L’Adf, raccogliendo al volo l’invito a proporre suggerimenti migliorativi della bozza di decreto sulla remunerazione rivolto dal ministro Renato Balduzzi in occasione del convegno Assofarm di sabato scorso a Bologna, l’Adf, l’associazione dei distributori intermedi, ha preso carta e penna e indirizzato al titolare del dicastero una lunga e articolata lettera con le richieste della categoria.
Dove, in primo luogo, rappresenta le attuali condizioni di insostenibilità economica del servizio di distribuzione intermedia, dovute in larga misura dalla “mazzata” del 2010, che dimezzò dal 6,65% al 3% della quota di spettanza dovuta ai grossisti. Una insostenibilità, sostiene Adf, che è stata in qualche modo certificata nell’ottobre del 2012 dalla ricerca condotta dal Dipartimento di Ingegneria gestionale dell’Università “Sapienza” di Roma su un campione di aziende di commercio all’ingrosso, dalla quale emerse che – dopo l’abbattimento della quote di spettanza – le imprese di distribuzione intermedia del farmaco lavorano addirittura in perdita, almeno per quanto concerne il core business dell’attività (ovvero i farmaci erogati in regime di Ssn).
Sull’argomento, Adf ricorda anche, e non certo en passant, che sul drastico colpo di forbice del 2010 peserebbero anche profili di incostituzionalità, come sostenuto da un parere pro-veritate richiesto al prof. Beniamino Caravita di Toritto e a suo tempo portato a conoscenza anche del ministero della Salute.
Fatte queste premesse, la lettera Adf – firmata dal presidente Aldo Pesenti – entra nel vivo della questione, reclamando una nuova regolamentazione della remunerazione che “consenta agli operatori del settore di operare con un ragionevole margine di utile” e, soprattutto, che sia tale da non penalizzare ulteriormente “dal punto di vista strategico ed economico” la distribuzione intermedia. Le richieste dell’associazione sono sostanzialmente l’indicizzazione e la non scontabilità della quota fissa dovuta al grossista e l’adozione di meccanismi che garantiscano ai grossisti, qualora la somma fra quota fissa e variabile sia inferiore a 55 cents a confezione, di vedersi riconosciuta la differenza.
Nel dettaglio, la prima richiesta è volta a ottenere sia il riconoscimento, rispetto alla odierna quota proporzionale del 3%, di una quota fissa aggiuntiva rapportata ai dati reali della spesa farmaceutica pubblica, da aggiornare annualmente seguendo le variazioni dell’indice Istat, sia la intangibilità della quota fissa di spettanza del grossista, che non potrà essere sottoposta a sconti né essere ceduta nemmeno in parte alla farmacia, né trasferibile nel caso di vendite dirette effettuate dall’industria.
Per quanto riguarda l’altra richiesta, Adf chiede come detto che nel caso la somma fra quota fissa e variabile sia inferiore a 55 cents a confezione, al grossista venga annualmente riconosciuta la differenza. L’associazione indica anche i “serbatoi” dai quali attingere i fondi necessari: una trattenuta pari al margine del grossista (fisso e variabile) per le vendite di farmaci generici rimborsabili Ssn effettuate direttamente dall’industria alla farmacia; una trattenuta pari al margine del grossista (fisso e variabile) per le vendite di farmaci brand rimborsabili Ssn effettuate direttamente dall’industria alla farmacia e, infine, i risparmi Ssn rispetto all’invarianza di saldi di finanza pubblica al 31 dicembre 2012.
Per non lasciare dubbi o creare equivoci, l’associazione si spinge oltre, proponendo una modalità operativa secondo la quale l’industria – qualora ceda direttamente alla farmacia il medicinale rimborsato dal Sssn – “provvede a trattenere la quota di spettanza riservata alla remunerazione integrativa del grossista versandola in apposito fondo gestito al Ministero competente.”
Difficile prevedere quale sorte potranno avere i “suggerimenti” dell’Adf in sede ministeriale. Decisamente più agevole, invece, scommettere sul fatto che essi non mancheranno di suscitare le reazioni degli altri attori della filiera, a partire dalle farmacie.
Rif Day – Il Mattinale