È un tema spinoso che si sta provando ad affrontare anche in Italia dopo i passi avanti fatti da molti altri paesi nel mondo. Lester Grinsoon – psichiatra noto per aver scoperto la cura della sindrome bipolare nel carbonato di litio – dopo tre anni di studi empirici in materia ha paragonato la marjiuana a ciò che fu la penicillina negli anni ’40, per la sua atossicità, economia e versatilità.
Tra le varietà di cannabis disponibili, legalmente in Italia solo una tipologia è esistente, INDICA, mentre tutti gli altri strain di cannabis venduti in farmacia sono SATIVA. Negli ultimi anni l’Italia sta cercando di adeguarsi grazie alla prima auto coltivazione presso l’Istituto Chimico Farmaceutico Militare di Firenze che sta producendo la cannabis “made in Italy”, il primo raccolto sperimentale è iniziato a giugno 2015, il secondo raccolto sperimentale ad ottobre 2015, poi è stato tutto bloccato per cambio della varietà da produrre. A giugno 2016, dopo due anni di sperimentazione, arriva il primo raccolto di cannabis per scopi terapeutici: si tratta in totale di 50 chili, a fronte di un fabbisogno di 100 stimato dal ministero della Salute, stati ottenuti dal taglio di 80 piante di canapa coltivate nello stesso Scmf. Antonio Medica, Direttore del Scmf, garantisce che il raccolto di cannabis è stato approvato ed è già stato stoccato in confezioni da 5 grammi pronte per la spedizione alle farmacie non appena arriverà l’autorizzazione tecnica da parte del Ministero della Salute, presumibilmente entro un mese. Sono in produzione due varietà di cannabis terapeutica. La prima è un equivalente del Bediol, con un rapporto 1:1 tra la concentrazione dei principi attivi THC e CBD, ed è quella che ha già concluso la sperimentazione ed è pronta per arrivare sui banchi delle farmacie. La seconda varietà è invece un equivalente del Bedrocan, medicinale con una forte concentrazione di THC (di poco inferiore al 20%) ed ha da poco terminato il primo ciclo di sperimentazione sui tre previsti, con l’obiettivo di essere pronta per la distribuzione nel 2017.
Andando nel merito delle patologie per il quale è prescrivibile, se si parla di cannabis a pagamento la risposta è “per qualsiasi patologia per la quale esista un minimo di letteratura scientifica accreditata”, se si parla di cannabis a carico SSR la risposta cambia in “per le sole indicazioni terapeutiche che la Regione ha accreditato come riconosciute”.
Il 16 luglio 2015 è stata è stata presentata la proposta di legge 3235, improntata sulla base della legge regionale Toscana del 2012, “Disposizioni in materia di legalizzazione della coltivazione, della lavorazione e della vendita della cannabis e dei suoi derivati”, su iniziativa del senatore e sottosegretario agli Esteri Benedetto Della Vedova.
Menzione speciale merita il comma 2 dell’Articolo 6 che autorizza enti, persone giuridiche private, istituti universitari e laboratori pubblici aventi fini unico per scopi scientifici, sperimentali, didattici, terapeutici o commerciali finalizzati alla produzione farmacologica e semplifica la modalità di consegna, prescrizione e dispensazione dei farmaci contenenti cannabis.
Oggi la possibilità di accedere alla cosiddetta cannabis terapeutica è di fatto pregiudicata da vincoli amministrativo – burocratici, per superare i quali è utile un intervento legislativo di semplificazione delle procedure.
Usare la cannabis a scopo terapeutico è molto diverso dal consumo a cui siamo abituati, essa è un farmaco a tutti gli effetti, molto meno pericoloso di altri usati per combattere il dolore cronico, gli oppiodi ad esempio.
<< E’ risaputo che può dare assuefazione, ma vanno visti i rischi e i benefici, dove i benefici sono molto maggiori rispetto ad alcuni rischi, ricorda Ettore Novellino, Direttore del Dipartimento di Chimica Farmaceutica e Tossicologica dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II”. Discorso diverso per l’uso voluttuario dove c’è una scelta per usufruire solo degli effetti di attivazione del circuito della gratificazione, però in questi casi qua, dove c’è dolore, non ci sono farmaci atti a combattere il dolore in maniera efficace, a quel punto è chiaro che l’uso di queste sostanze debba essere ben visto >>.
Attualmente, nel nostro Paese, la situazione è fortemente disomogenea, alcune regioni rimborsano interamente il costo sostenuto, altre parzialmente, ma l’ostacolo maggiore resta la diffidenza nella prescrizione.
Dai giornali e dalla rete si ha la sensazione che l’Italia sia piuttosto indietro rispetto ad altri Paesi nell’utilizzo dei cannabinoidi, in quanto pochi dottori la prescrivono e i farmaci sono molto costosi
<< In realtà i ritardi nella diffusione di un nuovo medicinale, qualsiasi nuovo medicinale, dipende innanzitutto dalla disseminazione delle conoscenze tra i professionisti che devono prescriverlo – sostiene Andrea Mandelli, Senatore FI e Presidente FOFI- Per un ovvio principio di precauzione, il curante si affida preferibilmente a farmaci di cui conosce l’efficacia ma soprattutto il profilo di sicurezza. L’introduzione dei cannabinoidi, e a maggior ragione della cannabis terapeutica sono un fatto recente e, probabilmente, al di là dei sensazionalismi perseguiti da una parte della stampa, è mancata ancora un’opera di aggiornamento e diffusione delle evidenze scientifiche alla base dell’introduzione di queste sostanze in prontuario. Non deve stupire più di tanto: l’uso degli oppiacei nel trattamento del dolore non è certo una scoperta di questi anni e neppure di questi ultimi due secoli, eppure c’è voluta una legge ad hoc, e anni di lavoro, per portare la prescrizione degli oppiacei in Italia ai livelli del resto d’Europa >>.
Resta ancora poco chiaro il motivo che finora spinge a importare questi farmaci dall’estero (tutti prodotti dall’azienda Bedrocan olandese), quando il nostro Paese possiede il know-how necessario alla loro preparazione. << Sulla necessità di importare i farmaci dall’estero entriamo nelle dinamiche della politica industriale: evidentemente non si ritiene che esista oggi una domanda tale da giustificare l’avvio di una produzione ex novo, che sia su licenza o meno, ribadisce Mandelli. D’altra parte non è che ogni singolo farmaco prescritto e assunto in Italia sia prodotto qui, anzi >>.
La dispensazione di questi farmaci nella forma farmaceutica in olio, utilizzata in quanto prevede una minore dispersione del prodotto a costi sempre maggiori. Non tutte le farmacie hanno la possibilità di eseguire le procedure imposte dal DM 9/11/15 e per questa ragione quelle che dispensano alcuni preparati sono di fatto diminuite, rendendo ancora più difficile reperire il prodotto, la burocrazia davanti alla salute?
<< Chiedere che le preparazioni base di questa sostanza, come di altre, obbediscano alle buone pratiche non è privilegiare la burocrazia, ma la salute del paziente – afferma ancora Mandelli. Nel caso della Cannabis, oltretutto, siamo di fronte alla necessità di mettere a punto e convalidare metodiche standard, in particolare per l’estrazione oleosa così da garantire ai pazienti un prodotto con caratteristiche uniformi sul territorio nazionale. La SIFAP ha già avviato un gruppo di lavoro su queste tematiche, anche allo scopo di proporre eventuali miglioramenti all’allegato del tecnico del Decreto >>.
Attualmente gli utilizzi riconosciuti dal DM 9/11/2015 per la prescrizione gratuita sono: sclerosi multipla, dolore oncologico e cronico, cachessia (in anoressia, HIV, chemioterapia), vomito e inappetenza da chemioterapici, glaucoma, sindrome di Tourette. Se un paziente è, dunque, affetto da una patologia X di cui esiste letteratura scientifica accreditata ma non appartiene a questa lista, potrà acquistare la cannabis ma di importazione olandese, non quella dell’Istituto Militare, pagandola 30 euro al grammo, in confronto ai 22 euro di quella made in Italy. Pazienti di serie A e di serie B?
<< La questione del rimborso e del ricorso alla cannabis di importazione non mi sembra particolarmente diversa dal caso di tanti farmaci per i quali il rimborso è ammesso solo per alcune patologie, mentre per altre se il medico ritiene di doversi avvalere comunque di quel farmaco il paziente è tenuto a pagarlo direttamente. Il fatto che, come si è detto, la produzione italiana sia ancora in fase di avvio e quindi limitata rende per ora necessario riservarla alle patologie per le quali vi è il rimborso>>.
Detto ciò siamo in una nuova era, quella della fine della “war on drugs”, dopo anni di politiche di repressione? Un suo parere globale in qualità di Onorevole e Presidente della FOFI in merito alla proposta di legge sopracitata?
<< Prima ancora come cittadino ritengo che sia un errore procedere sulla strada della legalizzazione della cannabis. Mi sembra contraddittorio che, mentre è stato approvato l’inasprimento delle pene per chi commette il reato di omicidio stradale sotto l’effetto di droghe, o di alcol, si punti a rendere lecito il ricorso a questa sostanza per uso voluttuario. Ma soprattutto mi pare che si sottovaluti il fatto che le conseguenze dell’uso a lungo termine della cannabis, come di un po’ tutte le sostanze psicoattive, sono provate da tempo, questo anche senza chiamare in causa la circostanza che la Cannabis possa o meno essere il primo passo verso altre droghe più pesanti. In una fase in cui c’è ben poca informazione, soprattutto tra la popolazione giovanile che è quella più esposta, la legalizzazione sarebbe un segnale pericoloso. E’ vero che la nostra cultura occidentale ha accettato il ricorso voluttuario ad altre sostanze pericolose, il fumo di tabacco, per esempio, ma questo è avvenuto quando non se ne conoscevano le conseguenze reali e non a caso paghiamo ogni anno un tributo di morti molto pesante. Vogliamo perseverare? Questo comunque non significa avere atteggiamenti persecutori nei confronti dei consumatori più o meno consapevoli>>.
Educare ad una corretta alimentazione, ad un utilizzo di farmaci, a non guidare se si ha bevuto. Educare e responsabilizzare devono essere le parole chiave in questa era di “apertura” verso cui l’Italia si sta affacciando.
Dal punto di vista biologico in natura sono note tantissime sostanze che a basse concentrazioni sono innocue mentre ad alte danno effetti allucinogeni, la noce moscata ad esempio, con la Miristicina, eppure nessuno è mai morto di noce moscata ed è anche utilizzata in fitoterapia. Il motivo? Selezione darwiniana. Quindi, forse, quando continuiamo ad essere restii nel convincerci che la cannabis possa davvero essere un farmaco, dimenticando che prima dell’era del globale proibizionismo le sue proprietà, usi e posologie erano inseriti nelle farmacopee, dovremmo avere più fiducia nelle leggi della natura, ed essere convinti che l’uomo desideri preservarsi nel tempo.
Educando e responsabilizzando, la cannabis potrà divenire una risorsa dal punto di vista medico e terapeutico.