Sessantamila farmacisti disoccupati nell’arco di un ventennio: è questa l’infausta previsione che il presidente della Fofi Andrea Mandelli, interrogato riguardo al futuro della nostra professione, va ripetendo da diversi mesi. E se il mercato dei farmacisti sembra tenere ancora, almeno in parte, nelle regioni settentrionali, è ormai emerso con evidenza un problema occupazionale nel Mezzogiorno. Al crollo delle assunzioni si associa il tema, già dibattuto su quellichelafarmacia.com, dell’abuso dei tirocini extracurricolari, che lungi dal favorire l’ingresso nel mondo del lavoro aggravano il problema della disoccupazione. L’insoddisfazione non è purtroppo esclusiva di quanti, dopo la laurea, non sono riusciti a trovare un’occupazione stabile, ma riguarda anche molti collaboratori assunti a tempo indeterminato, delusi da una retribuzione bassa rispetto alla media europea e frustrati dall’impossibilità di fare carriera, in un sistema chiuso e basato sul modello della piccola impresa, spesso a conduzione familiare. Esistono margini di miglioramento, nel prossimo futuro, per quanti non hanno la fortuna di possedere una farmacia o le risorse per acquistarne una propria? Alcuni sostengono- sulla base del modello inglese- che l’arrivo del capitale determinerà un aumento degli impiegati del settore e delle retribuzioni, altri all’opposto sostengono che creerà ancora più disoccupazione determinando una contrattazione al ribasso degli stipendi. Lo scopo di questa inchiesta non è quello di appurare quale delle tue parti abbia ragione: si occuperà invece di raccontare l’esperienza di quanti, per questa o per altre ragioni, hanno deciso di abbandonare la nave che affonda e, forti delle conoscenze acquisite durante gli studi in Farmacia, hanno deciso di ritornare sui banchi dell’università iscrivendosi a Medicina, facoltà i cui laureati sembrano nettamente insufficienti a coprire il fabbisogno previsto fra un quinquennio. In questo articolo ho voluto intervistare alcuni farmacisti che stanno attualmente frequentando la facoltà di Medicina, ponendo loro una serie di domande utili sia a contestualizzare la loro scelta sia a fornire informazioni tecniche a quanti fossero interessati a compiere lo stesso percorso. Premetto che l’articolo nasce da un’esperienza personale in quanto anche il sottoscritto, nel 2011, ha fatto la stessa scelta ed è ormai prossimo a concludere questa seconda avventura accademica. Ho deciso quindi di girare le domande che più spesso mi vengono poste ad altri farmacisti, iscritti come me a Medicina ma in atenei diversi.
- Come mai questa scelta? <Ho sempre voluto fare il medico. E data la situazione in Italia, con stipendi da fame e contratti precari, ho pensato che non mi sarei persa nulla se avessi studiato altri sei anni>. Così mi risponde la dottoressa Lisa Brucculeri, laureata in Farmacia a Milano e attualmente iscritta alla Sapienza di Roma, terzo anno. Anche Serenella, dottoressa in CTF, è attualmente iscritta al quarto anno di Medicina alla Sapienza, e nemmeno lei ci va troppo per il sottile quando le faccio questa domanda: <La scelta nasce da un lato da un desiderio che ho sempre avuto, e dall’altro dall’impossibilità di svolgere una professione diversa da quella di commessa sottoposta a titolari avidi e spesso ignoranti>. La dottoressa Serena Fichera, che si è laureata con me nel 2010 ed è iscritta al secondo anno a Trieste, entra un pò più nel dettaglio: <Finita la laurea in farmacia, non avevo molta voglia di rimettermi sui libri. Era giunto il momento dell’indipendenza economica e di quella personale, era giunto il momento di vivere da grande. E così iniziai a peregrinare fra diverse esperienze lavorative, purtroppo con un’unica grande costante: una profonda insoddisfazione quando tornavo a casa la sera. Perché fondamentalmente ci sono due categorie di persone: quelle che il lavoro lo mettono in secondo piano rispetto alla famiglia, e quindi, in un certo senso, si accontentano perchè tutto sommato quello del farmacista collaboratore è un buon lavoro, posto sicuro e vicino a casa, con uno stipendio dignitoso; e quelle che invece vogliono essere soddisfatte del lavoro che svolgono, qualunque esso sia, che vogliono tornare a casa col sorriso anche se è stata una pessima giornata e anche se a casa c’è solo il gatto ad aspettarle. C’è stata una mattina in cui ero appoggiata sul bancone della farmacia e ho pensato che non volevo essere infelice per tutta la vita, e che quel tipo di vita- perché un lavoro con quegli orari modifica inevitabilmente anche la tua vita privata- non faceva per me. Ovviamente sto parlando a titolo personale. Ammiro moltissimo tutti i farmacisti che sono orgogliosi, contenti e fieri del proprio lavoro, si alzano ogni mattina col sorriso, e sanno trasmetterlo anche a chi gli è vicino. E, per fortuna, ne conosco molti>. Nel mio caso specifico, infine, la fortunata scelta di iscrivermi a medicina nacque da una considerazione molto più razionale: in quel momento ero un venticinquenne single, senza figli e con una naturale affinità per lo studio: perchè fermarsi, ricordo di aver pensato, quando con poche difficoltà avrei potuto rimettermi a studiare e ritrovarmi, a poco più di trent’anni, con due lauree in tasca? Ora che sto affrontando il sesto e ultimo anno, si avvicina il fatidico momento in cui dovrò decidere cosa fare da grande.
- Il test di ammissione è più facile per un farmacista? <Considera il fatto che io, il test, l’ho fatto trascorsi cinque anni dalla laurea, dieci anni dall’ultima volta che ho bilanciato una redox e tredici dall’ultima volta che ho letto Socrate. Insomma, alcuni argomenti mi sono sembrati davvero ostici. Io ho studiato parecchio, e forse se avessi affrontato il test prima di laurearmi in farmacia sarebbe stato più facile>. Questa l’opinione di Serena, in accordo con Serenella e in contrasto con Lisa che invece afferma di averlo trovato semplice. Per dovere di completezza, ricordo che il test di ammissione si compone di ottanta domande a risposta multipla, e comprende una parte di logica, una di matematica e fisica, una di chimica ed una di biologia. Secondo me, un farmacista fresco di studi dovrebbe superare ad occhi chiusi la parte di chimica, e fare bella figura anche nella parte di biologia e di matematica, magari dopo un breve ripasso dal libro di testo universitario. Quanto alla parte di logica, questa richiede soprattutto molto esercizio e una mente agile, come si presuma che sia quella di un farmacista; prova ne è il fatto che tutti i colleghi intervistati hanno superato il test al primo tentativo.
- Quanti e quali esami vengono riconosciuti? Rispondere in modo preciso a questa domanda è difficile anche dopo aver raccolto le esperienze di più colleghi. Considerate che ogni professore universitario è convinto di essere l’unico in grado di insegnare la sua materia, e che nel mio caso c’erano ben due rivalità da scontare: quella tra medici e farmacisti, e quella tra le università di Udine, dove sono iscritto adesso, e di Trieste, dove mi sono laureato in farmacia nel 2010. A quanti non conoscessero le nostre vicende regionali, considerate che c’è una rivalità storica tra le due città e, se non ne avete sentito parlare, è solo perché l’Udinese gioca da vent’anni ininterrotti il campionato di serie A, mentre la Triestina naviga nelle cattive acque dei campionati dilettantistici. Battute a parte, sicuramente vengono riconosciuti gli esami di base, come chimica, fisica, biochimica e matematica. C’è qualche speranza per un riconoscimento parziale di patologia generale, biologia e microbiologia, e poche speranze su fisiologia e anatomia, che comunque è preferibile rifare. Il riconoscimento dell’esame di farmacologia dovrebbe essere ovvio e, invece, io sono riuscito ad ottenerlo solamente con l’arrivo del nuovo professore, che è l’attuale titolare della cattedra. Meno difficoltà sembrano aver avuto le colleghe intervistate, iscritte in altri atenei.
- Vengono abbuonati anni di studio? Per quanto riguarda l’Università di Udine, vedi sopra: sono sei anni, e sei rimangono. Potrebbe andarvi meglio rimanendo a Trieste, dove verrete iscritti al secondo anno a patto che ci siano posti disponibili: cosa improbabile negli anni passati, data la pioggia di ricorsi presentati da molti dei figli di papà che avevano fallito il test. La facoltà più generosa è sicuramente La Sapienza di Roma, che ha iscritto Lisa e Serenella al secondo anno, con un solo esame (istologia) per passare al terzo. In favore dell’università di Udine bisogna però dire che le ore di tirocinio richieste sono nettamente inferiori rispetto ad altre facoltà, condizione che la rende più appetibile rispetto ad altre sedi per uno studente-lavoratore al quale, più che il numero assoluto di anni di studio, interessa sapere come farà a mantenersi nel frattempo.
- Lo studio è meno faticoso per un farmacista? <No, lo studio non è faticoso, anzi: siamo avvantaggiati!> Non ha alcun dubbio in merito la dottoressa Brucculeri, mentre la dottoressa Fichera ci va giù un pò più cauta: <Avendo anteposto lo studio al lavoro, ho molto tempo per studiare. È stato questo vantaggio, più che la relativa facilità nello studio, a farmi proseguire fino ad ora>. Su questo punto il sottoscritto è d’accordo con Lisa: almeno per i primi tre anni, lo studio è molto meno faticoso. Considerate che, anche se alcune materie come la fisiologia vengono approfondite di più e altre come la biochimica vengono approfondite di meno, molti concetti sono ripetuti. Personalmente, credo di aver sentito da almeno dieci professori diversi la storia dell’acido arachidonico, e di aver disegnato almeno altrettante volte la curva di dissociazione dell’emoglobina. Dal quarto anno in poi, le cose cambiano: cominciano le cliniche, e quasi tutte le materie sono nuove. L’unica parte in cui il farmacista risulta agevolato, a questo punto, è quella relativa alle terapie farmacologiche che, ovviamente, noialtri conosciamo benissimo.
- Come conciliare lo studio con il lavoro? A meno che non siate ricchi o non troviate una ricca vedova disposta a mantenervi, è chiaro che dovrete lavorare per pagarvi l’università. Scherzi a parte c’è anche chi, come Serenella, è stato previdente e avendo sempre lavorato è riuscito a mettere qualcosa da parte. La collega ritiene che studiare Medicina sia un lavoro a tempo pieno, ma non ha fatto i conti con un altro lavoro a tempo pieno intervenuto nel frattempo: quello di mamma, che esercita felicemente da sette mesi. Serena mi racconta invece di arrangiarsi con qualche sostituzione occasionale, mentre Lisa vuole approfondire un pò di più questo punto: <Conciliare non è sempre facile, perchè i titolari non vogliono che tu prenda una seconda laurea, soprattutto Medicina che è molto impegnativa. Io ce la faccio lavorando solo alcuni mesi l’anno e, dato che ormai ci sono quasi solo contratti precari, da questo punto di vista è facilissimo. Su questo punto, vorrei fare una considerazione: prima di iscrivermi a Medicina, non trovavo lavoro. Dopo che ho aggiornato il curriculum, hanno iniziato a chiamarmi per diversi colloqui, e sono riuscita a trovare lavoro. Mi hanno anche messa come responsabile, proprio per i miei studi. Peccato che poi non gli vada bene se frequenti, se dai gli esami, inoltre non accettano l’idea che poi li mollerai per fare il medico. Contraddizione pura, insomma>. La mia posizione su questo punto è completamente diversa da quella delle colleghe. Io non mi sento, e non mi sono mai sentito, uno studente di medicina che fa il farmacista per mantenersi. Mi sento, invece, un farmacista appassionato che, nel tempo che gli rimane a disposizione dopo il lavoro, studia medicina per arricchire il proprio bagaglio di conoscenze. Immagino però che quanti di voi potrebbero essere interessati a fare la stessa scelta vorrebbero sapere un’altra cosa, ovvero se, essendo la frequenza alle lezioni ed ai tirocini obbligatoria, avanzi materialmente il tempo per lavorare. La risposta- almeno qua a Udine- è si, ma bisogna prepararsi a fare dei sacrifici. Mantenere il proprio posto da collaboratore diventa sempre più difficile, perché i momenti che rimangono a disposizione per lavorare sono progressivamente di meno, e bisogna prepararsi a fare i weekend, le notti e il periodo estivo. Io credo di aver trovato una buona soluzione aprendo la partita IVA (ne ho parlato in un altro articolo su quellichelafarmacia.com), che mi consente la massima flessibilità in termini lavorativi e, entro certi limiti, mi permette di mantenere un reddito pari a quello di un farmacista full-time pur lavorando di meno.
- Una volta laureati in medicina, è possibile continuare ad esercitare come farmacisti? Esiste purtroppo un’incompatibilità assoluta tra l’iscrizione all’ordine dei farmacisti e a quello dei medici, essendovi un potenziale conflitto di interessi. Di conseguenza, non è possibile svolgere contemporaneamente le due professioni, e al termine del secondo ciclo di studi bisogna fare una scelta.
- Che cosa vuoi fare dopo? <Esercitare la professione di medico. In quale specialità? Qualche idea c’è, ma solo dopo che avrò toccato con mano i vari reparti, avrò- spero- le idee più chiare>. Non ha ancora deciso Serena, che però ha ancora quattro anni davanti a sè in questo percorso. Lisa ha già scelto Medicina Legale, mentre Serenella vuole diventare una brava internista come il suo papà. Quanto al sottoscritto, ho iniziato da poco a scrivere la mia tesi in Urologia, scelta della quale sono assolutamente convinto anche se con qualche sfottò da parte di fidanzata, amici e parenti.
Concludo con una riflessione personale: nelle persone intervistate, ho incontrato una profonda disillusione nei confronti della professione del farmacista, ed è stato soprattutto questo a portarle verso la via di fuga della quale ci siamo occupati nell’articolo. Sarebbe troppo facile, secondo me, mascherare il disagio di questi colleghi con commenti superficiali del tipo: “se non volevano fare i farmacisti, dovevano pensarci prima”. Dovremmo invece interrogarci su cosa le nostre istituzioni- la Fofi in particolare- abbiano o meglio non abbiano fatto per generare un tanto profondo disinammoramento nei confronti del lavoro del farmacista territoriale. Forse, se avessero lottato di più per allargare le competenze dei farmacisti- vedi farmacista prescrittore- e meno per difendere retaggi giolittiani come la pianta organica o avversare l’inevitabile avvento del capitale, non saremmo arrivati a questo punto.
Ringrazio per la collaborazione le dottoresse Lisa, Serena e Serenella. Ho voluto realizzare questo articolo perchè sono convinto che, tra i miei colleghi, ce ne sono sicuramente alcuni che vorrebbero iniziare a loro volta questo percorso, soprattutto nell’attuale contesto di difficoltà occupazionale, e troveranno utili le informazioni qui riportate. Mi sento, peraltro, di consigliare questa scelta, e rassicurare quanti vi fossero già orientati che, come il sottoscritto e le altre persone intervistate, non se ne pentiranno se decideranno di andare fino in fondo. L’Università di Udine è una sede che consente di continuare ad esercitare la professione di farmacista senza difficoltà, sia per il ridotto carico di tirocini previsti- quasi inesistenti nei primi tre anni- sia perchè, per varie ragioni, trovare un impiego qui può essere più facile che in altre zone d’Italia, e per tale ragione può essere un buon punto di riferimento per i residenti nel Triveneto. Esistono però sicuramente altre sedi con queste caratteristiche, per i residenti in altre zone d’Italia. Nel frattempo rimango a disposizione per dubbi, opinioni e chiarimenti. Buon lavoro a tutti.
Dott. Paolo Cabas
Ordine dei Farmacisti di Udine, n° 1913