Il nostro buon proposito di riportare al lettore tutti i programmi della Salute presentati dai partiti che saranno presenti alle prossime elezioni politiche, quest’oggi propone il programma del principale partito italiano: il Partito Democratico. Nato nel 2007 dalla confluenza in un unico contenitore de La Margherita e dei Democratici di Sinistra (ed altri partiti minori come Sdi, Italia di Mezzo…), ha subito riscosso un ottimo successo. Il Pd interrompe con la linea “socialista” che lo avrebbe visto discendente dal Pds (ex Pci), poi Ds, e si incanala in una direzione progressista, riformista e riformatrice. Un partito nato per dominare, visto che ha fuso alcune delle più grandi tradizioni politiche del nostro Paese: quella della sinistra socialista e riformista, quella cattolica tipicamente rappresentata dal centro (ex Dc), quella ambientalista… Gravi problematiche hanno afflitto il Pd fin dalla nascita visto che la convivenza di tradizioni diverse ha portato spesso a gravi crisi di identità. Oggi il partito è guidato da Pierluigi Bersani, dopo che questi ha vinto le elezioni primarie contro il suo avversario più valoroso all’interno del partito, Matteo Renzi. Qui di seguito riportiamo il programma ufficiale sulla sanità del Partito Democratico:
Premessa
Il PD si riconosce appieno nella piattaforma “La salute in tutte le politiche” adottata da tutti i governi dell’Unione Europea nel dicembre 2007, per iniziativa del Governo Prodi. Con questo impegno si riconosce che la salute è la più grande delle ricchezze, sia per gli individui che per la società. In questo scenario, la nostra iniziativa politica sulla salute, dovrà puntare non solo al benessere delle persone e alla promozione della salute ma anche ad interventi di prevenzione nei luoghi di vita e di lavoro.
Dal Nord al Sud d’Italia, per riaffermare gli obiettivi e i valori “forti” che costituiscono la base di un sistema sanitario equo, universale e solidale ma anche efficiente e di qualità.
La sanità deve restare pubblica
Il servizio sanitario nazionale italiano è un caposaldo della nostra democrazia. Ed è la risposta più coerente e più economicamente sostenibile alla crescita costante della domanda di salute e assistenza da parte dei cittadini. Per questo il PD ribadisce la necessità di mantenerne il carattere universalistico, finanziato dalla fiscalità generale, quale garanzia dell’uniformità nella quantità, qualità e appropriatezza delle prestazioni e dei servizi sanitari in tutto il Paese.
Per questo il PD dice un convinto NO al tentativo strisciante del Governo di privatizzare intere fette del servizio sanitario con il progressivo e costante taglio alle risorse finanziarie per la sanità pubblica, scaricando ulteriori oneri sui cittadini che sempre più spesso devono fronteggiare a loro spese malattie ed esigenze assistenziali.
La sanità non ha bisogno di tagli, perché la spesa italiana per la salute resta tra le più basse tra i Paesi europei con noi confrontabili (Germania, Francia, Gran Bretagna). Ha invece bisogno, per rendere sostenibile il sistema, di essere ben governata e ben gestita in un quadro di finanziamenti certi e compatibili con i bisogni reali di assistenza dei cittadini.
Ed è in questo quadro e con queste premesse che pensiamo possa svilupparsi anche una opportuna collaborazione con il privato e con il “Terzo settore” nei diversi ambiti di intervento della sanità, valorizzando energie, risorse e competenze del mondo imprenditoriale e della società civile in una compiuta logica di sussidiarietà.
La “Questione sanitaria nel Mezzogiorno”: una priorità per l’Unità del Paese
La situazione della sanità nelle regioni meridionali non è più accettabile. La sfida di una sanità efficiente e di qualità anche in queste regioni deve diventare una “grande questione nazionale”, perché rappresenta un’oggettiva debolezza della coesione del Paese e mette a rischio anche la tenuta complessiva del Ssn. Le politiche avviate negli ultimi anni dal Governo Berlusconi hanno invece posto la questione su un piano esclusivamente economicistico, senza alcuna attenzione al vincolo del rispetto dei Livelli essenziali di assistenza.
La stessa gestione dei Piani di rientro dal deficit sanitario (che riguarda, con l’eccezione del Lazio, la maggior parte delle regioni meridionali) è ormai diventata mera politica di tagli orizzontali e indiscriminati, senza alcuna reale iniziativa di riqualificazione dei servizi sanitari locali. I Piani di rientro e i commissariamenti, infatti, se hanno certamente messo in evidenza il problema del riequilibrio finanziario e del controllo della spesa in contesti contrassegnati sempre più dall’esigenza di contenere la spinta a una sua espansione, non hanno dato, nella gran parte dei casi, il segno di un’inversione di tendenza convincente. Non hanno indotto a comportanti virtuosi visibili. Anche perché è difficile interrompere i meccanismi politici e burocratici che hanno determinato le decisioni e le scelte operative precedenti quando si opera in una sostanziale continuità.
Per questo crediamo opportuno un ripensamento sulla questione dei commissariamenti, inserendo forme più efficaci di controllo esterno e di affiancamento che si basino soprattutto sullo sviluppo delle buone pratiche. Se non ci sarà una svolta il Mezzogiorno è condannato a restare prigioniero delle sue debolezze strutturali che rendono ancora più facile le infiltrazioni e le connessioni tra sanità e criminalità organizzata. Una svolta che non può prescindere da una forte presa di posizione sulla trasparenza, la professionalità e l’onestà di chi detiene la responsabilità della sanità meridionale, nelle sue diverse funzioni e articolazioni.
Il federalismo che vogliamo
I provvedimenti attuativi del federalismo fiscale, e in particolare i cosiddetti “costi standard sanitari”, devono essere profondamente modificati. Il calcolo del fabbisogno finanziario delle Regioni non può infatti essere ancorato ai soli indicatori di consumi sanitari per classi di età, come è stato sino ad oggi e come resta invariato anche con questo decreto. Occorre considerare anche altri indicatori fondamentali, come il livello sociale, lo stato di salute, il livello di ammodernamento tecnologico e strutturale, la presenza di strutture e servizi sul territorio. Per dare vita a un Federalismo solidale e responsabile poniamo quindi questi principali obiettivi:
• costi standard adeguati e basati su criteri che non penalizzino le realtà più disagiate;
• approvazione dei nuovi Livelli essenziali di assistenza, bloccati da mesi per il veto di Tremonti, per rispondere adeguatamente ai nuovi bisogni, a partire dall’invecchiamento e dalla non autosufficienza, dalle malattie croniche e alle nuove emergenze sanitarie;
• sviluppo di efficaci politiche di prevenzione sanitaria, a partire dagli stili di vita e dalla diffusione omogenea in tutto il Paese dei programmi di screening e vaccinazione per le malattie prevenibili;
• politiche efficaci di integrazione e razionalizzazione degli interventi a cavallo tra la sanità e il sociale, per favorire un migliore impiego delle risorse e un maggior coordinamento degli interventi assistenziali;
• accelerazione del processo di riorganizzazione della medicina di famiglia in forma aggregata e del complesso dei servizi territoriali, per dare risposte assistenziali appropriate, facilitare il governo della domanda e consentire agli ospedali di fare meglio il loro lavoro, che è quello di curare e assistere le emergenze e le malattie nella loro fase acuta, evitando ricoveri inutili e dispendiosi;
• prevedere un sistema adeguato di valutazione della qualità delle cure e dell’uniformità dell’assistenza in tutte le Regioni, attraverso un monitoraggio costante dell’efficienza e dell’efficacia dei servizi, affidato a un organismo indipendente garante dell’equità e dell’uguaglianza nel diritto alla salute dal Nord al Sud del Paese.
La salute deve stare fuori dagli “affari” e i partiti fuori dalle nomine
Affermare la legalità e la trasparenza in sanità non è solo una questione morale. Senza legalità e trasparenza i soldi non basteranno mai perché prevarranno gli sprechi, i favori, le regalie. Senza legalità e trasparenza i medici, gli infermieri, gli stessi direttori generali di Asl e ospedali avranno le mani legate da accordi sottobanco e da interessi che con la tutela della salute dei cittadini non hanno nulla a che fare.
E di trasparenza si deve parlare anche quando si parla di nomine.
Sia dei manager che dei Dirigenti medici apicali, troppo spesso oggetto di feroci logiche di lottizzazione.
I partiti devono restare fuori da questa partita. Occorrono nuovi meccanismi di selezione della classe dirigente del Servizio sanitario. Trasparenti e verificabili. Per farlo devono essere ridefiniti i requisiti professionali, i criteri e le procedure delle scelte dei direttori generali di Asl e ospedali e dei Dirigenti medici e sanitari (gli ex primari e gli altri responsabili di strutture sanitarie), attraverso chiari percorsi di selezione basati esclusivamente sul merito. E questo per garantire che chi sarà scelto lo sarà solo per le sue competenze, le sue esperienze e le sue capacità professionali e non perché appartiene a questa o a quella cordata di potere e di interesse. In questo quadro, quindi, la nomina dei direttori generali deve avvenire sulla base di un trasparente processo di selezione e di confronto delle candidature, verificato da organismi tecnici indipendenti. Al quale dovrà seguire una valutazione costante dell’operato dei neo direttori generali, basata non solo sugli aspetti della gestione economico-finanziaria, ma anche sulle strategie e i risultati di salute ottenuti.
La sanità è fattore di sviluppo per il paese non una palla al piede.
Investire in sanità vuol dire muovere risorse, uomini, know how, con tanto “made in Italy” che il mondo ci invidia per capacità ideative e realizzative. Già oggi a fronte di un carico in termini di spesa pubblica del 7,2% sul Pil, la sanità rappresenta il 12,8% dello stesso Pil in termini di “ricchezza” prodotta. A fronte di questi dati le politiche nei confronti del settore, restano vecchie e ancorate ad una visione della sanità come mero fattore di spesa e non come fattore di sviluppo per l’intera economia nazionale. E così, i nostri ospedali sono ormai in maggioranza troppo vecchi, insicuri, non rispondenti ai nuovi canoni della medicina. E lo stesso vale per la rete di assistenza extraospedaliera che non è ancora in grado di rispondere ai nuovi bisogni di salute.
E, lo stesso, infine, accade per le politiche, poco incentivanti se non del tutto disincentivanti, nei confronti della ricerca e dello sviluppo scientifico e tecnologico. Per questo vogliamo riaprire il “cantiere della sanità”, per l’ammodernamento e la messa in sicurezza delle strutture sanitarie, e per una nuova politica di promozione della ricerca italiana, capace di attirare gli investimenti esteri nel nostro Paese, ponendo fine alla vergognosa “fuga dei cervelli” che colpisce soprattutto i nostri giovani ricercatori.
Il confronto con gli operatori della sanità
Questo Governo, fìn da quando si è insediato, non ha fatto altro che mortificare la professionalità di medici, infermieri e di tutte le professioni che lavorano nel Ssn, congelando i loro contratti, definendoli a volte “spie”, a volte “macellai” e in generale “fannulloni”. Noi diciamo basta a questa politica di insulti e violenza verbale e legislativa.
Per questi motivi abbiamo deciso di aprire immediatamente un confronto permanente con gli operatori. Un vero e proprio “laboratorio sanità”, per affrontare tutti i temi legati allo sviluppo della professionalità di questi operatori a partire dalla formazione, dalla ricerca, dalla autonomia professionale, dal loro coinvolgimento diretto nel governo clinico delle aziende sanitarie, senza dimenticare il rischio che stiamo correndo di una prossima drammatica carenza di medici e di altre figure professionali che metterà a rischio la stessa qualità dell’assistenza sanitaria.
Un servizio su misura e “misurato” dai cittadini
Una delle principali e giuste critiche dei cittadini al nostro Servizio sanitario è sulla insopportabile lunghezza delle liste d’attesa. Questo Governo ha continuato a fare promesse ma di fatto ha bloccato l’attuazione di una nostra legge, approvata nel 2007, che affrontava con decisione il problema. Garantendo risposte assistenziali in tempi certi (max 72 ore per le urgenze) e fissando precisi paletti per l’esercizio della cosiddetta “intramoenia”. Ebbene, quella legge è rimasta inapplicata, con ripetute proroghe (l’ultima è inserita nel decreto Milleproroghe in discussione in Parlamento). Noi le liste d’attesa le abbiamo affrontate sul serio.
Questo Governo NO.
Ma non basta. Dobbiamo imparare ad ascoltare i cittadini. Per questo vogliamo che siano messi a regime strumenti reali di valutazione delle cure, all’interno dei quali il giudizio del cittadino dovrà avere un peso determinante. E questi giudizi e queste valutazioni devono essere resi pubblici perché la sanità che vogliamo è per e dei cittadini e di nessun altro. E i cittadini devono essere informati sulla capacità e la professionalità di chi li assiste e poter scegliere dove andare anche in base a queste valutazioni.
Perché vogliamo investire sulla salute delle donne
“La salute delle donne è il paradigma dello stato di salute dell’intera popolazione”. Con questa dichiarazione l’Oms ha lanciato la sua sfida per una rivalutazione complessiva delle politiche sanitarie e sociali in tutte le aree del Pianeta. E parlare di salute della donna ha un senso anche perché le donne vivono più a lungo degli uomini e anche per questo si ammalano di più. Ecco perché occorre sviluppare la ricerca e la medicina di genere, considerando che le donne consumano più farmaci degli uomini, possono avere diverse reazioni alle terapie e sono paradossalmente sottorappresentate nei trials clinici.
E poi bisogna dare nuovo sviluppo ai servizi socio-sanitari. A partire dai consultori e dalla rete materno infantile, con più servizi, strutture e accessibilità per una maternità realmente consapevole e sicura. E, infine, attivare tutti quei servizi di sostegno indispensabili per conciliare la gestione e l’educazione dei figli, senza rinunciare agli impegni professionali e lavorativi.
Garantire una vecchiaia serena e dignitosa a tutti e combattere le fragilità
Con l’età crescono le malattie croniche e invalidanti. Tutte queste persone, quasi sempre non autosufficienti, e parliamo di almeno 3 milioni di cittadini, hanno diritto a una vita il più normale possibile. La non autosufficienza è una delle grandi priorità del moderno welfare e come tale deve trovare adeguate garanzie nei Livelli essenziali di assistenza sanitari e socio-assistenziali.
L’azione del Governo, al contrario, si è finora distinta per l’abbandono dell’approccio universalistico e per l’arretramento delle politiche di integrazione ed inclusione.
Una politica di abbandono che vuole colpire anche in altri campi, come quello della salute mentale, oggetto di un tentativo di controriforma del centro destra tesa a riproporre un approccio manicomiale alla sofferenza psichiatrica. O come nel caso della prevenzione e dell’assistenza nel settore delle dipendenze (droga e alcol su tutte), ormai quasi del tutto abbandonate e oggetto di continui tagli alle risorse e ai servizi territoriali. Per non parlare della odissea a cui sono sottoposte le persone disabili per veder riconosciuti i propri diritti fondamentali. Attenzione particolare va poi riservata alle politiche di salvaguardia e tutela dell’infanzia a partire da una coerente applicazione della recente legge sui disturbi dell’apprendimento da noi fortemente voluta.
In questo quadro, riteniamo si possano sviluppare anche nuove forme di assistenza complementare da parte dei Fondi sanitari integrativi, con tariffe e costi controllati, consentendo di mettere in campo nuove risorse per facilitare l’accesso ad ulteriori servizi e prestazioni, non essenziali ma comunque importanti, non garantiti dal Ssn e dal sistema di assistenza sociale.
Riteniamo anche che in questo quadro possano essere comprese le politiche, opportune in sé, di tutela degli animali d’affezione, troppo sovente l’unica, ultima compagnia dei più deboli.
Attenzione e cura a chi soffre
Curare le persone non significa solo guarire il corpo malato, ma promuovere la qualità della vita sia quando si è costretti a convivere a lungo con una patologia cronica che quando restano pochi mesi e giorni di vita. Il diritto alla salute deve saper prendere in carico le persone e le famiglie che convivono a lungo con la sofferenza e le malattie. Per combattere il dolore, alleviare le sofferenze e non lasciare nessuno solo di fronte alla malattia, evitando contestualmente tutte le forme di accanimento terapeutico.
Grazie al determinante contributo del Pd, il Parlamento ha approvato alcuni mesi fa la legge per garantire le terapie del dolore e le cure palliative. Ma il Governo Berlusconi non ha mai stanziato i fondi per l’applicazione della legge e così l’Italia resta ancora tra gli ultimi posti in Europa nella diffusione delle terapie contro il dolore.