Si sono aperti oggi i lavori del convegno nazionale “La ricerca clinica parla europeo: la nuova sfida per istituzioni e imprese”, un’iniziativa congiunta AIFA-FARMINDUSTRIA per informare e discutere sui futuri cambiamenti nel settore della sperimentazione clinica.
Di seguito una riflessione del Direttore Generale Luca Pani e del Direttore dell’Ufficio Ricerca e Sperimentazione Clinica dell’AIFA Sandra Petraglia sul tema dell’incontro.
Il nuovo Regolamento sulla sperimentazione clinica è ormai fonte di dialogo e dibattito da oltre un anno, ma solo da poche settimane sappiamo qual è la data di effettiva applicazione dei cambiamenti che stanno tenendo vivo il dibattito sull’argomento. È necessario quindi prepararci al radicale cambiamento che dovremo mettere in atto a partire dal 2018.
L’Italia è un paese di indubbia eccellenza nel campo clinico e della ricerca, non sempre riesce però a sfruttare tutti i fattori favorevoli che la contraddistinguono dal punto di vista organizzativo e scientifico. L’Italia potrebbe diventare l’hub della ricerca clinica, soprattutto nel campo dei medicinali innovativi e di terapia avanzata, dove ha già dimostrato di essere leader, sia come autorevolezza nella valutazione scientifica in qualità di autorità competente, sia in ambito produttivo.
Cosa ci manca quindi per diventare un punto di riferimento e rafforzare il nostro ruolo in Europa? Sicuramente delle infrastrutture operative efficienti. Sono troppe le lungaggini burocratiche che una sperimentazione clinica deve affrontare nel suo percorso prima di poter iniziare effettivamente. Il nuovo assetto introdotto dal Regolamento ci impone uno snellimento delle procedure, un maggior coordinamento e una gestione unitaria a livello nazionale delle procedure di autorizzazione.
Avremo un’unica domanda presentata a livello europeo, indipendentemente dai Paesi e dai siti sperimentali partecipanti a una singola sperimentazione, tramite un unico portale e gestita da un unico database. Lavoreremo su un unico assessment report, probabilmente quasi sempre in inglese, con un solo team di valutazione. Nel quale, novità assoluta, sarà obbligatoria la presenza di un “non addetto ai lavori”. Un paziente, quindi, che apporterà il proprio contributo in termini di effettiva significatività delle sperimentazioni.
Ci saranno una sola tariffa, un solo consenso informato valido per tutti i pazienti italiani. E alla fine, i risultati e i dati di quelle sperimentazioni saranno aperti al pubblico, che avrà accesso al database europeo, con una condivisione di informazioni in trasparenza per la comunità scientifica e per i pazienti mai raggiunta fino a ora. Il tutto con una valutazione coordinata a livello europeo della sicurezza delle sperimentazioni cliniche.
Non che ciò non avvenga già ora, come per il caso avvenuto in Francia la scorsa settimana, per il quale il network delle agenzie regolatorie europee si è immediatamente attivato al fine di scambiare le informazioni rilevanti e programmare le misure di indagine appropriate. Ma il livello di sicurezza, quando tutti hanno accesso alle informazioni da subito ed in maniera condivisa, e tutti i MS guardano a una stessa sperimentazione contemporaneamente e non individualmente e in tempi diversi, come ancora avviene oggi, è sicuramente una garanzia maggiore di individuare quelle criticità meno ovvie che potrebbero umanamente sfuggire quando si è soli a valutare un dossier.
L’aspetto più conosciuto e più dibattuto sul nuovo Regolamento è come ci si organizzerà per avere una singola valutazione di un Comitato etico e, com’era prevedibile, su questo è nato uno psicodramma nazionale. Ma possiamo davvero pensare che se ci sono voluti due anni per riorganizzare i comitati etici dopo la legge Balduzzi allora dobbiamo gettare la spugna di fronte alla possibilità che il nuovo Regolamento ci imponga un sistema probabilmente diverso?
Aver paura dei cambiamenti è già un fallimento in partenza e se l’Italia non ha il coraggio di affrontare in maniera diretta le nuove sfide che il contesto internazionale ci pone allora non può pensare di restare protagonista quando il cambiamento sarà diventato realtà. È necessario quindi lavorare per trasferire quelle che possono essere definite lungaggini burocratiche a una fase preliminare della pianificazione delle sperimentazioni cliniche, di competenza delle amministrazioni dei centri sperimentali, in modo che siano tutte già concluse quando viene presentata la domanda di sperimentazione.
Così che AIFA, insieme al comitato etico, possano fare quello che è di effettiva competenza degli organismi regolatori e scientifici, e cioè valutare le parti scientifiche ed etiche della sperimentazione, concentrandosi su queste e non sui cavilli dei contratti di assicurazione.
A questo punto anche i comitati etici potranno riappropriarsi del ruolo che gli è proprio, e cioè garantire l’eticità delle sperimentazioni e non fornire supporto alle amministrazioni per la gestione degli aspetti più burocratici della sperimentazione. Quale che sia l’organizzazione che avremo nel 2018, è importante capire che è il ruolo del comitato etico a dover cambiare, e soprattutto deve cambiare quella mentalità italiana che ci porta a pensare che nulla può cambiare.
Per questo, l’AIFA ha iniziato a lavorare già da quest’anno insieme ai comitati etici per la valutazione delle sperimentazioni che sono presentate su base volontaria a livello europeo in modalità coordinata tra gli stati membri. Il progetto pilota VHP, che ha visto un’elevatissima partecipazione da parte dei comitati etici, è in fase finale di organizzazione ed è pronto a partire nei prossimi giorni. Tutte le criticità e le osservazioni presentate sul progetto rientrano fra quelle che sono le perplessità naturali di fronte a un nuovo modello, i numeri di adesioni e la vivacità della discussione ci fanno sperare positivamente.
Sicuramente questo progetto ci darà indicazioni preziose su come potrà funzionare il sistema Italia; AIFA ha già dimostrato nel 2015 che il nostro è uno dei paesi leader, partecipando a quasi il 90% di tutte le procedure volontarie europee, dove si è posizionata al 4° posto tra i paesi di riferimento. Questi dati non sono forse noti neppure ai promotori, ma siamo orgogliosi di quanto siamo riusciti a fare fino a ora, sapendo che possiamo anche fare di più. E potremo fare ancora di più dal 2018, quando il Regolamento sarà applicato, ma solo se la capacità di reazione dei comitati etici e del sistema in generale sarà di uguale portata, perché non potremo andare avanti in due tempi, o da soli. Con in più il vantaggio, rispetto ad altri paesi europei, di conoscere già i pregi e i difetti di una piattaforma informatica unica, che in questi ultimi giorni ci ha fatto un po’ soffrire, ma che ha le potenzialità per consolidarsi e perfezionarsi da oggi al 2018, e ci fornirà una piattaforma di interscambio a livello nazionale e con il portale già rodata.
Questo è un valore aggiunto che non tutti i paesi europei hanno e che sarà comunque necessario avere, considerando il numero elevato di sperimentazioni condotte in Italia e la numerosità dei centri sperimentali attivi nel nostro territorio. Il sistema della sperimentazione clinica è infatti uno dei più complessi, passa dagli ospedali, università, IRCCS e centri privati, agli sponsor profit e non, investe comitati etici e autorità competente insieme all’ISS, necessita di CRO e di personale dedicato alla ricerca. È per questo che la semplificazione organizzativa introdotta dal Regolamento non può che giovare a un sistema così articolato.
L’elevata formazione scientifica e l’eccellenza clinica non sono sufficienti da sole per disegnare e gestire una sperimentazione clinica, se non è accompagnata da adeguata conoscenza delle regole, normative, GCP, se non sono supportate da strategie organizzative efficienti, che comprendono anche aspetti di pianificazione di budget che a prima vista potrebbero non dover rientrare tra le competenze di un ricercatore.
Perché due anni possono sembrare troppi, e questo è solo un inizio, ma ci troveremo al 2018 in un attimo e dobbiamo essere più che pronti a cogliere al volo queste opportunità e mettere in atto i cambiamenti che il nuovo scenario richiede, per riconfermare il ruolo dell’Italia e valorizzare le nostre eccellenze, affermandoci in campo europeo e internazionale come le nostre eccellenze meritano. E questo, non solo per il prestigio della comunità scientifica o il valore aggiunto della ricerca clinica in materia di investimenti e assistenza sanitaria, ma anche nell’interesse dei pazienti, ai quali la ricerca clinica offre possibilità di accesso precoce a farmaci assolutamente innovativi e speranze di cura, che altrimenti dovrebbero essere rimandate a giorni forse per loro troppo lontani.
fonte: AIFA