La vera ragione del dissesto della farmacia e degli attacchi al farmacista originano da un’assenza o scarsa visibilità del ruolo, in particolare nasce con la Legge 23 dicembre 1978, n. 833
“Istituzione del Servizio Sanitario Nazionale” (RIFORMA SANITARIA), infatti, in questa riforma il farmacista perde il ruolo di sanitario, egli è completamente ignorato, per il suo ruolo, mentre viene marginalmente menzionato nell’art. 14 – relativo alle funzioni delle Unità sanitarie locali: “Nell’ambito delle proprie competenze, l’unità sanitaria locale provvede, all’assistenza farmaceutica e alla vigilanza sulle farmacie”.
Con quest’assunto la farmacia diventa un fornitore di beni (farmaco e presidi) il cui rapporto è regolato da un accordo convenzionale.
Un bel passo indietro di circa mezzo secolo, come si evince nel regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265, dove il farmacista è riconosciuto tra le professioni sanitarie unitamente al medico e veterinario.La farmacia è indifesa, dinamica che trova riscontro negli ultimi eventi normativi.
La connotazione sindacale di categoria ha determinato, di fatto, l’aggressione al sistema farmacia degli ultimi anni che in realtà, è l’espressione di un’aggressione, che in origine, era rivolta al farmacista e alla sua rendita di posizione.
Vediamo come in realtà è percepito il ruolo del farmacista, scevro da influenze statistiche su commissione ad uso e consumo.
L’espressione della professionalità del farmacista, che viene percepita dall’osservatore utente, si estrinseca in un atto meramente di scambio.
Nell’esprimere il suo atto professionale il farmacista trasmette al cliente una serie d’imput visivi costituiti dall’ambiente di lavoro, dalla propria immagine e dalla spedizione della ricetta.
Dobbiamo costatare che il farmacista ha pochi elementi per comunicare la propria professionalità. Sostanzialmente il suo atto professionale, apparente, si traduce nell’interpretazione-lettura della ricetta, individuazione del farmaco, ed emissione dell’eventuale scontrino fiscale (può, su richiesta del cliente, formulare consigli circa l’assunzione e posologia del farmaco).
L’atto professionale appare all’osservatore sostituibile, cioè, in sostanza non emerge l’espressione della conoscenza professionale. Da questo impatto comunicativo la professionalità non emerge, tanto che nel luogo comune s’identifica la farmacia e non il farmacista. Il cliente va in una determinata farmacia perché più assortita, o per la disponibilità del personale, ma, non certamente, per avere un servizio diverso e per la professionalità del farmacista.
In sostanza la vera essenza professionale, la funzione di controllo e tutta la normativa cautelativa prescritta dai codici ufficiali, ad esclusiva tutela della salute del cittadino, non appare visibile, quindi, non rende giustizia della vera precipua funzione che il farmacista svolge.
Non mancano al farmacista stimoli e informazioni che parlano di marketing, (direi più di merchandising ad uso e consumo di produttori e fornitori di servizi per la farmacia), a tal proposito, il lay-out della farmacia è un elemento importante, che gioca un forte impatto a livello di percezione visiva (v. stili di comunicazione), argomenti trattati abbondantemente da tutte le riviste di categoria, che mettono in risalto il negozio farmacia, cioè l’azienda. È necessario, invece, insistere sulla comunicazione umana per trasformare il concetto da prodotto venduto in farmacia a prodotto consigliato dal farmacista, da farmacia di servizi ai servizi erogati dal farmacista in farmacia, dal negozio farmacia alla farmacia quale luogo di accesso al farmacista professionista sanitario di primo livello, condizione purtroppo persa con l’avvento della riforma sanitaria.
Quotidianamente attraverso i suoi contatti, il farmacista può incutere ed invertire questo luogo comune, operando una sorta di reframing, trasformazione di luoghi comuni. Egli ha la possibilità e la capacità: la comunicazione umana[1] può essere uno strumento incisivo ed efficace per comunicare e trasmettere la vera essenza professionale. È necessario che il ruolo e la centralità del professionista emergano attraverso la comunicazione umana per fidelizzare il cliente e coniugare il bisogno-salute dell’utente nella risposta farmacista sanitario di primo livello. Il farmacista che diventa testimonial non del prodotto, ma della sua professionalità peculiare ed esclusiva, mission oriented.
Per raggiungere questi obiettivi è necessario che vecchi retaggi e inadeguatezze delle rappresentanze di categoria (sia nell’espressione politica che negli organi di staff) si trasformino in eccellenze di un’associazione d’imprese con finalità di fornire servizi, prodotti e consulenze per il benessere e la salute della persona con la supervisione e l’ausilio del farmacista, professionista sanitario di primo livello riconosciuto e parte integrante del SSN.
Dott. Rocco Carbone
Direttore Corso Alta Formazione Università G. Marconi – Roma
Responsabile progetto In Natura Felicitas.
Finalmente un’analisi veramente lucida. Ovviamente ci sono già farmacisti che hanno compreso questo da tempo, e cercano di trasformare ogni trasformazione in un atto professionale percepibile.
Trasformazione=dispensazione
Come dico da sempre ai miei collaboratori: è meglio avere clienti convinti più che costretti.
gia su l’articolo di qualche tempo fa ” farmacista fine di una professione” avevo commentato cosi’
grazie
Analisi precisa che condivido : la farmacia va sempre di più verso il negozio multimarca; ma a parte il destino che si intravede di una specie in via di estinzione, la cosa che mi lascia perplesso è che la specie non reagisce.
I rappresentanti, federati, continuano a spartirsi le poltrone, senza guardare oltrei propri stivali.
Stiamo discutendo di remunerazione e non si parla di Professionalità, tariffe ed onorari sono fermi da oltre vent’anni.
Gli ordini ??
un decadimento dovuto ad interessi politici di rappresentanza. Nessun controllo.!! tutti liberi di vendere senza ricetta e dopo i servizi televisivi si grida allo scandalo.
Non si toccani i propri elettori; come in politica il popolo ha il governo che si merita.
Azione preventiva e controllo educativo per contrastare la concorrenza sleale, dovrebbe impegnare gli ordini; purtroppo tutti stiamo a guardare inermi.
Si dovrebbe fondare una società scientifica di farmacia territoriale. Forse una delle poche cose buone di una forte liberalizzazione sarà ridare orgoglio a una professione eliminando tutti coloro che seguivano questa strada solo per tenere in famiglia il titolo. Certo ci sara’ il rischio
di un definitivo schiacciamento sulla componente commerciale: o la va o la spacca
Finalmente si comincia a fare chiarezza(mi piace sempre la conferma postuma di cio’ che diciamo da anni). Il ”reframing” comunque non serve a nulla, così come l’acqua di rose non cura una frattura. Anche l’impegno massimo profuso al banco per non sembrare quello che la normativa ci fa rappresentare e’ solo tempo preso a soluzioni piu’ radicali ed urgenti che si dovrebbero adottare.
Bisogna conquistare nuove posizioni professionali:1) la assunzione di responsabilita’ del farmacista nel dispensare in autonomia e con prescrizione su ricetta firmata, farmaci per le patologie ”minori”
2)Possibilita’ di effettuare interventi infermieristici di primo soccorso, direttamente e nella persona del farmacista,acquisendo competenze adeguate.
3)Potenziamento della preparazione dei medicinali, con la possibilita’ di manipolare, frazionare ed all’occorrenza anche preparare i medicinali industriali( compreso i medicinali prescritti dal farmacista).
Tre proposte concrete per passare da un ruolo ”passivo” ad uno professionalmente ”attivo”.
Personalmente penso che usando l’acqua di rose saremmo piu’ profumati al banco, ma il cittadino ci vedra’ sempre nella stessa maniera.
Non penso affatto che stare al banco in modo “attivo” sia tempo perso, tutt’altro, secondo me il problema è che non sono poi molti i farmacisti che hanno capacità e/o voglia di starci così, adagiandosi su un ruolo logistico o, al massimo, paramedico. Il punto 1)indicato dal collega Rosario esiste già, anche se sicuramente un allargamento di sop gioverebbe; il punto 2) mi trova tiepido: non ho certo bisogno di correre dietro agli infermieri (!) per avere una dignità professionale, comunque, se lo si vuole, a patto che sia una semplice “di più”, non ho particolari obiezioni, ma il cuore della ns professione deve rimanere il farmaco, quindi vedo decisamente meglio MUR, farmacovigilanza, blisteraggio personalizzato per la compliance, dossier farmacologico, etc… ;il punto 3) piace a tutti, come idea, ma dire che “va potenziata la galenica” è uno slogan un po’ vuoto, bisogna individuare i razionali (economicità, personalizzazione,etc) se ve ne sono, che potrebbero portare a ciò.
Dipende cosa si vuol intendere per ruolo ”attivo”. Per me anche spiegare la posologia, le modalita’ di somministrazione, gli effetti collaterali e quant’altro al cliente che viene a comprarsi un medicinale, resta un esercizio ”passivo” della professione(volendo certe cose si possono andare a leggere nel bugiardino). Certamente e’ molto meglio che staccare la fustella, incartare il medicinale e poi chiamare il numero del prossimo cliente, ma cio’ non fara’ cambiare opinione al cittadino che ci vede come dispensatori di scatolette dall’altro lato del bancone.
Il ruolo ”attivo” puo’ venire fuori solo da una assunzione di responsabilita’ del farmacista in un atto professionale dedicato a risolvere in concreto una patologia, seppur minore, in caso di necessita’. Questo vuol dire diagnosi, consiglio del medicinale piu’ adatto ed eventuale prescrizione firmata in caso di medicinali con obbligo di ricetta. Questo significa andare ben oltre il consigliare i SOP o gli OTC. In farmacia quanti ne avrete consigliati in questi anni? Molto pochi! Eppure sono gli unici farmaci che il farmacista si puo’ permettere ”il lusso” di consigliare ad un avventore in emergenza, sempre che non sia capace di fare ”automedicazione”( nel qual caso il farmacista puo’ diventare a volte anche di troppo). Il delisting non serve a nulla se non ribadire che quel farmaco e’ commercializzabile senza l’aiuto del farmacista e puo’ stare sugli scaffali della GDO, EssereBenessere ed affini.
Se per voi questo sarebbe un ruolo ”attivo”, per me no!
D’altronde non capisco dove e’ il problema, se ad un cliente che mi chiede di potergli praticare una iniezione o di fargli una fasciatura o di fargli una medicazione di emergenza posso finalmente rispondergli di si. Così come qualsiasi intervento di semplice pronto soccorso, ma in farmacia. Vi sentite troppo nobili? Eppure anche un medico nobile all’occorrenza si ”prostra” a fare queste cose…fa parte della professione medica. Al limite lo lasciate fare al dipendente che comunque ha tutto questo bagaglio in piu’ di competenze da poter praticare nell’ambito della farmacia stessa. Molto piu’ efficace che mettere semplicemente in contatto con un infermiere, il cliente che ha bisogno di risolvere un suo problema urgente.
Al terzo punto, gia’ la possibilita’ del blisteraggio personalizzato per migliorare la compliance (ed i conti pubblici) e’ un ottimo inizio, che puo’ preludere ad una completa manipolazione o preparazione dei farmaci che attualmente sono off-limit per il farmacista. Si cominci a prevedere dei casi in cui puo’ gia’ intervenire la capacita’ preparatoria del farmacista.
Poi se se vuol intraprendere di nuovo la via dello speziale ed abbandonare quella che ci sta portando al ”distributore automatico”, la strada sara’ gia’ tracciata.
D’altronde lo si legge anche nell’articolo:
”…È necessario, invece, insistere sulla comunicazione umana per trasformare il concetto da prodotto venduto in farmacia a prodotto consigliato dal farmacista, da farmacia di servizi ai servizi erogati dal farmacista in farmacia, dal negozio farmacia alla farmacia quale luogo di accesso al farmacista professionista sanitario di primo livello,..”
La comunicazione umana non basta…anzi non serve proprio, per convincere il cliente che il prodotto che sta per essergli consegnato dietro presentazione di ricetta del ”medico”, gli viene invece dispensato ”su consiglio del farmacista”(?!). Assurdo fargli credere questo. Quello che resta da consigliare al paziente non e’ altro che un completamento alle informazioni dategli dal medico.
Bisogna invece conquistare nuove posizioni e competenze professionali, nuove normative, altre materie di studio al corso di laurea ed anche la voglia di cambiare(veramente) l’impostazione prettamente commerciale della farmacia.
No, non confondiamo comunicazione umana e c. Tecnica, il ruolo consulenziale lo trovo perfettamente attivo, perché il bugiardino non è alla portata di molti, perché contiene troppe informazioni (=nessuna informazione), perché molte situazioni (ad esempio come “inserire” i farmaci nella giornata di un soggetto in politerapia) sono veri esercizi professionali, io questa consulenza la faccio tranquillamente anche ai medici. Otc e SOP ne ho consigliati e ne consiglio tantissimi, e un 30-40% della mia attività professionale è questo, ma non può essere solo questo, per il farmacista sarebbe umiliante essere il “medico della piccola patologia”.Per le medicazioni, iniezioni, etc… ripeto che non ho problemi, ma mentre è normale che il medico faccia in certi casi il lavoro del l’infermiere (perche’ in realtà è l’infermiere che nasce per fare le cose più semplici di competenza del medico), io semplicemente, lavoro su un’altra sfera.
La comunicazione e l’informazione e’ senz’altro migliorabile, ma non risolutiva ed affidata troppo alla buona volonta’ del farmacista. Occorrono interventi piu’ radicali sulla professionalita’, proprio perche’ non esistono attualmente altre ”sfere” da poter praticare e non e’ affatto vero che sia umiliante per il farmacista avere, ANCHE, le competenze di un medico per le piccole patologie…anzi e’ l’esatto contrario. Noi ci vogliamo ancora crogiolare col ruolo che ”ieri” rappresentava il farmacista, ma questo non e’ ”l’oggi” e cio’ lo possiamo verificare tutti i giorni, stando al di la del banco di ogni farmacia, dalla parte del cittadino e di cio’ che egli vede(quando pero’ la vista non e’ impedita da un magazziniere). Per dare una ”patina” di utilita’ hanno pensato alla ”farmacia dei servizi”, che pero’ e’ un chiaro indice della crisi di identita’ che oggi la farmacia sta attraversando. Se si vuol fare della farmacia un ”presidio” vero, inutile riempirla di addetti per ogni servizio da fare. Bisogna riconquistare spazi professionali, anziche’ farceli togliere…così invece di fare entrare i medici, gli infermieri ed i massaggiatori e gli impiegati ed i truccatori e le commesse nella farmacia per sembrare ”piu’ utili” agli occhi di chi ci guarda, diventiamo noi stessi piu’ competenti e facciamo da noi cio’ che serve per trasformare la farmacia in ”presidio della salute”…e poi anche far sì che le attivita’ ed i servizi diventino una voce attiva nel bilancio, anziche’ dei costi…che non e’ cosa da poco.
E che dire dell’immaggine che puo’ dare un farmacista prescrittore ? E quella del farmacista che si prodiga negli interventi di primo soccorso…una rivoluzione troppo difficile da digerire per voi? Eppure vi state adattando come dei semplici impiegati di concetto a effettuare prenotazioni in farmacia, questo lo trovate umiliante?
In ogni caso si diano questi strumenti professionali a chi non si sente umiliato a praticare una iniezione od una fasciatura o un intervento col defibrillatore o nel fare una analisi di routine ed a stilare una ricetta di proprio pugno (per patologie minori) e poi si vedra’ se assomigliamo ancora a dei distributori automatici.
Dopo vent’anni che lavoro al banco (e forse ancor di piu’ con questa crisi), ci sono sempre tante persone che sono convinte che quello che ho scritto sopra, noi farmacisti, lo possiamo gia’ fare…e si meravigliano come un professionista sanitario di primo livello quale dovrebbe essere il farmacista, non possa essere (anche) ”medico della piccola patologia”. Vi rendete conto che e’ proprio cio’ che la gente ci chiede? Ma noi invece riempiamo le farmacie di ”altre” figure professionali per soddisfare questo bisogno….tutto sbagliato!
Dr Rosario, evidentemente o io scrivo male o lei non legge con attenzione. Ho scritto che essere il medico della piccola patologia va benissimo (anche perche’ per far matchare sintomo e prodotto sono più qualificato del medico, conoscendo molti piu’ medicinali), il problema sarebbe ridursi solo a quello.Quello del “farmacista prescrittore” anglosassone è poi un concetto sovente tirato in ballo ma che pochi conoscono, in realtà si è reso necessario da loro nella transizione dal “chemist” al “pharmacist”, ma in questa sede mi fermo qua perché il discorso sarebbe troppo lungo. L”altra sfera” esiste eccome, mi spiace per i colleghi che non hanno saputo rendersene conto. E cosa vedono i miei assistiti OGGI quando entrano in farmacia io reputo di saperlo molto bene, e mi lusinga, e la loro gratitudine palesata e i piccoli
doni frequenti me lo testimoniano. Per le prestazioni infermieristiche anche qui o scrivo male o lei è distratto: ben vengano ma non può essere certo un argomento centrale. Perfettamente d’accordo nel non trasformare il farmacista in un affittacamere per altre figure.
Ps: a me, come a molti colleghi, la “patina d’utilità” non serve. Io, perdoni l’immodestia, so di essere utile, e le persone che mi onorano della loro fiducia lo credono anche più di me (rivolgendomi a volte quesiti veramente al di fuori e al di sopra delle mie competenze); se qualche collega non pensa di essere già oggi utile, mi dispiace per lui perchè credo abbia una vita professionale alquanto frustrante.Semmai mi serve che la mia utilità sia codificata meglio, un po’ più pubblicizzata e se possibile, qui non ho problemi a darle ragione, anche ampliata.
Ma poi non ho capito una cosa: lei scrive che c’è chi si meraviglia che il farmacista non possa essere il medico della piccola patologia. A me risulta lo sia da sempre.
Sinceramente non capisco questa mentalita’ ”conservativa”, tutti possiamo essere ”utili” al paziente sforzandoci di esserlo, ma nel complesso poi risultare in concreto non essere sufficiente.
I pazienti oggi preferiscono pensare alla farmacia come una valida alternativa ai tradizionali presidi…lo vogliamo fare questo presidio? Allora potenziare le ”competenze” del farmacista nell’accoglienza darebbe una immagine ed una consistenza di intervento molto migliorativa.
La farmacia da’ un immagine professionale ma migliorabile in quanto e non e’ adeguata o attrezzata per tutte le richieste. Ed inoltre deve avvalersi di figure professionali diverse per accontentare(tutt’ora parzialmente) le molteplici necessita’ di salute.
Non c’è una ”autonomia” gestionale vera per l’intervento come primo approccio e per la piccola patologia.
Bisogna prendere coscienza che le sensazioni personali della propria attivita’ spesso non coincidono con la realta’ generale e non puo’ essere presa come regola generale…anche sentendosi gia’ figure sufficienti a se stessi ed a pochi altri(relativamente alla propria farmacia). Io non mi crogiolo mai sulla gratitudine e la stima che i clienti mi dimostrano da sempre, perche’ so che potrebbero esserci piu’ clienti che la pensano così o addirittura ”tutti” i clienti di qualunque farmacia, potrebbero pensarla così. Ognuno ha le sue piccole vittorie e soddisfazioni giornaliere, ma sono soddisfazioni limitate all’ambito del propria attivita’ slegata dall’operato delle altre e senza tener conto del mondo che c’è oltre. Sara’ forse il fatto di aver lavorato in decine di farmacie diverse ed in regioni diverse che mi fa vedere le cose da una prospettiva piu’ ampia. Se il farmacista e’ ”visto” da sempre il medico della piccola patologia , lo puo’ essere molto di piu’ di adesso che e’ limitato a consigliare SOP e OTC..
E così, anche come preparatore e come dispensatore di servizi e prima assistenza.