Nonostante il settore delle farmacie sia stato oggetto di innumerevoli interventi legislativi del Governo Monti, che ha utilizzato a piene mani lo strumento della decretazione d’urgenza per modificarne profondamente le regole di riferimento,, sembra che tutto ciò ancora non basti.
Bersani ha recentemente dichiarato che “l’attuale Governo aveva annunciato un piano di riforma delle farmacie poi, di fronte alle molte resistenze, ha fatto rapidamente marcia indietro. (…) Ma è evidente che un processo di maggiore liberalizzazione è auspicabile.”Bersani si riferisce alla cosiddetta “liberalizzazione” della vendita dei farmaci compresi non mutuabili, detti anche di “Fascia C”, di cui vorrebbe consentire la vendita anche nelle parafarmacie e nei corner della GDO in cui è presente un farmacista. Egli basa il suo ragionamento sulla considerazione che i farmacisti che operano in tali strutture sono in possesso della medesima laurea dei titolari di farmacia, per cui non si capirebbe perché loro debbano limitarsi a vendere i farmaci SOP e OTC, e non possano trattare anche tutti i farmaci non mutuabili, vendibili dietro presentazione di ricetta medica. L’aumento dei punti vendita in cui si potrebbe acquistare i farmaci di Fascia C a pagamento favorirebbe poi la concorrenza, e romperebbe “l’odioso monopolio” operato dalle farmacie, e si avrebbero notevoli vantaggi per il cittadino.
A prima vista, è un ragionamento che non fa una grinza. Perché solo le farmacie convenzionate con il SSN devono avere il “privilegio” di poter vendere i farmaci di Fascia C, quando ci sono sul territorio altri farmacisti dotati della stessa laurea e della stessa abilitazione, operanti in parafarmacie e nei supermercati? Non è meglio “liberalizzare” tale vendita, consentendo anche ad altri professionisti abilitati di dispensare i farmaci prescritti su ricetta bianca, non rimborsati dal Ssn?
In realtà, l’attuale legislazione ha i suoi buoni motivi. Le farmacie territoriali sono semplici concessionarie di una licenza di esercizio, il cui vero titolare rimane lo Stato.
Il Legislatore ha infatti da sempre riservato allo Stato la titolarità dei servizi di particolare rilevanza per l’interesse pubblico, e indubbiamente la dispensazione al pubblico dei farmaci più delicati, per profilo di rischio, potenziali effetti collaterali, possibilità di uso improprio o pericoloso è un servizio in cui l’interesse prevalente deve essere quello di salvaguardare la salute pubblica. Tali considerazioni valgono a prescindere dal regime di dispensazione, cioè se i farmaci in questione siano rimborsati dal Ssn o se siano pagati in contanti dai pazienti. La ratio di questa scelta è da ricercare nei controlli e nelle possibili sanzioni che possono subire le farmacie in caso di gravi mancanze nella qualità del servizio reso, sanzioni che possono arrivare alla revoca della licenza. Tale orientamento è stato recentemente confermato dall’approvazione dell’art. 11 bis del decreto Balduzzi, che favorisce la decadenza dalla licenza delle farmacie i cui titolari si siano macchiati del reato di truffa allo Stato per un importo superiore ai 50.000 €, come a suo tempo disposto dal comma 811 dell’art. 1 della legge finanziaria 2007. Si badi bene, è prevista la decadenza della licenza, non la perdita della possibilità di accettare ricette Ssn! Allo stesso modo, è prevista la decadenza dalla licenza per tutta una serie di altre mancanze nella qualità del servizio reso, alcune apparentemente veniali. Il Legislatore ha quindi riservato allo Stato il potere di selezionare i titolari di licenza, revocandola in caso di inadempienze ritenute inaccettabili per la qualità del servizio richiesto. Purtroppo, tale potere è stato esercitato troppo raramente, almeno sinora, ma ciò non giustifica chi vuole abolirlo del tutto.
Il decreto Bersani del 2006 ha consentito la vendita dei farmaci OTC e SOP, che costituiscono il gruppo di farmaci più conosciuti e collaudati, dotati di un profilo di rischio particolarmente vantaggioso, anche ai farmacisti che operino al di fuori delle farmacie convenzionate, in esercizi denominati parafarmacie e nei corner della Grande distribuzione Organizzata (GDO). Il Legislatore ha ritenuto che le caratteristiche di sicurezza dei farmaci interessati fossero sufficienti per declassarli a beni commerciali come tutti gli altri, vendibili sotto la responsabilità esclusiva di un qualsiasi laureato in farmacia. In questo modo però ha precluso allo Stato la possibilità di “espellere” dal servizio un eventuale professionista che si comportasse in modo indegno. In caso di comportamenti pericolosi per la salute pubblica non è neanche ipotizzabile la revoca della licenza della “parafarmacia” (come previsto per le farmacie), per il semplice fatto che non è prevista alcuna licenza per aprire una parafarmacia. Potrà intervenire solo l’Autorità giudiziaria, ma solo “ex post”, dopo il realizzarsi dell’eventuale danno causato dal comportamento scorretto.
La cosiddetta “liberalizzazione dei farmaci di Fascia C” è quindi solo apparentemente un’operazione che danneggia solo le vituperate farmacie convenzionate e che va a tutto vantaggio dei cittadini. In realtà è una misura che riduce drasticamente il potere di controllo dello Stato sulla qualità del Servizio farmaceutico. Ciò è vero soprattutto se si considera che l’entrata in vigore di una norma siffatta aprirebbe automaticamente le porte alla possibilità di vendere fuori dalla rete delle farmacie convenzionate anche i farmaci mutuabili, se il paziente li paga di tasca sua, facendo “saltare” definitivamente la possibilità per lo Stato di vigilare efficacemente sulla qualità del Servizio farmaceutico.
Per comprendere meglio i veri termini della questione, si può fare un parallelo tra farmacisti e gli appartenenti ad un altra categoria professionale, a cui i Titolari di licenza di farmacia sono stati già accomunati dal decreto Salva Italia: i tassisti.
Anche nel caso del Servizio di trasporto di persone mediante auto pubblica, il Legislatore ha riservato la titolarità del servizio alla parte pubblica (in questo caso, i Comuni), che la danno in concessione a chi ha determinati requisiti (tra cui la patente di guida) e supera un concorso. In questo modo, in caso di comportamenti scorretti l’Autorità pubblica può revocare la licenza e attribuirla ad altro aspirante (ciò è previsto da tutti i regolamenti comunali che ho consultato), con la ragionevole speranza che costui si dimostrerà più meritevole.
Come mai, in questo caso, nessuno si sogna di invocare la “liberalizzazione” del servizio, in modo che tutti i cittadini in possesso dell’abilitazione alla guida, e magari di un’auto adeguata, possano trasportare in giro per le nostre città chi lo desidera? Chi svolge ugualmente tale attività è considerato giustamente un abusivo, e rischia pesanti sanzioni, senza che ciò causi scandalo nei nostri politici e nell’opinione pubblica.
Il servizio di autopubblica è nel suo insieme svolto solo da titolari di licenza revocabile in caso di indegnità, per tutelare la qualità del Servizio.
Non ricordo interventi dell’Autorità Garante della concorrenza e del mercato, che siano andati nella direzione della “liberalizzazione” del settore delle autopubbliche, contro gli assurdi privilegi feudali dei tassisti. E ciò nonostante questa misura porterebbe indubbi vantaggi in termini di costi per i trasportati, perché colpirebbe “‘l’odioso monopolio” costituito dalla retrograda lobby dei tassisti concessionari di licenza, e consentirebbe a tutti i patentati con una bella auto di svolgere liberamente un’utile funzione pubblica.
Forse la qualità del Servizio di trasporto di persone mediante auto pubblica merita maggiore tutela del Servizio di dispensazione dei farmaci?
Francesco Palagiano
I farmacisti che hanno vinto la sede farmaceutica all’età pensionabile dovrebbero ridare indietro allo Stato la concessione, invece la tramandano agli eredi.
Non mi risulta che un Notaio quando va in pensione lasci il titolo agli eredi.
Con quale diritto credono che sia lecito?
La farmacia e’ una concessione di un servizio pubblico affidata ad enti pubblici(farmacie comunali) od enti privati( farmacie private). Alla farmacia privata di proprieta’ di un ente privato( ditte individuali o societa’), viene affidata una concessione che lo stato rinuncia a gestire direttamente.
Quindi il rapporto tra concessionario e concedente risulta dunque regolato da un negozio riconducibile allo schema convenzionale privatistico, anche se permangono specifici poteri di controllo da parte dell’amministrazione a garanzia e tutela dell’interesse pubblico posto a fondamento del servizio.
Tale concessione consente di svolgere la professione sanitaria attraverso un’impresa organizzata per assicurare un servizio pubblico (art. 14, l. n. 833/1978)in concessione dallo Stato,seguendo le norme e gli atti di un servizio pubblico ma senza che vengano esercitati poteri autoritativi (art. 385, cod. pen., come modificato dall’art. 18, l. n. 86/1990). Il farmacista non giunge così a rivestire la qualifica di pubblico ufficiale, ma d’incaricato di un pubblico servizio.
Inoltre la farmacia privata ha una doppia natura : svolgere un servizio pubblico in concessione assumendosi gli oneri, i rischi ed il rispetto delle norme e quello complementare relativo all’esercizio commerciale della farmacia sottoposta ad autorizzazione che non rientra nell’area terapeutica, ma salutare. Autorizzazione di cui ciascun titolare di farmacia deve munirsi per svolgere la relativa attività economica (art. 24, l. n. 426/1971, in relazione all’allegato 9, d.m. n. 375/1988), che è essenzialmente libera, anche se programmata.
La diversa natura dei due provvedimenti amministrativi che disciplinano l’attivita’ della farmacia privata in entrambe le aree d’intervento,quindi, la configurano come un’attività economica destinata al perseguimento di fini sociali,pur rimanendo delle imprese.
E questi sono i ”casi” in cui si decade dalla titolarita’ di farmacia:
Decadenza dell’autorizzazione all’esercizio della farmacia
• Art.113 TULS dichiarazione di fallimento
• Mancato adempimento dell’obbligo di rilavare dal precedente titolare o dei suoi eredi
provviste e dotazioni della farmacia e di corrispondere l’indennità di avviamento (art.110
TULS)
• Volontaria rinuncia dell’interessato
• Chiusura dell’eercizio durata oltre 15 giorni che on sia stata preventivamente notificata
all’ASL o alal quale l’ASL non abbia consentito
• Constatata, reiterata o abituale negligenza e irregolarità nell’esercizio della farmacia o
altri fatti imputabili al titolare autorizzato , dai quali sia derivato danno alla incolumità
individuale o alla salute pubblica
• Cancellazione dall’Albo dei Farmacisti
• Perdita della cittadinanza
• Morte dell’autorizzato
• Mancato pagamento della tassa di concessione (art.108 TULS)
Come si puo’ vedere tutti casi talmente ovvii e del tutto inefficaci e superficiali( senza specifiche ed approfondimenti delle fattispecie) per non consentire un ”vero” controllo della qualita’ del servizio,
quello dato in concessione alle farmacie private nonche’ imprese autonome. Se non si fosse introdotto recentemente il caso specifico di ”truffa ai danni dello stato”, queste sarebbero rimaste solo il compendio di una ”presa in giro” per chi vuol credere alle favole.
Qualcosa che…vi prego…potete applicare alla mia attivita’ di parafarmacia senza neanche farla diventare legge.
(anche da domani)