a breve (spero) avremo tutte le risposte che ci servono. Peccato che tali corti non ci possano dare anche gli 8,35 euro a pezzo che incassano le farmacie tedesche (con qualche trattenuta a seconda di accordi con singole casse mutua, ma qui il mef sostiene che 2,00 sono troppi!!…)allora forse ci potrebbe essere davvero spazio per tutti. Così come sarebbe bello avere tante cose che li hanno e noi no: i techs, pagamenti regolari, sostanziale monopolio sul farmaco (tranne pochi vitaminici e qualche sciroppetto) mentre da noi l’etico alto costo passa dalle asl e l’otc alto margine anche dalla gdo, un numero chiuso all’università tarato sulle esigenze del paese e non sulle poltrone universitarie (laureano circa 1800 farmacisti l’anno per 80 milioni di abitanti noi 3000 per 60 milioni), e potrei continuare. Per contro la capillarità la perdono visto che le ricche zone cittadine hanno una farmacia ogni 1000 abitanti e le rurali arrivano a una ogni 8000.In sostanza io direi: Germania-Italia (circa) 5-2. Ma il bello e’ che anche in caso di pronuncia liberalizzatrice di una delle sopracitate corti o di decisione politica non non avremo comunque il modello tedesco, che riserva la proprieta’ delle strutture che erogano l’etico ai farmacisti, mentre da noi avremo l’entrata definitiva di gdo e catene. Peraltro di quest’ultimo fatto non mi lamento poiche’ dal mio punto di vista, in linea probabilistica, sic stantibus rebus, e’ meglio così.
“Raramente ho letto tanta inconsistenza così ben confezionata”… si rilegga e veda che non è così raro leggere inconsistenza, non sempre ben confezionata come la mia.
Gentile dr.ssa Puleo, la sostanza resta quella descritta. Il resto sono schermaglie verbali in cui le lascio volentieri l’ultima parola.