Vuoi accrescere gratis la tua visibilità?
Da oggi puoi: se hai scritto un buon articolo (non duplicato su altri siti/blog) di almeno 300 parole, che parla di un argomento che potrebbe interessare ai nostri lettori, puoi vederlo pubblicato su questo blog, sotto forma di guest post (qui trovi un dettaglio delle caratteristiche che deve avere il guest post).
Ecco alcune delle personalità più illustri che hanno scritto per noi:
Dr. Prof. Marino Mascheroni
STUDIO MASCHERONI
Consulente in Legislazione Farmaceutica e Tributaria.
Membro Associazione Giuristi e Consulenti Legali Italiani
Associato Istituto Nazionale Tributaristi
Contabilita’ per farmacie, aziende e professionisti.
Prof. Avv. Ettore Jorio
Professore presso l’Università della Calabria di diritto amministrativo sanitario (facoltà di scienze politiche – corso di laurea di scienza della pubblica amministrazione) e di diritto civile della salute e dell’assistenza (facoltà di economia – corso di laurea di giurisprudenza).
Studio Legale Jorio
Sen. Dott. Luigi d’ Ambrosio Lettieri
Senatore della Repubblica
SEGRETARIO 12a COMMISSIONE PERMANENTE
IGIENE E SANITA, Segreteria Bari
Sen. Dottoressa Simona Vicari
Senatore della Repubblica
Segretario della Presidenza del Senato
Avv. Prof. Daniele Golini
Dottore di Ricerca – Cattedra di Diritto Civile, Facoltà di Giurisprudenza, Seconda
Università degli Studi di Napoli
Studio Legale Golini
Dott. Prof. Nicola Guerriero
Prof. Economia e Gestione Aziendale Facoltà di Farmacia Federico II Napoli
Studio Farmadata Srl
Dottoressa Maria Nunzia Tinelli
Consulente Marketing
Marketing-Farmaceutico.it
Luca Guglielmi
Responsabile Commerciale
Rowa Italia
Luisa Gavazza
Università di Torino
Farmalem.it
0 risposte a “Collabora”
Chi conosce la circolare FOFI 7909 del 24/02/2012 ?
In questa circolare si parla della vigilanza degli Ordini sul corretto esercizio della professione con riferimento ad una delibera (impegno)da parte del Consiglio Nazionale della Federazione di,testuali parole,porre in essere una lotta serrata all’abusivismo in tutti gli ambiti in cui opera il Farmacista:dalla farmacia di comunità all’ospedale,dalla distribuzione alla ricerca e,in questo senso,tutti gli Ordini provinciali sono invitati a vigilare con la massima attenzione sul corretto esercizio della professione.Nella circolare viene ricordato l’art.8 della Legge 175/1992 che riconosce agli Ordini professionali la facoltà di promuovere ispezioni presso le sedi professionali dei propri iscritti,al fine di vigilare sul rispetto dei doveri inerenti alla professione.La mia domanda è,scrivo da Napoli ed in questa città Farmacie nelle quali troviamo personale non laureato a svolgere le funzioni del farmacista rappresenta la regola,con poche eccezioni,avete mai visto vigilare il competente ordine provinciale?Certo in ogni occasione il Presidente spende tante parole sulla gravissima crisi occupazionale che ha investito i farmacisti,sollecita i colleghi titolari al rispetto del codice deontologico (esercizio abusivo della professione cfr.art.3,comma 2)ricordando che tale comportamento costituisce anche un grave reato,sanzionato dall’art.348 del Codice Penale e,per il farmacista che consenta o agevoli l’abusivismo,l’art.8 della legge 175/1992 prevede anche l’interdizione dalla professione per un periodo non inferiore ad un anno.
Purtroppo in Italia per molti “reati” non esiste la certezza della pena e se chi invitato a vigilare,pienamente cosciente dell’abusivismo professionale dilagante,non vigila il risultato è che tanti farmacisti disoccupati vedono altri non abilitati fare il loro lavoro.In varie letture sul web ho trovato una circolare dell’Ordine dei Farmacisti di Agrigento del 10 Dicembre 2008,prot.n 1502 oggetto esercizio abusivo della professione,della quale voglio condividere una frase:La presente comunicazione è utile per quei farmacisti che operando in tal maniera(favorendo cioè l’esercizio abusivo della professione)offendono anni di studio e di precisa e seria professionalità,che solamente gli iscritti all’Albo Professionale possono percepire.La circolare dell’Ordine di Agrigento proseguiva con una frase alquanto minacciosa:Lo scrivente ordine nei prossimi giorni inizierà un serio e capillare controllo sul territorio provinciale al fine di scoraggiare tali episodi.Era il 10 dicembre 2008 sono passati quasi 4 anni purtroppo non ho notizie sul risultato ottenuto da questa circolare,confesso che sono molto curioso di conoscerne l’esito, se magari qualcuno ha notizie in merito.
Un’ultima considerazione,se i farmacisti titolari sono contrari alla somministrazione dei farmaci(quelli di fascia c)nelle parafarmacie perchè il farmaco giustamente non deve essere considerato un bene di consumo,perchè consentono ai loro collaboratori non laureati di fornire gli stessi farmaci(anche quelli di fascia c)nelle loro farmacie ai loro clienti?Quando andiamo dall’avvocato vogliamo parlare con lui e non con la segretaria….
Claudio
Il farmacista è un pubblico ufficiale, uomo o caporale?
Ho appena terminato di leggere la notizia, riportata su “Quellichelafarmacia magazine”, di un farmacista condannato per non aver ottemperato alla richiesta di una tachipirina da parte di un utente durante la sua pausa pranzo. (Corte di Cassazione, sentenza n. 46755 del 3 dicembre 2012)
Non entro nel merito della sentenza né nello specifico caso che ha cagionato una condanna penale.
Evidenzio però il fatto che un farmacista, nell’espletamento delle sue funzioni, viene considerato meno di un bidello di scuola elementare, cioè a un incaricato di Pubblico Servizio, e non bensì a un Pubblico Ufficiale. Egli, infatti, è per il legislatore un mero incaricato di un servizio di pubblica necessità.
La distinzione è sottile ma non di poco conto.
L’articolo 358 del codice penale (1) che: “Agli effetti della legge penale, sono incaricati di un pubblico servizio coloro i quali, a qualunque titolo, prestano un pubblico servizio. Per pubblico servizio deve intendersi un’attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, ma caratterizzata dalla mancanza dei poteri tipici di questa ultima, e con esclusione dello svolgimento di semplici mansioni di ordine e della prestazione di opera meramente materiale. Sono dunque, incaricati di un pubblico servizio coloro che svolgono un’attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, ma che sono
carenti di poteri tipici della pubblica funzione medesima, pur non esercitando mansioni d’ordine o meramente materiale”.
(1) L’articolo 358 c.p è stato così sostituito dall’articolo 18 della legge del 1990 n. 86. L’originaria formulazione dell’articolo 358 stabiliva che: “Agli effetti della legge penale, sono persone incaricate di un pubblico servizio: 1) gli impiegati dello Stato, o di un altro ente pubblico, i quali prestano, permanentemente o temporaneamente, un pubblico servizio; 2) ogni altra persona che presta, permanentemente o temporaneamente, gratuitamente o con retribuzione, volontariamente o per obbligo, un pubblico servizio”.
Al riguardo, l’attuale formulazione dell’articolo 359 del codice penale stabilisce che: “Agli effetti della legge penale, sono persone che esercitano un servizio di pubblica necessità:
1) i privati che esercitano professioni forensi o sanitarie, o altre professioni il cui esercizio sia per legge vietato senza una speciale abilitazione dello Stato, quando dell’opera di essi il pubblico sia per legge obbligato a valersi;
2) 2) i privati che, non esercitando una pubblica funzione, né prestando un pubblico servizio, adempiono un servizio dichiarato di pubblica necessità mediante un atto della pubblica Amministrazione”.
Fatte quindi le dovute distinzioni previste dalla legge e chiariti gli oneri e le sanzioni che restano in capo al farmacista, senza i dovuti onori della qualifica di Pubblico Ufficiale, mi assale un dubbio per l’episodio occorso al collega e la sua condanna per l’ingiustificata inottemperanza delle funzioni proprie del servizio farmaceutico .
A chi competono, oggi, i turni di guardia farmaceutica?
E’ questo un quesito che, alla luce nella nuova normativa sui medicinali di fascia C in vendita anche in esercizi diversi dalle comuni farmacie, mi lascia, nelle risposte che ricevo dai colleghi interpellati, non pochi dubbi interpretativi.
Tutti noi sappiamo che l’ultima tariffa nazionale per la vendita al pubblico dei medicinali risale al ben lontano D.M del 18 agosto 1993.
In essa all’art. 8 si legge:
Per le dispensazioni di medicinali effettuate nelle farmacie durante le ore notturne, dopo la chiusura serale delle farmacie, secondo gli orari stabiliti dalla competente autorità sanitaria, spetta al farmacista un diritto addizionale di L.7.500.
Per le dispensazioni effettuate nelle farmacie durante le ore di chiusura diurna spetta al farmacista un diritto addizionale di L.3.000.
I diritti addizionali di cui ai precedenti commi sono dovuti al farmacista soltanto quando la farmacia effettua servizio a “battenti chiusi” e “a chiamata” Non competono quando la farmacia effettua servizio a “battenti aperti”, ancorché con modalità che escludono per misura di sicurezza il normale accesso ai locali.
I diritti addizionali di cui ai precedenti commi sono dovuti al farmacista anche quando la vendita concerne esclusivamente una o più specialità medicinali, vaccini, tossine, sieri e allergeni o altri prodotti assimilati.
I diritti addizionali di cui ai precedenti commi sono aumentati del 25 % per le farmacie rurali sussidiate con arrotondamento pari a L.9.500 per la dispensazione notturna e per un importo pari a L.4.000 per la dispensazione diurna.
Ora, fermo restando che la legge parla di “medicinali” e “altri prodotti assimilati”, noto che non vi è alcun riferimento alla necessità, affinché il servizio venga espletato, di una richiesta a carattere d’urgenza siglata da un sanitario abilitato alla prescrizione (medico).
Viene invece specificato nella compilazione delle varie leggi regionali che amministrano la disciplina dei turni e degli orari di servizio delle farmacie. Regolamento ulteriormente plasmato sulle esigenze territoriali, caso per caso, dall’Ordine Provinciale dei Farmacisti, sentite le esigenze dei comuni e dei colleghi che in essi esplicano la loro professione; facendo però sempre prevalere le esigenze della popolazione e mediando l’esigenza di riposo dei professionisti.
Tale obbligatorietà della prescrizione di un medico per accedere al servizio d’urgenza, tante volte superata dalla disponibilità del farmacista nell’esaudire anche richieste curiose del cittadino (vedi succhiotti per bebè, pappine per neonati, siringhe per tossicodipendenti, ecc.) anche nelle ore più impensate della notte, troverebbe ostacolo in un impedimento legislativo che varrebbe la pena sottolineare.
Fin tanto che i prodotti farmaceutici erano di esclusiva distribuzione delle farmacie, rispondere alla chiamata notturna era un dovere, anche in assenza della prescrizione urgente.
E la negazione del servizio poteva determinare sicure sanzioni penali poiché, di fronte a una farmaco indicato da un sanitario che, distrattamente, non ha apposto la dicitura d’urgenza, il farmacista dovrebbe agire in buona fede e secondo scienza e coscienza, procedendo alla spedizione ancor prima che alla sua contestazione (spesso davanti a un giudice per aver causato un danno al paziente dovuta a un eccesso di pedanteria).
Ma è anche vero che, per legge, esitare prodotti venduti in altri esercizi (dai latti alle pappine e ai cosmetici, passando ora per OTC, SOP e medicinali di fascia C) in orari in cui essi sono chiusi, profila il reato di concorrenza sleale.
Pertanto tali esercizi farmaceutici (?!) dovrebbero sottostare alla disciplina oraria della Legge Regionale valida per le farmacie o a quella comunale riguardante tutte le altre categorie dei commercianti?
E se le para-farmacie e i corner dei supermercati vengono fatti rientrare in tale disciplina di servizio, equiparandone l’orario di apertura e chiusura alle farmacie, almeno per quel che concerne i prodotti farmaceutici, sarebbero essi tenuti a effettuare i turni di servizio e la chiusura obbligatoria per ferie?
Per logica verrebbe da risponder si!
Ricordiamoci che il rispetto degli orari e dei turni di servizio, come delle ferie obbligatorie, è stato più volte oggetto dell’attenzione del legislatore e, alla fine di ogni percorso legale intrapreso per liberalizzarlo, si è convenuto che la sua rigida regolamentazione era finalizzata a non depauperare il territorio degli esercizi piccoli a vantaggio di quelli maggiori ed economicamente forti da permettersi una rotazione del personale per coprire più ampi orari di apertura. E quindi preservare la dovuta e necessaria capillarità distributiva.
A questo punto si obbietterà che la farmacia, in convenzione con il SSN, è tenuta all’obbligo delle turnazioni con le altre territorialmente limitrofe e al rispetto dell’orario e del servizio di guardia notturno e diurno.
Questa osservazione è giusta.
Ma la dispensazione del farmaco è un atto professionale, e non commerciale come si induce a credere, e il margine contrattuale di guadagno sulla vendita è comprensivo dell’onorario del professionista. Pertanto, è corretto affermare che il servizio di guardia farmaceutica deve valere solo per i prodotti in convenzione e di esclusivo appannaggio della farmacia?
Di fatto la reperibilità d’urgenza varrebbe solo per quelli che vengono venduti in regime di monopolio dalle farmacie e non sono soggetti alla concorrenza del mercato e, quindi, detenuti obbligatoriamente e distribuiti capillarmente a tutela del cittadino.
Se poi le farmacie, a dispetto dell’ovvietà della legge, debbano prendersi gli oneri di un sevizio senza riscontro oggettivo in quelli che sono gli effettivi doveri, sarebbe opportuno disdire la convenzione, ritrattare i servizi, tra cui quello di guardia farmaceutica (che è il più oneroso), e farseli pagare con un onorario non a prestazione che preveda la reperibilità.
Dr. Raffaele Siniscalchi
L’avvilente monotonia della vita è permeata da gesti e riti quotidiani, di cui si nutre, e del collaterale senso di insofferenza mitigato con l’inconfessata speranza di poterli perpetuare per sempre.
L’abitudinario caffè di metà mattina, col solito amico al solito bar, è uno tra i tanti.
La scusa è il caffè, il motivo è scambiare cinque minuti di pensieri in libertà.
Come si faceva da ragazzini con le figurine. Ognuno esibiva il pezzo pregiato, propinava un doppione, e riceveva in permuta qualcos’altro per terminare l’album.
L’altro giorno, nella breve passeggiata verso il bar, ho soffermato lo sguardo a leggere il nome della prima strada all’incrocio della mia: Via Pietro Micca.
Per uno strano scherzo del destino, pensai, solo una vocale impediva alla brevità del nome di sovrapporsi ed essere confuso con quello dell’oggetto ancor più effimero e causa della morte del militare sabaudo.
Leggere, poi, tutte le successive targhe stradali fu uno spontaneo inconsapevole esercizio. Il cammino terminava con Via Di Vagno, passando, nell’ordine, Alcide De Gasperi, Luigi Einaudi, Enrico De Nicola, Ciro Menotti e Gaetano Salvemini.
Il titolare dell’ufficio tecnico comunale dell’epoca fu certo ispirato da un robusto criterio patriottico nell’odonomastica. O forse non voleva far torto a nessuno!
Esternai all’amico del caffè questo pensiero.
Entrambi, giungemmo alla conclusione della difficoltà, oggigiorno, di nominare una strada o una piazza a un personaggio politico contemporaneo, per riconosciuti meriti.
Provate solo a immaginare la reazione degli abitanti di una zona nel vedersi mutare l’indirizzo di casa col nome di un attuale deputato o senatore che, tranne l’appellativo di onorevole, non hanno nulla di ciò nei propri comportamenti. Sicuramente sarebbe cosa meno sgradita se lo si potesse fare alla memoria del personaggio, per prematura morte o scomparsa politica!
Nel pomeriggio, al terzo e solitario caffè della giornata, tornai a riflettere sui quei nomi incontrati quotidianamente e a cui non degnavo attenzione, forse per averne già fornita a sufficienza negli anni del liceo.
Sbagliavo.
Nel rileggere la biografia di Einaudi rimasi colpito dall’attualità del personaggio, dal suo spessore culturale. Ma, soprattutto, dalla contemporaneità e universalità delle idee.
Einaudi era un liberalista convinto, non un liberista!
La diatriba intrapresa con colui che rappresentò il suo mentore, Benedetto Croce, fu epica. Infine si arrese, non per convincimento ma per il rispetto dell’altrui pensiero e l’inevitabile confusione che sarebbe susseguita nella politica economica dell’epoca.
Chi si professa liberista dovrebbe confrontarsi con le idee “liberaliste” di Einaudi.
E’ facile far confusione. Un conto è essere liberisti, altro è definirsi liberali!
Oggi tutti, o quasi tutti, si dicono liberali e parlano sempre di liberalismo e liberismo, senza sapere di che si tratta e contraddicendosi nei fatti.
Nel 1948 Einaudi scriveva sul “Corriere della sera” un elogio della “libertà dell’uomo comune” professando la tesi che la libertà politica debba procedere di pari passo con la libertà economica. Anzi essa – la libertà economica – “… è la condizione necessaria della libertà politica.”
“…Vi sono due estremi nei quali sembra difficile concepire l’esercizio effettivo, pratico, della libertà: all’un estremo tutta la ricchezza essendo posseduta da un solo colossale monopolista privato; ed all’altro estremo dalla collettività. I due estremi si chiamano comunemente monopolismo e collettivismo: ed ambedue sono fatali alla libertà. … “
I principi, di cui ho sinteticamente dato un accenno, furono ampiamente dibattuti con Benedetto Croce in una discussione cominciata in era fascista e terminata a guerra finita nel 1949. Ognuno restò sulle sue posizioni.
Croce, filosoficamente, riteneva l’uomo libero di pensare e scegliere, sempre e comunque. Anche di fronte a scelte di vita o di morte per se o i suoi affetti (la sottomissione o la morte è pur sempre una scelta, ma non è vita!).
Einaudi, invece, estraneo all’idealismo filosofico, sentiva la scelta obbligata come un’offesa alla dignità dell’uomo, immorale e sottomissione della libertà di arbitrio.
Forse i due avrebbero dovuto meglio definire quelli che ritenevano dovessero essere i confini della “libertà dello spirito” e quali quelli della “libertà dell’individuo”. Tuttavia nel 1928, ne “La Riforma Sociale”, Einaudi accettò la tesi di Croce secondo il quale il liberismo è un concetto inferiore e subordinato a quello più ampio di liberalismo.
Einaudi etichettava come liberisti “coloro i quali accolgono la massima del lasciar fare e del lasciar passare quasi fosse un principio universale. Secondo costoro, l’azione libera dell’individuo coinciderebbe sempre con l’interesse collettivo”.
Molti anni dopo, nel 1941, precisò meglio che il liberismo non dovesse essere il “lasciar fare”, ma l’intervento dello Stato che fissa i limiti entro i quali il privato può muoversi, eliminando gli ostacoli (burocratici, n.d.a.) atti a impedire il funzionamento della libera concorrenza. Senza tuttavia consentire che la libertà fornita possa, per quelle forze naturali sprigionatesi da essa, ostacolare lo stesso processo competitivo.
Quindi diversificò il concetto interventista statale (comunista) dal liberista, esso: “… non sta nella “quantità” dell’intervento, bensì nel “tipo” di esso… Il legislatore liberista dice invece: io non ti dirò affatto, o uomo, quel che devi fare; ma fisserò i limiti entro i quali potrai a tuo rischio muoverti”.
Einaudi sapeva benissimo che liberismo e liberalismo non sempre coincidono. Il primo riferentesi a quella dottrina economica caratterizzata dalla valutazione negativa dell’intervento statale nell’economia, il secondo, invece, basato sull’affermazione e la rivendicazione di un nucleo di diritti individuali inalienabili a fondamento di ogni convivenza civile.
Ai primi posti tra i diritti individuali son stati posti, nella nostra Costituzione, il lavoro, il diritto alla salute e quello all’istruzione. E non necessariamente in quest’ordine, avendo tutti pari dignità.
Oggi alcuni economisti provano a stabilire una classifica di priorità nella scala di valori della vita sociale. Eppure lo stesso Croce affermò che “… Chi deve decidere non può accettare che beni siano soltanto quelli che soddisfano il libito individuale, e ricchezza solo l’accumulamento dei mezzi a tal fine; e, più esattamente, non può accettare addirittura, che questi siano beni e ricchezza, se tutti non si pieghino a strumenti di elevazione umana”.
Se, nell’attuale clima politico, coloro che saranno chiamati a legiferare liberalizzeranno i processi produttivi nell’interesse del cittadino, ponendo precisi limiti al “lasciar fare” del mercato, come al contrario vorrebbero i gruppi economici di potere, e slegando i lacci e laccioli burocratici che bloccano lo sviluppo, allora l’Italia potrà pensare di risollevarsi dalla crisi in cui versa.
Se, viceversa, si darà ascolto ai quei profeti che, incensando questo o quell’altro sistema economico, e privi di strumenti economici di paragone, indirizzeranno l’intervento statale a favore di multinazionali e grosse imprese, declassando il valore del lavoro individuale e appiattendo i salari, difficilmente ci sarà un futuro migliore per le prossime generazioni.
Io se fossi ….
Vi ricordate il giochino del “se fossi …” che si faceva a scuola, nell’ora vacante per l’assenza dell’insegnante o sul pullman della gita scolastica?
Principalmente era per scherzare e conoscersi meglio. Si cercavano, nelle risposte, angoli nascosti dei propri compagni di scuola e, sommessamente, scoprire chi o cosa piaceva alla ragazza o al ragazzo soggetto e oggetto del gioco.
Curioso che in questo periodo dell’anno, il carnevale, lo scherzo più bello lo abbia fatto il Papa annunciando al mondo le sue dimissioni.
Ed è tutto vero!
E se fossi Dio? … abdicherei?
Giorgio Gaber in una famosa canzone (Io se fossi Dio, brano del 1980) portò un violentissimo J’accuse musicato, riservando gli attacchi più veementi ai protagonisti, grandi e piccoli, della scena politica italiana del tempo, senza risparmiarne nessuno. Dopo un susseguirsi di feroci invettive, nel finale l’autore rivela il desiderio di non volersi più occupare di politica e prendere le parti di alcuna fazione.
…
“E allora, va a finire che se fossi Dio,
io mi ritirerei in campagna,
come ho fatto io”. …
L’accusa maggiore dell’artista fu il fulmineo ribaltamento delle valutazioni politiche che elevarono alcuni personaggi dell’epoca a martiri, per incoscienti e colpevoli azioni terroristiche, nonostante un passato politico, secondo l’autore, palesemente negativo. Ovviamente, non c’è difesa degli atti di terrorismo o per i suoi fautori, ma solo sgomento, paura e la confessata incapacità di giudizio.
Quel che più resta del contenuto del brano è una amareggiata e a tratti beffarda sfuriata a colpire ogni parte della società italiana intrisa nella corruzione e nell’ipocrisia.
Ebbene, nel coraggioso gesto del Papa io vedo quello che è stato tratteggiato nel testo della filippica di Gaber!
Vedo lo sfinimento dell’uomo che percepisce, con lucidità di pensiero, le proprie forze insufficienti ad affrontare il marasma permeato nella società e valuta oramai l’età non più compensabile con la saggezza.
Ma perché “coraggioso” l’abbandono del Sommo Padre? Perché l’uso di quest’aggettivo?
Tale è stato indicato, anche dal Presidente Giorgio Napolitano.
Io preferisco definirlo “esemplare”!
E nessuno ha avuto il coraggio, stavolta si, di usare questo vocabolo per descriverlo. Perché la rinuncia al potere è, per i più, un atto di codardia piuttosto che di umiltà; sempre subito ma mai ricercato.
I pavidi, nel timore di rendere manifesta la loro debolezza e attaccamento alla propria funzione, hanno sublimato pubblicamente l’avvenimento con l’attenzione a che esso non divenga esempio da imitare. Soprattutto in politica, dove non deve trasparire testimonianza della viltà nella restituzione del potere.
Ma se ciò avvenisse, senza traumi o falsi pudori; se venisse unanimemente accettata l’inadeguatezza a gestire la cosa pubblica per limiti di età, allora certo potremmo ragionare di effettivo rinnovamento nelle istituzioni, di un Parlamento più vicino ai giovani e alle loro ambizioni, dove chi legifera non ha più del doppio degli anni di coloro che sono interessati dai provvedimenti governativi.
Se lo stesso Vicario di Cristo ha rivelato il limite umano delle proprie forze imposto dagli anni e dalla malattia, perché non impiegare lo stesso criterio per tutti?
Non sarebbe, quindi, ora e tempo per mettere un limite anagrafico alla rappresentanza dei senatori e deputati italiani?
Dal “De Amicizia”
Di M.T. Cicerone
«Talvolta fanno del bene più i nemici irriducibili degli amici che sembrano compiacenti: i primi dicono spesso il vero, i secondi mai».
Cicero
“CONTINUA LA VICENDA DI FEDERFARMA TREVISO”
Casa madre o casa matrigna? Questo è il problema!
Parliamo delle farmacie piccole rurali, quelle che toccano il “FONDO” (Non dimenticate le “farmacie nel deserto”, quelle che le dune hanno nascosto per troppo tempo), proprio quelle della “capillarità del servizio farmaceutico”, quelle manovrate dalla “mistificazione”, quelle sepolte vive, che ora hanno persino la funzione di garantire un quorum maggiore di quello di legge e quindi un fatturato maggiore a tutte le altre, dopo la legge Monti-Balduzzi, Legge 27/2012. Quando il consenso associativo, si riduce ad un gruppo, che non affronta i grandi temi e i problemi che avviliscono tanti colleghi e la fine di quelle piccole farmacie che hanno avuto un ruolo per la inutile e sventurata propaganda della capillarità, quando il consenso non si fonda su una base solida ed estesa ed ignora problemi e difficoltà che minacciano la sopravvivenza delle piccole farmacie con squallide ingerenze nella politica ad ogni livello e nelle Amministrazioni dei Comuni, qualche problema c’è ed emerge violentemente, perché non si sono più né margini, né garanzie finanziarie per permettere “ tutto a tutti” e altro e altro. Noi siamo quelli della farmacia della “capillarità” inutile e manovrata per altri fini ed anche per ostacolare ed impietosire i Governi!!!
Buongiorno,
mi piacerebbe collaborare con la vostra rivista, ma non mi viene permesso di mandare una email.
Ho letto con voluta disattenzione l’articolo su “Capitali e fascia C – Audizioni in Senato per la filiera del farmaco”.
Volutamente distratto dal lavoro in farmacia, a elargire informazioni mediche a clienti o esaudire sporadiche domante dei collaboratori nella spedizione di farmaci.
Tuttavia, rimuginando sul contenuto dell’articolo, la distrazione si tramuta in interesse per esso.
Il pensiero che mi assilla è : “Questi sarebbero i nostri rappresentanti sindacali che dovrebbero difendere la Farmacia e la “nobile” professione del farmacista!”.
Verrebbe da evocare l’usuale e abusata esclamazione “… che Dio ci aiuti!”, se non fosse stata il titolo di una fiction in TV.
Non voglio dilungarmi con l’elenco delle solite motivazioni stra-conosciute alla categoria e volutamente distorte da chi ha interesse ad avvilire un’istituzione che finora ha ammesso libertà di scelta e salvaguardato la salute dei cittadini con qualità e integrità dei medicamenti dispensati, rispondendo anche penalmente e civilmente di eventuali sue carenze ed errori nell’espletare un Pubblico Servizio affidatogli dallo Stato in concessione.
Oggi, con l’ingresso dei capitali nel terminale della distribuzione farmaceutica si consentirà, a chi ha sempre pressato la politica per questo fine, di riuscire a dilatare il calibro di quell’imbuto che impediva, grazie alla figura del farmacista e alle norme regolatorie dell’Istituto Farmacia, di aggirare il penalizzante filtro professionale contro derive mercantili e manovre commerciali esclusivamente mirate all’arricchimento e non alla qualità di cura.
E tutto ciò grazie a un sistema politico, spesso corrotto, complice e/o connivente non inconsapevole di lobby industriali, ma non certo sindacali.
I sindacati sono, al limite, semplici sguatteri della politica che, come il capo dei camerieri in un ristorante, approfitta della benevolenza del proprietario e del potere conferitogli dalla
posizione derivante da incapacità, sub-alternanza o pavidità dei propri colleghi, per portarsi a casa gli avanzi e i bocconi migliori.
Però, se additati pubblicamente, son sempre pronti a esclamare che qualunque loro azione, anche la più scomposta e maldestra, era finalizzata a difendere i propri iscritti (i titolari di farmacia in questo caso!).
In verità, il fine è la stessa sopravvivenza del sindacato non della base; essa deve esistere, ma supinamente, in un latente stato di incertezza legislativa per dar adito ai suoi rappresentanti di spaziare, sempre però da inservienti, nelle stanze del potere.
Non auspico più alcuna occasione o prossima volta in cui un paladino simile si proponga a difesa di qualcuno o qualcosa. Meglio che stia a casa!
E se proprio, in uno scatto d’orgoglio, un emendamento deve essere inserito nel “disegno di legge per la concorrenza”, si esprima la volontà legislativa affinché, nella “governance” delle società di capitali del “network” della distribuzione farmaceutica non possano esservi partecipazioni di politici e loro parenti fino al terzo grado o di società che li comprendano nei consigli di amministrazione!
Quando lo scrivevo su Puntoeffe, che la soluzione a difesa
dall’ingresso del capitale nel settore della distribuzione era
l’aggregazione tra farmacie per il tramite di un distributore
centrale, con maggioranza azionaria in mano al sindacato sulla
falsariga di Credifarma, non venivo considerato.
O, peggio, era l’idea a cadere nel vuoto e ritenuta irrealizzabile ”
… a causa dell’individualismo del farmacista”!
Oggi, paventando Walgreens, si cerca di correre ai ripari, ignorando
che, virtualmente, moltissime farmacie sono già in possesso della
citata multinazionale per il tramite di AllianceHealthcare.
Nessuna novità, vista l’esposizione finanziaria di colleghi
sprovveduti che, per imperizia o avidità, hanno dilazionato i
pagamenti sfruttando il factorig con i magazzini affiliati a quella
galassia e aumentato così il credito che il grossista, da cui si
riforniscono, vanta nei loro confronti.
Basta un cenno di questi e il factor tira il guinzaglio a strozzo per
far fare alla farmacia, da esso servita, quello che vuole, pena il
fallimento della stessa.
Da voci di colleghi, mi risultano molte farmacie campane in siffatte
situazioni, complici anche i ritardi nei pagamenti da parte della
Regione.
Qualcuno ricorderà anche che:
“Nel corso di un convegno il presidente della Regione Campania,
Stefano Caldoro, ha confermato l’allarme che farmacie e laboratori di
analisi possano finire nelle mani della malavita organizzata. “Ho
cercato di capire chi stesse comprando farmacie, laboratori e
cliniche che si stanno vendendo a ripetizione, ma nessuno è riuscito
a spiegarmelo. Per questo – ha aggiunto il governatore – mi sono
sentito in dovere di scrivere una nota al Prefetto di Napoli. Mi
sentirei più tranquillo se sapessi chi sono gli acquirenti, invece
vedo che si continua a vendere perché i prezzi sono bassi e
appetitosi per chi ha soldi”. Il riferimento di Caldoro alla
criminalità organizzata non è diretto, ma che nell’ultimo anno ci
sia stato un vertiginoso aumento della vendita di farmacie e
laboratori – a secco di fondi per il mancato rimborso da parte della
Regione su cui grava il deficit della sanità – è un dato di fatto.
L’elevato numero di vendite di farmacie è stato confermato alla
stampa anche da Michele di Iorio, componente del Consiglio di
Presidenza Federfarma, il quale auspica che il presidente Caldoro,
nel denunciare il rischio, realizzi anche tutte le iniziative
economiche e normative per procedere ai rimborsi e scongiurare il
pericolo.” (fonte: Filodiretto
Federfarma)
Il sospetto che, finanziariamente, si è provato a mettere in crisi
Credifarma affinché non risollevasse le sorti delle farmacie in
difficoltà, ristrutturando i debiti, è un solido sospetto, ma
tant’è, per quello che può valere allo stato attuale delle cose,
col decreto in fase attuativa, non servirebbe a nulla se pur venisse
prodotta prova dell’esistenza di una cabina di regia a tal fine.
Il cambio di rotta dei coniugi, a dividersi il mondo della
distribuzione farmaceutica, non deve sorprendere. L’ingegnere ha
scelto gli USA, la dr.ssa l’Europa, pur risiedendo entrambi a
Montecarlo!
Ognuno traccia la propria politica finanziaria con identici
obbiettivi che non sono però quelli dichiarati.
Ecco quindi un proliferare di proclami, amplificati da stampa di
settore amica (leggi servile, n.d.a.), dove si professa l’intento di
valorizzare la professionalità del farmacista, con ampliamento dei
servizi al cittadino (e chi paga?), con iniezione di capitale per il
tramite di società ad hoc sotto l’ombrello di un’unica sigla a
proteggersi dalle intemperie finanziarie della crisi, e via
discorrendo. Senza però sapere, o fingere di non sapere, da chi è
stata promossa o auspicata la tempesta.
Eppure i segnali di cosa le multinazionali, e “La
Multinazionale” per eccellenza del network della distribuzione
farmaceutica, ambissero fare c’erano tutti.
E’ forse mai capitato di leggere cosa è avvenuto a coloro che hanno
seguito i consigli di FARMACHL con l’apertura di un esercizio
farmaceutico o di una farmacia affiliata Alphega? Sarei curioso!
Così come sarei curioso di conoscere a quanto ammontano gli euro
bruciati di coloro (spesso farmacisti) soci di capitale in società
di distribuzione che hanno avuto come partner di maggioranza relativa
nel loro asset AllianceHealthcare.
E se poi il presidente Roberto Tobia (Federfarma Palermo) –
http://ordinedeifarmacisti.ised.it/?p=10341
– e il presidente Vittorio Cantarina (Federfarma Roma) –
http://www.quotidianosanita.it/lavoro-e-professioni/articolo.php?articolo_id=32359
– denunciano quanto tardivamente è palese, perché nessuno chiede
come mai non è stato rivelato e compiuto nulla, prima che tale
situazione si concretizzasse, dai predecessori che, anzitempo, erano
seduti su quelle proprie stesse poltrone?
Oggi i francesi si accorgono che hanno il terrorismo in casa e
chiedono al Governo quali azioni abbia attuato, in questi anni,
l’Intelligence per scongiurarne i devastanti effetti.
Chiediamocelo anche noi.