Fatta eccezione per i preparati galenici, il farmacista non è obbligato riportare sulla ricetta non ripetibile il prezzo del farmaco dispensato. E’ quanto affermano due recenti sentenze del Consiglio di Stato, che non solo invertono un indirizzo della giurisprudenza finora prevalente ma danno anche ragione alle tesi finora sostenute sull’argomento da Federfarma. I casi cui fanno riferimento i due interventi sono praticamente gemelli e riguardano due titolari di farmacia, sanzionati dalla Regione Friuli Venezia Giulia per non avere apposto il prezzo del farmaco prescritto su due ricette veterinarie non ripetibili. I farmacisti avevano impugnato le ingiunzioni di pagamento davanti al Tar, che aveva dato loro ragione, da cui l’appello dell’amministrazione regionale davanti al Consiglio di Stato.
Nel confermare le ragioni dei farmacisti, i giudici di secondo grado ammettono a chiare lettere che la loro decisione supera le precedenti sentenze emesse dallo stesso Consiglio di Stato, come la 5054 del 2011. Ma tale inversione di rotta, scrivono, si giustifica «in ragione di una più ampia e approfondita considerazione del contesto normativo», nel quale nel quale l’articolo 37 del Regio decreto 1706/1938 e le altre disposizioni della stessa legge si integrano «nella prassi attuativa quale risulta dalla più comune esperienza»: i farmacisti, in sostanza, non hanno più l’abitudine di «apporre sulle ricette non ripetibili non a carico del Ssn tutte le complesse annotazioni richieste dall’articolo 37», rese obsolete dall’affermazione del farmaco preconfezionato di origine industriale. Nel contesto di quella norma, dunque, va ritenuto che l’obbligo di riportare il prezzo permane soltanto nel caso in cui il farmaco spedito sia un «galenico magistrale», per il quale «il farmacista è chiamato di volta in volta a “costruire” il prezzo sulla base delle specifiche indicazioni della tariffa». Lo stesso non vale ovviamente per il medicinale di produzione industriale, il cui prezzo può essere dal cliente verificando l’etichetta sulla confezione.
Invita a tale lettura, concludono i giudici, anche «la normativa assai più specifica sviluppatasi a partire dal 1992, in attuazione delle direttive comunitarie sulla vendita di medicinali industriali sia veterinari sia per uso umano». Ossia il decreto legislativo 119/1992 (in attuazione delle direttive 81/851/CEE, 81/852/CEE, 87/20/CEE e 90/676/CEE) con il suo decreto attuativo (dm 28 settembre 1993) e il decreto legislativo 539/1992 (in attuazione della direttiva 92/26/CEE).
FONTE: FEDERFARMA