Da molto tempo sento e leggo di prese di posizione, commenti e iniziative di colleghi farmacisti, titolari, non titolari, dipendenti, o lavoratori autonomi che pretendono di non versare contributi all’Enpaf, ovvero, di chiudere l’ente.
Penso sia opportuno, innanzitutto, conoscere bene le norme e le regole e solo dopo discutere e proporre rinnovamenti o modifiche, oppure abrogazioni.
L’Articolo 38 della Costituzione Italiana tra l’altro recita: “Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale. I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria.”
Di conseguenza, gli enti previdenziali, nell’ordinamento giuridico italiano, sono le istituzioni pubbliche previste ai sensi dell’art. 38 della Costituzione che gestiscono la previdenza e l’assistenza contemplate dall’Assicurazione Generale Obbligatoria, che tutela tutti i cittadini italiani.
In applicazione del Sistema Europeo dei Conti, indipendentemente dal regime giuridico (pubblico o privato) che la regola, una Unità istituzionale è classificata nel settore delle Amministrazioni Pubbliche se è di proprietà o amministrata o controllata da Amministrazioni pubbliche.
In Italia, la caratteristica saliente del sistema è che le prestazioni previdenziali sono un servizio pubblico erogato ai sensi dell’art. 38 della Costituzione,
Anche le casse di previdenza dei liberi professionisti, ancorché con personalità giuridica privata quali sono le associazioni o le fondazioni, sono quindi pubbliche amministrazioni.
La vigilanza è pertanto delegata: al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, al Ministero dell’Economia e delle Finanze ed al Ministero della Giustizia; alla Commissione di vigilanza sui fondi pensione COVIP; alla Commissione Parlamentare di controllo sulle attività degli Enti Gestori di Forme Obbligatorie di Previdenza Commissione Parlamentare ed alla Corte dei Conti.
Gli enti gestori di forme di previdenza obbligatoria, sono inseriti dall’Istituto Nazionale di Statistica ISTAT nell’elenco delle pubbliche amministrazioni che concorrono al conto economico consolidato dello Stato. Gli oneri sociali o contributi previdenziali versati agli enti, indipendentemente dalla fruizione dei servizi, sono quindi imposte ai sensi dell’art. 23 della costituzione. Gli enti previdenziali, sono quindi enti impositori in quanto obbligano i soggetti previsti dalle leggi speciali sulle assicurazioni sociali obbligatorie, al pagamento dei contributi previdenziali.
Il sistema pensionistico correntemente detto gestione a ripartizione, ossia senza copertura patrimoniale delle obbligazioni derivanti dalle prestazioni patrimoniali promesse, è una modalità di gestione finanziaria dei sistemi pensionistici obbligatori pubblici, che prevede la ripartizione delle entrate che l’ente gestore ha a qualsiasi titolo, tra i pensionati che hanno diritto alle prestazioni previdenziali in base alla normativa vigente. In questi sistemi l’ente gestore non ha la copertura patrimoniale delle obbligazioni assunte per legge con gli aventi diritto e l’eventuale patrimonio netto serve per gestire solo le necessità di liquidità correnti.
Nella realtà nei sistemi pensionistici senza copertura patrimoniale (gestione a ripartizione), gli enti si finanziano con l’imposizione fiscale consistente nei contributi previdenziali sia ai propri iscritti sia ad altre figure indicate dalla legge (datore di lavoro), nonché con i trasferimenti dello Stato e nel pagamento con gli stessi delle prestazioni previdenziali correnti, previste per legge, ai propri iscritti (pensioni di vecchiaia, anzianità, reversibilità, superstiti, invalidità, inabilità).
La gestione degli enti assistenziali pubblici a gestione privata è demandata agli organismi maggiormente rappresentativi riconosciuti dallo Sato, nella fattispecie delle professioni intellettuali, agli Ordini professionali. Essi sono istituzioni di autogoverno di una professione riconosciuta dalla legge, avente il fine di garantire la qualità delle attività svolte dai professionisti; ad essi lo Stato affida il compito di tenere aggiornato l’albo professionale e il codice deontologico, tutelando la professionalità delle categorie. Soppressi negli anni Trenta dal fascismo, allo scopo di riassorbire l’autonomia dei corpi professionali all’interno del regime corporativo, con la legge del 1938 si affermava il principio del riconoscimento della funzione pubblica delle professioni intellettuali e l’obbligatorietà dell’iscrizione agli albi. Per la cultura dell’epoca l’Ordine rappresentò, più che la prova dell’autonomia professionale, il trionfo dello Stato e della sua capacità di riconoscere, disciplinandoli, i corpi sociali. La Repubblica si è riallacciata alla tradizione liberale, recuperando al tempo stesso la cultura pubblica delle professioni diffusasi durante il fascismo e ricostituì gli Ordini dal 1945 estesi anche alle professioni che erano state riconosciute e regolamentate durante il fascismo. In Italia sono enti pubblici autonomi, che per legge soggiacciono alla vigilanza del Ministero della Giustizia.
L’Ordine controlla le credenziali richieste dallo Stato per iscriversi all’albo professionale: il possesso del diploma di laurea, il superamento dell’esame di abilitazione alla professione, la cittadinanza, la buona condotta, l’incompatibilità con altre professioni. La funzione di certificazione degli Ordini è rimasta a tutt’oggi la stessa, così come inalterato è rimasto il loro potere di disciplinamento del corpo professionale.
Nelle società moderne essi sono presenti quali istituzioni di tutela degli utenti e cittadini e nell’Europa continentale hanno natura pubblica.
Ordini professionali simili a quelli italiani sono presenti in Francia, Germania, Spagna, Olanda, Belgio, previo superamento di un esame di stato, il possesso di specifici titoli di studio, il giuramento di osservanza di una deontologia, la vigilanza sul rispetto del decoro della professione, ecc.
Tali enti pubblici gestiscono quella che è comunemente detta previdenza di primo pilastro, distinta invece dalla previdenza complementare (detta anche “previdenza di secondo pilastro”), che si attua invece su base volontaria.
La partecipazione agli enti previdenziali è obbligatoria per legge e le attività sono finanziate sia con le imposte specifiche (contributi previdenziali) sia con altri trasferimenti dello Stato.
Dopo questa lunga presentazione è del tutto evidente che se non si stravolge completamente la legislazione riguardante le professioni intellettuali, è impossibile uscire dalla previdenza di categoria e neppure si può eliminarla senza conseguenze catastrofiche per tutte le professioni e per tutti gli iscritti ad esse.
Infatti, nessuno si accollerebbe né gli attuali pensionati, né coloro che hanno iniziato a versare i contributi ma non hanno concluso il periodo obbligatorio. Men che meno l’INPS che versa in una situazione già ora di perenne dissesto finanziario con spaventosi ammanchi di decine di miliardi di euro che dovranno essere per forza compensati dalle finanze statali, vale a dire da tutti noi cittadini italiani che, oltre a versare in vario modo i contributi previdenziali e le tasse per la gestione dello Stato, dovremmo anche sanare per decine di anni il disavanzo consolidato e previsto.
Le uniche regole che possono essere variate, stante l’obbligatorietà dell’iscrizione e della partecipazione alla contribuzione, riguardano la forma e l’entità dei contributi e delle pensioni in divenire, previa approvazione dei Ministeri e delle Commissioni competenti al controllo.
Non contribuire, ovvero cancellarsi, oppure eliminare l’Ente è solo utopia di chi non vuole tenere conto delle leggi comuni a tutte le professioni, Ordini e previdenza obbligatoria.
Sicuramente, invece, si deve trovare il modo di innalzare le pensioni minime, eliminare definitivamente il prelievo forzato sui ricavi delle farmacie riguardanti il SSN, che fu introdotto per finanziare l’Ente facendo transitare tale cifra per lo stato che poi lo riversa nell’Ente stesso, cambiando il metodo contributivo da fisso a percentuale sul reddito da prestazione professionale.
Dott. Maurizio Guerra
Trovo alquanto inesatte, se non DI PARTE, diverse delle considerazioni fatte dal Dr. Guerra.
Nel suo articolo, secondo me, ha fatto un pot-pourri di cose vere e meno vere, per giustificare cose vere, meno vere, e false.
Dunque, vediamo di sbrogliare la matassa.
Nel lungo preambolo, in cui cita addirittura l’Art. 38 della Costituzione, dice che il cittadino ha diritto all’assistenza per malattia, per vecchiaia, parla degli Ordini Professionali, con relativo esame di stato, ecc. ecc. Ok.
Poi viene la parte in cui si dice che la previdenza di categoria è sottoposta a controllo, che deve avere i conti in regola ecc. Ok.
Poi si inizia a dire mezze verità, e bugie.
Dice che non si può eliminarla, pena conseguenze CATASTROFICHE per tutti gli iscritti,
cosa che dicono regolarmente coloro che non vogliono mai cambiare NIENTE. Dice che l’Inps, con le casse già disastrate, non si accollerebbe l’onere di pagare le pensioni nè agli attuali pensionati, nè a chi ha iniziato a versare i contributi e non ha ancora ultimato.
Delle due l’una:
– O questa cassa previdenziale NON HA i conti in ordine, e allora si che sono guai seri per chi dovrà risquotere la sua pensione dalla previdenza di categoria.
– Oppure i conti SONO in ordine, e allora l’Inps si accollerebbe volentieri l’onere di continuare a pagare i contributi con i fondi già versati.
Ancora. Dove è scritto, nella Costituzione, che una gran parte di lavoratori devono OBBLIGATORIAMENTE pagare una parte del loro stipendio a FONDO PERDUTO, per pensioni di altri, senza che a loro verrà mai in tasca neanche un centesimo? Siamo sicuri che questo sia costituzionale?
E ancora. Dove è scritto che è giusto, che ciascuno non possa scegliere fra la previdenza pubblica e quella di categoria?
E poi, siamo sicuri che tutto ciò è DEMOCRATICAMENTE corretto? Siamo sicuri che la MAGGIORANZA degli iscritti all’Ordine non smetterebbe SUBITO di pagare questo “pizzo”?
E’ evidente che questi centri di potere, di gestione di enormi capitali, di poltrone, a qualcuno fanno comodo, e io non so neanche chi sia questo Dr. Guerra, ma evidentemente qualche vantaggio ce l’avrà, se vuol mantenere questa situazione OGGETTIVAMENTE ingiusta. E su questo, malgrado il maltemo NON CI PIOVE.
Ognuno ha diritto ad avere la previdenza che vuole, versare i contributi A CHI VUOLE, e a fronte di questi di ricevere una pensione, non versamenti a fondo perduto!
Chi vuole, ora ha anche la possibilità di SCEGLIERSI una previdenza integrativa, e all’interno di questa, di scegliersi anche la linea di rischio, prudente, aggressiva.
Questa è democrazia, e non è per niente CATASTROFICA.
Non sai nemmeno chi sia questo Dr. Guerra però siccome la pensa diversamente da te allora scrive per interesse: complimenti, bel modo di ragionare!
Ma che discorso è?
Io ho fatto un ragionamento. Contestami su quello.
Cosa c’è di sbagliato?
Io ho contestato il Dr. Guerra in merito alle sue affermazioni, non sulla sua storia personale.
Hai scritto:
e io non so neanche chi sia questo Dr. Guerra, ma evidentemente qualche vantaggio ce l’avrà, se vuol mantenere questa situazione OGGETTIVAMENTE ingiusta.
Scrive il dr. Guerra:
‘La partecipazione agli enti previdenziali è obbligatoria per legge e le attività sono finanziate sia con le imposte specifiche (contributi previdenziali) sia con altri trasferimenti dello Stato.’
Non è nella Costituzione ma è ugualmente legge. Una legge, bella o brutta che sia, che è la stessa anche per medici, notai, ingegneri ecc. Se a loro va bene pensi che riusciranno i farmacisti da soli a farla modificare?
Marco, se l’ENPAF ha i conti in ordine, li ha perchè fa pagare le attuali quote. Se l’INPS si accollasse gli eventuali ex-ENPAF dovrebbe continuare a far pagare tali quote, i soldi di oggi riescono a pagare le pensioni di oggi non certo quelle future
Secondo me, se l’Inps si accollasse gli eventuali ex-Enpaf, si accollerebbe crediti e debiti. Quindi se il sistema è “sano” non avrebbe nessuno sbilancio negativo.
Se il sistema invece è illogico, è chiaro che dovrebbe essere ricalcolato.
Non puoi pretendere di far tornare i numeri, chiedendo versamenti a fondo perduto a chi non avrà mai nessun beneficio!
Dovrebbero essere o aumentati i versamenti di chi ne beneficierà, oppure ne dovrebbero diminuire le prestazioni in base a quanto versato.
O no?
Non avrebbe sbilanci negativi sul momento. Poi o qualcuno paga o le cose cambiano.
La faccenda dei versamenti a fondo perduto non mi è chiara: parli del versamento minimo obbligatorio (del 3% mi pare) o delle quote normali che secondo te non rivedrai sotto forma di pensione?
Come non sapete chi sia questo dr. Guerra? C’è lì sopra vicino alla sua foto la descrizione, fa parte del CDA dell’ENPAF! Chissa come mai a loro va bene non cambiare mai nulla e basarsi sull’obbligatorietà di un ENTE che si fonda su una legge del 1938! Ma con i tempi che corrono la sensazione comune è che questa cassa non sia più sostenibile da noi farmacisti, dovremmo solo pagare e abbassare la testa davanti alle leggi del 1938?