Il Servizio sanitario nazionale e, in modo particolare, il nostro Servizio sanitario regionale calabrese sono alle prese con gravi problemi di sostenibilità.
La popolazione invecchia e aumentano le patologie cronico-degenerative: si vive più a lungo, ma con patologie dalle quali non si guarisce (ipertensione, diabete, ecc.) e che bisogna tenere sempre sotto controllo con i medicinali.
I nuovi farmaci, frutto della ricerca avanzata, ma anche i nuovi strumenti di diagnosi e cura sono molto costosi. La situazione finanziaria del nostro Paese non permette di destinare ulteriori risorse alla sanità.
Anzi, è già un miracolo se, come sembra essere avvenuto con la recente legge di stabilità, si riesce a non tagliare ancora di più la spesa sanitaria.
La strada apparentemente è senza uscita: i costi aumentano, i soldi diminuiscono. La soluzione più semplice, ma anche la più impopolare e sbagliata, sarebbe quella di tagliare le prestazioni.
È una strada impraticabile perché penalizzerebbe in modo gravissimo le persone più deboli che sono anche quelle che stanno pagando il prezzo più alto della crisi.
La soluzione sulla quale invece, almeno a parole, convergono tutti (Stato, Regioni, organizzazioni di settore, associazioni dei malati) è quella di ridurre i costi ospedalieri che sono molto alti (ogni giornata di ricovero costa oltre 800 euro) e di puntare sull’assistenza territoriale e domiciliare, garantita da medici di medicina generale, farmacie, altri operatori del territorio, avvicinando la sanità ai cittadini e tagliando allo stesso tempo le spese.
La risposta sulla quale si è scommesso sono le aggregazioni dei medici di medicina generale e l’assistenza domiciliare che, anche nel nostro territorio, sta muovendo i primi passi con il progetto Home Care.
In sostanza si impone ai medici di riunirsi in un unico ambulatorio, dotato anche di macchinari e personale in grado di erogare prestazioni di diagnosi e cura, con un orario ampio, fino ad arrivare alle famose H24, cioè un servizio accessibile 24 ore su 24.
Si costruisce inoltre un sistema di assistenza domiciliare formando socio-sanitari operatori ad hoc. Sembrerebbe l’uovo di colombo per fare fronte all’equazione impossibile + cure – meno spese.
Apparentemente è la soluzione ideale. Invece che andare in ospedale o al pronto soccorso il cittadino va in queste strutture chiamate, di volta in volta, UTAP, UCP o case della salute, dove vengono curate tutte le patologie che non richiedono necessariamente il ricovero. I soggetti non autosufficienti vengono assistiti a domicilio.
L’apertura anche nel nostro territorio di una di queste case della salute e l’avvio del progetto Home Care ci inducono però a proporre alcune riflessioni, anche critiche ma costruttive, per far sì che queste novità producano i risultati auspicati.
Innanzitutto, va considerato che concentrare tutti i servizi in un unico punto rischia di lasciare scoperte dal servizio intere aree del territorio. I cittadini che abitano lontano dalla casa della salute dovrebbero comunque percorrere distanze notevoli per avere anche una semplice ricetta, cosa che prima facevano andando nel vicino studio medico e non troverebbero necessariamente il proprio medico di fiducia ma quello di turno.
Anche le farmacie rischiano di subire danni rilevanti da questa evoluzione, perché, come tutti sappiamo, il paziente la prima cosa che fa uscendo dallo studio medico è andare in farmacia a prendersi le medicine prescritte dal medico. Le farmacie più vicine alle case della salute sarebbero quindi notevolmente avvantaggiate, perché avrebbero più pazienti da servire, le altre perderebbero pazienti e risorse importanti.
Il rischio, in sostanza, è che il territorio, oggi servito capillarmente da medici e farmacie, subisca un processo di desertificazione.
Infatti, I medici verrebbero indotti a concentrarsi tutti nelle case delle salute, le farmacie più lontane da queste strutture finirebbero per impoverirsi ulteriormente e non potrebbero più fornire quei servizi che sarebbero particolarmente utili proprio per favorire il processo di deospedalizzazione e potenziamento dell’assistenza territoriale: assistenza domiciliare, presa in carico di paziente cronici per monitorarne le terapie, migliorare i risultati delle cure e ridurre gli sprechi, prenotazione di visite specialistiche ed esami tramite CUP, test diagnostici di prima istanza.
Il timore è che le case della salute non facciano altro che spostare, più che risolvere, il problema, avvantaggiando alcuni pazienti, ma penalizzandone molto più pesantemente altri.
Considerazioni analoghe valgono per il progetto Home Care che, se non integrato con la rete dei servizi territoriali, medici di medicina generale e farmacie, rischia di essere solo un palliativo e di non risolvere realmente i problemi dei pazienti non autosufficienti. L’unico risultato rischia di essere la creazione di una struttura a se stante, non in grado di dare risposte concrete alle molteplici e complesse esigenze dei malati e dei loro familiari.
A tali rischi si può fare fronte con il coinvolgimento delle farmacie nei processi di riorganizzazione dell’assistenza territoriale e nei programmi di assistenza domiciliare, affidando loro, oltre alla dispensazione di tutti i farmaci, il compito di erogare una serie di prestazioni di primo intervento in farmacia e a domicilio dei pazienti.
In tal modo le farmacie, che sono presenti in modo capillare su tutto il territorio e quindi possono facilmente raggiungere i pazienti della propria area territoriale di riferimento, potrebbero fungere da primo filtro, dando risposta a pazienti che richiedono un monitoraggio costante nell’assunzione delle terapie e piccoli interventi di assistenza, tra un controllo medico e l’altro.
Tale ruolo, peraltro, è delineato dalla normativa sui nuovi servizi in farmacia e, in particolare, dal decreto legislativo n. 153/2009, che individua le funzioni che la farmacia può svolgere in questo ambito, garantendo un servizio migliore e minori costi per il SSN.
Questo vantaggio competitivo della farmacia in termini di qualità e costi è stato recentemente riconosciuto dal Consiglio di Stato che ha sostenuto la validità e l’economicità dell’intervento delle farmacie, nel caso specifico, nella distribuzione di presidi per diabetici.
Grazie all’intervento delle farmacie, le case delle salute e gli altri operatori del territorio potrebbero concentrarsi sulla fornitura di prestazioni più complesse, riducendo il ricorso al pronto soccorso e garantendo gli interventi diagnostici e terapeutici che le farmacie non potrebbero assicurare.
In questo modo verrebbe data una risposta articolata a una domanda di salute della popolazione che è sempre più complessa e, allo stesso tempo, si riuscirebbe a tenere sotto controllo costi che rischiano di diventare insostenibili.
Ognuno avrebbe un ruolo ben preciso e si creerebbe una rete assistenziale efficiente e capillare, senza togliere niente a nessuno e soprattutto mettendo veramente al centro del sistema il cittadino.