Fino all’età di tre anni Natale era un bambino sano e attivo, ma la malattia era nei suoi geni fin dalla nascita. Alle prime problematiche motorie seguì negli anni un peggioramento progressivo, inarrestabile. Oggi Natale ha 19 anni, vive in sedia a rotelle, si alimenta con la nutrizione enterale (perché non ce la fa a nutrirsi autonomamente) e ha impiantato un diffusore che somministra piccolissime dosi di farmaco direttamente nel liquor cefalorachidiano.
Natale fino a 17 anni non ha avuto una diagnosi nonostante i suoi genitori dalla Calabria lo avessero portato in ogni ospedale d’Italia; poi, nel 2014, grazie al Laboratorio di Genetica del “Besta” di Milano, diretto dal prof. Franco Taroni, ecco arrivare – finalmente – la diagnosi: Natale è affetto da una mutazione rarissima, con circa 60 casi in letteratura. Una diagnosi che la famiglia non pensava più di ricevere, visto che l’ultima volta che erano stati lì era il 2001, 13 anni prima. Ai tempi il prelievo a cui il bambino era stato sottoposto non aveva prodotto alcuna risposta diagnostica.
Per Natale, purtroppo, la notizia è ininfluente: i suoi danni sono irreversibili. Oggi ha 19 anni, è allettato e viene seguito con amore dai genitori e dalla ASL, con un piano terapeutico ad hoc. “Sapevamo che per noi non c’era speranza, ma ci rincuora che la scienza abbia fatto dei passi avanti e abbiamo gioito per gli altri”, ha raccontato il padre Antonio, che con la diagnosi di Natale ha dovuto accettare anche un’altra cattiva notizia, la conferma di ciò che fino a quel momento era stato solo un sospetto: anche la sorella di Natale, sei anni, è malata. Quel suo camminare con difficoltà è il primo sintomo della stessa mutazione genetica del fratello. Un colpo durissimo per questa famiglia di Reggio Calabria, che ha anche un terzo figlio, fortunatamente sano.
Una diagnosi che arriva così tardi potrebbe sembrare una storia negativa; va invece letta in un altro senso: quello di Natale è un ‘cold case’ genetico risolto ed è simbolo di una scienza che non si arrende. “Il DNA di Natale era stato estratto nel 2001 per comprenderne la causa genetica, ma in quegli anni i geni conosciuti erano pochissimi, e il suo caso rimase fra quelli irrisolti”, spiega ad O.Ma.R. il prof. Franco Taroni, direttore della Struttura di Genetica delle Malattie Neurodegenerative e Metaboliche della Fondazione IRCSS “Carlo Besta” di Milano.
“Il bambino aveva una paraparesi spastica con grave rallentamento psicomotorio. Il nostro neuropsichiatra infantile, dr. Giovanni Baranello, che lo aveva in cura, chiese un’indagine genetica: eseguimmo un sequenziamento mirato, che diede però esito negativo. I geni conosciuti erano pochissimi, mentre oggi ne sono stati identificati circa 60, con un incremento costante”, prosegue Taroni. “Così, nel 2014, abbiamo identificato una mutazione nel gene FA2H, responsabile della forma di paraparesi spastica ereditaria SPG35 da cui è affetto il paziente, e rarissima: solo circa 60 casi in letteratura. Nonostante il progresso scientifico, ci sono ancora diversi geni ‘privati’, posseduti da singole famiglie, e questo fa sì che circa il 40% dei pazienti risulti tuttora negativo ai test genetici”.
Che la diagnosi sia arrivata dopo 13 anni però non è un caso. “Qui al Besta il DNA viene conservato dalla metà degli anni ’80, e viene ancora utilizzato per confronti di questo tipo. Di recente, in uno studio sulle atassie cerebellari, abbiamo esaminato nuovamente i pazienti storici, riuscendo a scoprire la mutazione responsabile della malattia in una signora di più di 70 anni, che per trent’anni era rimasta senza una diagnosi.”